Nelle ultime settimane Napoli Monitor ha lavorato assieme all’Assise di Bagnoli per organizzare degli incontri seminariali con l’obiettivo di approfondire le questioni giuridiche, ambientali e urbanistiche riguardanti la riqualificazione dell’ex area industriale flegrea e le implicazioni dell’accordo firmato lo scorso luglio da governo, regione Campania e comune di Napoli.
Il primo incontro si svolgerà all’ex Asilo Filangieri giovedì 14 dicembre (ore 16,30) e avrà come oggetto l’analisi del quadro giuridico e dei procedimenti giudiziari in corso sull’area. Dopo la relazione introduttiva del prof. Luigi Ferrara, docente di diritto ambientale alla Federico II, su evoluzione e criticità del quadro normativo post SbloccaItalia, interverrà l’avvocato Claudia Esposito, dello studio Santoianni, che segue per i Verdi Ambiente e Società gli sviluppi del processo per truffa, mancata bonifica e danno ambientale.
Alla base dell’iniziativa c’è la convinzione che l’accordo firmato il 19 luglio, qualificato come “storico”, lasci irrisolti numerosi nodi strategici del processo di riqualificazione dell’area; molte incognite gravano d’altronde sul finanziamento delle opere, dalla bonifica alle attrezzature urbane, come pure sull’effettiva definizione e operatività degli interventi. Restano poi aperti gli interrogativi sull’intervento commissariale imposto dal decreto SbloccaItalia e il ruolo di Invitalia come soggetto attuatore. Nodi che si avvicinano al pettine, e con i quali dovrà confrontarsi ogni linea di intervento politico su Bagnoli.
Pubblichiamo a seguire il testo “Sulla riqualificazione ambientale e urbanistica di Bagnoli”, scritto da Massimo Di Dato per il volume collettivo Lo stato della città.
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Sulla riqualificazione ambientale e urbanistica di Bagnoli
di Massimo Di Dato
A circa un quarto di secolo dalla chiusura dell’Italsider, che ha sancito la dismissione definitiva dello storico polo industriale di Napoli ovest, la riqualificazione ambientale e urbanistica di Bagnoli si presenta tanto ingarbugliata nel suo divenire quanto incerta negli esiti. L’area un tempo occupata dalle fabbriche di acciaio e cemento doveva costituire un fattore strategico per innescare la trasformazione della zona flegrea in spazio per il sapere e il tempo libero; tuttavia, malgrado il tempo trascorso e le ingenti risorse pubbliche impiegate, è ancora un cantiere. Perché? È possibile che una ricognizione efficace su questa vicenda potrà avvenire solo quando essa giungerà a un qualche esito. In attesa che la nottola di Minerva spicchi il volo, cerchiamo di fare il punto su questa storia, formulando alcune domande e tentando di rispondervi.
Un’incerta trasformazione
L’oggetto di queste note, pur comprendendo le vicende relative al territorio cittadino normato dalla variante al piano regolatore (Prg) per la zona occidentale e dal piano urbanistico attuativo (Pua) Bagnoli-Coroglio, è costituito principalmente dalle trasformazioni che interessano le ex aree industriali (Italsider, Eternit, Cementir, Federconsorzi) e il litorale che va da Nisida a La Pietra, ossia quelle del Sito di interesse nazionale (Sin) sul quale si concentrano sia gli interventi di bonifica che quelli di ristrutturazione urbanistica.
A che punto è la bonifica? Per quanto riguarda i suoli delle ex Italsider ed Eternit, le ultime comunicazioni ufficiali di Bagnolifutura, che risalgono a ottobre 2012 e dichiarano compiuto il 65% dell’intervento, ricalcano la scheda di aggiornamento pubblicata nel luglio 2010; a quella data risultavano tuttavia certificate dalla Provincia solo il 45% delle aree, la stessa percentuale attestata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo rifiuti nel suo rapporto del dicembre 2012 dedicato alle bonifiche. In sostanza, Bagnolifutura giudicava che, oltre alle aree bonificate e certificate, sussistesse un 20% di aree bonificate, anche se non ancora certificate. Tuttavia l’indagine avviata nel 2007 dalla magistratura di Napoli, culminata con il sequestro di una parte consistente dei suoli oggetto di bonifica, e il processo in corso per truffa, disastro ambientale, smaltimento illecito di rifiuti, falso ideologico e favoreggiamento, mette in dubbio la correttezza degli interventi effettuati.
Una nuova caratterizzazione delle aree sequestrate, secondo disposizione del giudice per le indagini preliminari, sarà effettuata dagli istituti pubblici Sogesid e Ispra, con 1,2mln di euro, nell’ambito delle attività normate da un Accordo di Programma Quadro (Apq) firmato da ministero dell’ambiente e comune di Napoli, che ne prevede anche la messa in sicurezza. Il provvedimento include la messa in sicurezza della colmata, compresa nelle aree sequestrate: la colmata è esclusa dal piano di bonifica affidato a Bagnolifutura ed è parte delle aree litoraneo-marine sottoposte all’intervento del ministero dell’ambiente. Qui la bonifica non è mai iniziata, se si escludono alcuni interventi sulle spiagge, mai terminati. Nessuna bonifica anche nell’area Cementir, dove la proprietà sostiene di aver effettuato una messa in sicurezza delle strutture e dei materiali di amianto. Il risanamento dell’area ex Federconsorzi spettava alla fondazione Idis-Città della Scienza, che nel 2009 ha visto approvare il proprio piano di bonifica presentato l’anno prima al ministero dell’ambiente e nel 2010 ha comunicato alla Provincia di aver terminato i lavori; malgrado il certificato definitivo di bonifica non sia mai stato emesso (pare per ragioni burocratiche), la struttura inaugurata nel 1996 accoglie ogni anno migliaia di visitatori. Oggetto di caratterizzazione e possibile bonifica dovrebbero essere anche le aree dell’ex Arsenale militare e quelle delle Ferrovie dello Stato, incluse nel Pua e, fino al 2014, anche nel Sin di Bagnoli-Coroglio.
Parte degli interventi edilizi previsti dal Pua sono stati realizzati: la Porta del Parco (un centro benessere con annesso auditorium), il Turtle Point (un acquario tematico), il Parco dello Sport, la ristrutturazione del Pontile Nord (nelle sezioni superiori); è stata inoltre avviata la realizzazione di un settore del Parco Urbano e delle relative infrastrutture viarie. Tuttavia, a parte il pontile, nessuna di queste opere è entrata in funzione: l’auditorium e gli spazi aperti della porta del parco hanno aperto occasionalmente per eventi, ma la caffetteria e il centro benessere (assegnati in gestione) sono chiusi; il parco dello sport, l’opera socialmente più significativa, risulta affidato in concessione ma non è stato mai collaudato ed è coinvolto nei problemi di bonifica rilevati dalla magistratura; il turtle point, in gestione alla Stazione Zoologica Dohrn, non è mai stato aperto al pubblico. Molte di queste strutture hanno subito danni di una certa entità per furti e atti di vandalismo oppure per l’azione degli agenti naturali, dovuti alla scarsa sorveglianza e manutenzione seguite al sequestro giudiziario delle aree.
Uno sguardo generale all’area di Bagnoli e Fuorigrotta rileva negli ultimi vent’anni numerose trasformazioni a macchia di leopardo, spesso lente e di piccola entità, generalmente ignorate dalle descrizioni giornalistiche che preferiscono focalizzare l’attenzione sugli insuccessi del Pua e dipingere, per il resto, un territorio immobile. Ma già soltanto la chiusura delle industrie e l’approvazione dei nuovi strumenti urbanistici hanno determinato un forte aumento dei valori immobiliari di Bagnoli, con il possibile innesco di processi di gentrificazione.
La fisionomia della zona viene anche ridisegnata da una serie di trasformazioni funzionali, ristrutturazioni e nuovi interventi edilizi (piccoli complessi abitativi sorti lungo via Campegna; sede della Facoltà d’Ingegneria a via Nuova Agnano; strutture ricettive di taglia medio-piccola su via Diocleziano-Nuova Bagnoli, dove si è recentemente insediato anche il consorzio Area Tech Coroglio; cinema multisala Duel ad Agnano). Particolare attenzione meritano due direttrici: la linea di costa Bagnoli-Coroglio e l’asse ex Nato-Mostra d’Oltremare. La prima è interessata dalla rapida proliferazione di attività commerciali legate all’intrattenimento musicale, la balneazione e l’elioterapia, la ristorazione; caso a parte è l’insediamento di Città della Scienza, centro di divulgazione scientifica e incubatore d’impresa realizzato sul litorale di Coroglio, nell’ex fabbrica di prodotti chimici della Federconsorzi. La seconda direttrice vede una trasformazione più lenta: l’avvio del recupero di parte della Mostra d’Oltremare (dove alla riapertura di una serie di strutture, come la piscina olimpionica, la fontana dell’Esedra, l’Arena Flegrea o il Teatro dei Piccoli, fanno riscontro le incerte vicende di Zoo, Edenlandia ed ex Cinodromo) e la realizzazione lungo viale Giochi del Mediterraneo di tre grandi attrezzature per il tempo libero (cinema multisala Med, PalaBarbuto, palestra Virgin). Agli estremi di quest’asse si pongono due aree la cui trasformazione è ancora incerta: l’ex collegio Costanzo Ciano a ovest, lo stadio San Paolo a est.
La direzione di questi mutamenti progressivi è quella indicata dal piano urbanistico, ossia un’area dedicata al tempo libero; quasi che la città privilegi lenti processi incrementali, atti ad aggirare i problemi anziché risolverli, più che compatte operazioni di trasformazione.
Un piano senza i piedi per terra?
A cosa è dovuto questo magro consuntivo? Molte critiche, provenienti sia da ambienti politico-imprenditoriali che universitari e professionali, si sono appuntate sugli strumenti urbanistici che normano l’area. Il modello sostenuto da Vezio De Lucia, assessore all’urbanistica della prima giunta Bassolino nei primi anni Novanta, e sostanzialmente proseguito dai suoi successori, viene accusato di essere rigido, viziato da dirigismo statalista, gravato da troppi vincoli ambientali e scarsamente aperto agli interessi di mercato. Questa impostazione avrebbe determinato l’adozione di soluzioni inadeguate, allontanando dall’area gli investimenti privati. I rilievi sull’insostenibilità economica del piano si sono concentrati sia sulla decisione di affidare bonifica e riqualificazione a una società per azioni a totale capitale pubblico, sia su alcune scelte di merito, come quelle riguardanti il parco urbano (ritenuto sovradimensionato e privo di attrattori economici), la dislocazione dei volumi edificabili (gli alberghi senza vista panoramica e lontani dal mare, residenze e attività produttive a ridosso di un rione négligé come Cavalleggeri d’Aosta), il porto turistico (sottodimensionato e mal collocato), la mancata valorizzazione turistica di Nisida, il centro congressi (ridondante e/o sovradimensionato).
Cosa c’è di fondato in queste critiche? Il “piano De Lucia” è stato davvero così chiuso al dialogo? È così economicamente insostenibile, come ancora oggi affermano diversi economisti e urbanisti? Oppure hanno ragione gli studi economico-finanziari commissionati dal comune di Napoli, che, pur con molti distinguo, ne hanno sempre attestato la sostanziale fattibilità? Non è facile dare una risposta univoca, considerata la complessità di un intervento protrattosi per un lungo arco di tempo, che ha visto modificarsi diverse delle variabili considerate e determinato contraccolpi sui bilanci dell’operazione. Certamente è prevista una mole notevole di attrezzature collettive, la cui realizzazione ricade in gran parte sulle casse pubbliche. Se tuttavia alcuni dei rilievi in questione colgono effettive debolezze e ambiguità del piano, si ha l’impressione che la maggior parte risulti forzata da ideologismi o interessi di parte.
Pur non promuovendo uno scenario di massima valorizzazione economica dei luoghi, gli strumenti urbanistici cercano un compromesso, non privo di contraddizioni, tra interessi economici, necessità ambientali ed esigenze sociali. Il modello adottato pone alla sua base il recupero della rendita fondiaria alla mano pubblica, la quale definisce gli obiettivi di piano, contrapponendosi alla concertazione tra pubblico e privato propria dell’urbanistica contrattata. Se i limiti a cui va incontro questo tipo di piano costituiscono un nodo critico, in un contesto egemonizzato da interessi capitalistici e retoriche di mercato globale, non è detto che il suo scioglimento debba avvenire accettando “realisticamente” l’orizzonte neoliberista. A Bagnoli, un certo furore ideologico ha portato a considerare determinati eventi come “prove evidenti” della mancata profittabilità del piano. È il caso dei ripetuti fallimenti dei bandi di gara per la vendita dei suoli edificabili su via Nuova Bagnoli, i quali dimostrano invece che il piano non ha avuto neanche la possibilità di essere messo alla prova, venendo a mancare il necessario presupposto del risanamento ambientale. Il problema, prima e più che la posizione poco panoramica degli alberghi, era che nessun imprenditore avrebbe acquistato suoli di cui doveva accollarsi il completamento della bonifica, collocati in un’area-cantiere anch’essa non bonificata e priva di infrastrutture, nell’incertezza di come e quando si sarebbe completata la riqualificazione della zona.
Si potrebbero fare altri esempi di opere ostacolate da ragioni diverse da una presunta scarsa redditività: una bonifica scorretta (il parco dello sport); l’errata formulazione dei bandi di gara (il porto turistico, la rimozione della colmata); il mancato rispetto di regole e vincoli paesistico-ambientali (il Polo tecnologico ambientale). Il problema si sposta quindi sulla complessità dell’intervento, il coordinamento di attori, risorse e tempi (vero disincentivo agli investimenti, in quanto fonte di rilevanti incertezze); e, in primo luogo, sulla bonifica, precondizione all’operatività di qualunque piano di riqualificazione urbanistica: quanto costa? chi la paga? chi ne beneficia? (continua a leggere)
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