L’ultima volta che avevo incontrato Luigi Ciaravola sul mio percorso di musicante era stato a Montemarano, il 26 giugno 2006. Si era reduci dal finale cardiopalma di Italia-Australia, la cui proiezione nella palestra della scuola aveva posticipato di qualche ora la processione in onore dei Santi Giovanni e Paolo. Gigione riceveva dalla banda di Pannarano la staffetta nel celebrare in musica la festa patronale. Capitava spesso.
Lo ritrovo dodici anni dopo, a Napoli, a battezzare l’uscita cinematografica del film che lo celebra, incorniciando la sua carriera di uomo di spettacolo, in una sala della Napoli che puzza di chic, in quel cinema dalla difficile radicalità che è l’Hart di via Crispi, così lontano dalla provincia raccontata nel film da garantire la mondanità dell’evento.
A dispetto della febbre che impazza dalla pagina sponsorizzata, il mio attaccamento alla prevendita – per lo spartano costo di quattro euro (più del 50% del costo del biglietto) – deflagra non appena mi accorgo che siamo tanto lontani dal sold out quanto vicini alla star, che assicura al suo pubblico un rapporto almeno fotografico. Lui che di solito si concede gratis, tanto paga il comitato.
La sala è affettuosamente non gremita. La scalda l’intervento del mattatore, Gigione, che sale in cattedra rilevando quel potere al popolo, inteso come pubblico, in una didascalia dell’opera che appaga il nostro palato economico per la sua genuinità. Valerio Vestoso è il regista. Tocca le corde spezzate del popolare che si ritrova nello spettacolo. Questa proiezione, in questo cinema, anima il tilt alla ricerca di uno choc, alla ricerca di una tridimensionalità, dice. Una missione divina, aggiunge. Un anno di corteggiamenti, incalza. Un corpo a corpo on the road, conclude.
La dimensione commerciale dell’opera è in realtà di chiaro impatto e rappresenta un guadagno non solo economico, ma anche emotivo, a favore della massa quale sua interprete. Sanno bene, Ciaravola e Vestoso, che l’uno abbisogna dell’altro come la vite il suo tutore, per arrivare sugli schermi in modo efficacemente confezionato per tutti. Per Essere Gigione.
Un acquario per offrire una chiave di lettura sociale del fenomeno, un compasso intorno a cui far ruotare i fotogrammi in montato da Vestoso, un mosaico di frammenti video che dispongono in ordine materiale di archivio – memoria audio-visiva privilegiata – riprese dei concerti nella loro liturgia, interviste ai fedeli, dimensioni confessionali. Tutte secondo i ritmi che gli si addicono. Altre volte interventi per segmentare i quadri.
Luigi Ciaravola, Boscotrecase, classe 1947. Temi opposti si coniugano nella sua musica: Zi Nicò e Papa Francesco, Sofia e Benevento in Serie A; l’attenzione dei grossisti all’uscita della sua Mulignana; i rapporti strettissimi con l’attualità mediati da una partecipazione quotidiana nella scena televisiva di provincia. Direttore artistico di sé stesso, mai dimentico della squadra e della famiglia. La musica alla portata di tutti, come religione.
Il lavoro di Vestoso rimanda proprio a una indagine su religione e sottobosco musicale: c’è tutto il Tacco12 (mockumentary sull’ossessione per il ballo di gruppo) nel pezzo Trapanarella, in una dimensione a sua volta già ripresa ne Il mese di giugno (cortometraggio sulle prime comunioni), quando l’autore indugia su alcuni fotogrammi di un ricevimento. L’intervista ai fedeli come diagnosi del fenomeno è affidata a Mirko di Gubbio. Tutto si mantiene sull’equilibrio dettato dalla religione.
Il contorno familiare non si sviluppa ma resta confinato al silenzio di Menayt come individualità senza parole, partecipe alle riprese. L’impegno nel sociale, l’incontro con lo studio di registrazione, la dieta da seguire, i viaggi in macchina. E ancora orecchiette al pesto, vino da cinque litri e il pensiero della band. Re italiano delle feste di piazza, Gigione ne esce come pontefice delle feste patronali. Uno spaccato biografico denso di rimandi alla quotidianità dell’uomo insieme all’artista. Un esempio di come l’arte ci somiglia. (antonio mastrogiacomo)
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