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culture
22 Gennaio 2019

Dissonazen ft. Evan Parker al Mercadante

Antonio Mastrogiacomo
(disegno di chiara tirro)
(disegno di chiara tirro)

Due percorsi in realtà paralleli, eppure destinati a incontrarsi, quelli proposti dall’Ensemble Dissonanzen nel concerto da tutto esaurito che, per la prima volta nell’attività di un gruppo che ha superato i venticinque anni di attività, si tiene presso il teatro Mercadante, negli spazi del Ridotto. Sono le 20,30 quando raggiungiamo il foyer del teatro. Ai tavolini siedono fan del gruppo in attesa dell’apertura della sala, prevista quindici minuti prima del concerto. Tra gli altri Evan Parker, l’ospite della serata pronto a porre la sua singolare marcatura sull’iniziativa che principia la stagione concertistica di Dissonanzen, anno domini 2019. Raggiungiamo comodamente le prime file, pronti a degustare una proposta musicale sempre più rara quanto necessaria: quella musica contemporanea ancora da eseguire a mezzo studio e interpretazione che trova poco spazio nei programmi di sala odierni, votati all’esecuzione di una musica più distante nel tempo al punto da averci formalmente fatto pace, familiare quanto la comunicazione genitori-figli al tempo dei gruppi whatsapp.

Prima di iniziare, come nello stile dell’Ensemble, alcune parole raccordano l’evento al suo pubblico: dopo Tommaso Rossi, sempre abile nel divulgare le traiettorie di questo singolare percorso musicale, tocca a Francesco D’Errico, owner dell’etichetta Black Sheep Power Desco Music, farsi carico dell’assenza fisica del disco, memoria della prima collaborazione tra il gruppo e il sassofonista nativo di Bristol, al tempo di un concerto tenutosi presso la sala Scarlatti del Conservatorio di Napoli nel 2014.

Si riconquista il silenzio dopo avere intimato di spegnere i cellulari, questi sgraditi parassiti. “Alcuni compositori come Maderna, Pennisi, Bussotti a un certo punto della storia della musica hanno deciso di liberare il segno musicale e cominciare a ragionare nei termini di una libertà da parte dell’interprete”: la prima parte prevede proprio l’interpretazione di tre singolari partiture grafiche a opera di tre diversi compositori italiani proiettate sul fondale così da permettere al pubblico di seguire (?) l’esecuzione: l’ottetto Dissonanzen (Tommaso Rossi ai flauti, Marco Sannini alla tromba, Francesco D’Errico ai sintetizzatori, Ciro Longobardi alle tastiere e campioni, Marco Cappellia alla chitarra elettrica, Marco Vitali al violoncello, Renato Grieco al contrabbasso, Stefano Costanzo alla batteria) si dispone ai lati lasciando campo aperto alla visuale del pubblico. Autotono, Deragliamento di un treno e Serenata per un satellite conquistano per la gradita giustapposizione del livello sonoro quale gradevole traduzione di una insistita arditezza grafica, come rivelano partiture autosufficienti a vedersi, ancora di più ad ascoltarsi. E gli interpreti rivelano la loro caratura quando riescono a tradurre la macchia di inchiostro in Autotono, il volto di Wagner in Deragliamento, la disposizione delle formule in Serenata per un satellite.

“Nella seconda parte la libertà non avrà bisogno di un segno grafico per essere sostenuta”. Subentra Evan Parker a guidare l’ottetto che ha guadagnato una diversa disposizione sulla scena, molto più aggregante. Parker è forte, fortissimo perché fa tutto con estrema leggerezza mostrando un controllo dello strumento che radicalizza le sue composte idee musicali, come quando attacca e sulla spinta microtonica vorticizza la respirazione continua, quasi subito disposta al dialogo con il violoncello di un esuberante Vitali. Lavorano insieme, i nove sul palco, ascoltandosi e interpretando l’uno le idee dell’altro: ognuno si prende i suoi rischi, le sue responsabilità, riesce a interpretare il mood situazionale. Eppure non risulta mai troppo estemporaneo né mai troppo radicale. L’applauso del pubblico spezza ciò che nell’idea degli esecutori doveva essere unito, così la ripresa è affidata all’auletico suono del flauto di Rossi prima che gli altri intervengano iniziando a tramare con lui il disegno in tempo reale della composizione istantanea d’insieme. L’ultimo suono lo mette Longobardi, ribatte una nota emersa e segna la fine di un agone acustico misurato. (antonio mastrogiacomo)

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