Il trattato transatlantico di libero commercio (TTIP), in discussione in questi giorni al Parlamento europeo, è un accordo bilaterale tra Unione Europea e Stati Uniti che ha lo scopo di agevolare gli scambi commerciali tra le due aree. Sebbene i contenuti delle negoziazioni siano tenuti segreti, l’azione di qualche migliaio di volenterosi ha convinto i commissari europei a desecretare parte dei documenti.
Tra i primi obiettivi del partenariato c’è l’abolizione delle tariffe doganali tra USA e UE, per altro già molto basse. Per “aprire i mercati”, però, ci vuole ben altro. L’applicazione di leggi lesive della “libertà d’impresa” potrebbe esporre gli stati non solo a forti sanzioni economiche, ma anche all’obbligo di riformare o abrogare le norme che limitano l’azione degli investitori. Anche se questo, di fatto, può già accadere, diventerebbe molto più facile grazie alle due nuove istituzioni previste dall’accordo: il Meccanismo per la composizione dei conflitti tra investitori e stati (ISDS) e il Consiglio per l’armonizzazione dei regolamenti (RCC). Una prospettiva che contraddice apertamente il principio di sovranità nazionale, concetto che può risultare antipatico, ma che è probabilmente da preferire a quello di “sovranità multinazionale”.
Il sito dell’associazione Attac, tra le principali a opporsi al TTIP, parla, per esempio, della possibilità che l’accordo rimetta in gioco il divieto di produrre biocarburanti e gas di scisto. Combustibili proibiti in diversi paesi europei, perché la loro estrazione è considerata molto dannosa per l’ambiente. Il timore degli ecologisti è che le compagnie che investono in queste risorse energetiche possano rivolgersi ai tribunali internazionali commerciali previsti dall’ISDS. È già accaduto in Canada, dopo che il paese aveva firmato con gli Stati Uniti il Free Trade Agreement, omologo del TTIP. In quel caso lo stato ha ricevuto una multa di duecentocinquanta milioni di dollari, da versare a un’impresa californiana dell’energia, per una moratoria sull’estrazione di gas e petrolio di scisto.
I tribunali speciali previsti dal TTIP sarebbero composti da un rappresentante dello stato, uno dell’impresa, e un terzo scelto di comune accordo. Questi tribunali, già esistenti in varie aree del mondo, applicano criteri di giudizio meramente economici, per cui favoriscono inevitabilmente le imprese. È evidente, inoltre, come delle istituzioni del genere favorirebbero le liberalizzazioni tout court: acqua, energia, servizi pubblici e tutto il resto.
Altre conseguenze del trattato potrebbero riguardare l’immissione di OGM alimentari e carni agli ormoni sui mercati europei, l’abrogazione delle leggi sulla tracciabilità, la diminuzione dei controlli sui movimenti finanziari, il ritiro dei farmaci generici dal commercio (per difendere i diritti sui brevetti e la proprietà intellettuale), l’eliminazione dei finanziamenti pubblici alla cultura, l’abrogazione delle leggi su privacy e sicurezza digitale che regolano la gestione dei nostri dati da parte di motori di ricerca e social network. Perfino i contratti nazionali di lavoro potrebbero essere considerati come ostacoli al libero scambio, per cui le imprese multinazionali potrebbero reclamare il diritto a pagare lo stesso salario a ciascun dipendente, a prescindere dal suo paese di appartenenza. D’altra parte, secondo il sito della Commissione Europea “ciascuno beneficerà della crescita economica conseguente al partenariato transatlantico”. Ogni famiglia, infatti, ne trarrebbe un beneficio annuale di cinquecento quarantacinque euro, grazie all’immissione di “beni e servizi meno cari” sul nostro mercato. Un affare d’oro, insomma.
L’impressione generale è che il TTIP non sia altro che la ratifica di una situazione di fatto, in cui la logica del profitto tende ad avere la meglio sulle ragioni della politica. Malgrado la fretta degli Stati Uniti, comunque, le istituzioni europee potrebbero iniziare a rendersi conto delle motivazioni di chi si oppone al trattato, tanto che le conclusioni dei negoziati, che avrebbero dovuto aver luogo entro il 2014, sono state rimandate di un anno. Il TTIP, in ogni caso, sarà votato dai parlamentari europei solo al termine delle negoziazioni, e non sarà possibile presentare emendamenti.
Il ciclo negoziale previsto a dicembre è slittato a febbraio: ad aspettarlo, a Bruxelles, ci saranno manifestazioni di protesta e polemiche. Nell’attesa, la prossima giornata di mobilitazione internazionale sul tema è prevista per il 18 aprile. (giulia beatrice filpi)
Per approfondire: