Il 21 febbraio alle nove di mattina ci sarà la sentenza per il processo che vede imputati quattro ragazzi, occupanti delle palazzine dell’Ex Moi. Loro sono stati tra gli oppositori più attivi al progetto di sgombero gestito da Compagnia di San Paolo e amministrazione cittadina. Qui pubblichiamo la storia dei ragazzi e del loro processo; il contributo è un tassello per una ricerca collettiva sui modi e le strategie di governare questa occupazione.
Abdallah, Siragi e Bishara vivevano all’Ex Moi da molto tempo: vengono da paesi diversi, culture diverse, hanno storie diverse alle spalle. Quando è terminato il percorso di accoglienza, nel 2013, tutti e tre si sono ritrovati in mezzo alla strada. Come la maggior parte degli abitanti, hanno trovato nelle palazzine di via Giordano Bruno un riparo, contribuendo alla sua rinascita dopo anni di totale abbandono.
A fine febbraio 2018 i tre abitanti vengono convocati in questura di Torino per un problema con i documenti. La convocazione è richiesta nello stesso giorno e alla stessa ora. I tre, essendo amici e abitanti della prima ora delle palazzine olimpiche, si confrontano tra loro e concordano sulla stranezza della convocazione. Così si recano alla Questura accompagnati dagli avvocati dell’Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), che da anni seguono e aiutano gli occupanti dell’Ex Moi. Bishara, Abdallah e Siragi non torneranno più a casa: da quel giorno per loro inizierà un calvario lungo un anno, fatto di carcere preventivo, delazioni e umiliazioni. L’anno di carcere preventivo è stato giustificato da capi di accusa molto pesanti per Bishara e Abdallah. Si contestano resistenza a pubblico ufficiale incaricato di pubblico servizio, minacce e lesioni. Il processo mediatico è iniziato ben prima di quello giudiziario: articoli su articoli delle principali testate giornalistiche hanno accusato e ancora accusano i tre ragazzi di racket, delinquenza, organizzazione criminale. False accuse che non trovano nessun fondamento nelle indagini su cui si basa il processo.
I fatti a cui si riferiscono le denunce risalgono a novembre 2017, quando avveniva lo sgombero dei garage. Durante l’azione di polizia parecchi abitanti hanno protestato davanti agli uffici dell’equipe voluta da Comune e Compagnia di San Paolo per governare il progetto di “sgombero dolce” delle palazzine. Dopo quasi un mese di reclusione, Siragi viene rilasciato dal carcere, ma solo per essere condotto al CPR di Torino, e senza alcuna spiegazione. Il suo permesso di soggiorno, infatti, è stato revocato per presunta pericolosità sociale, ma a lui questo non verrà spiegato per ben tre giorni. Solo al terzo giorno gli daranno l’opportunità di parlare con il suo difensore d’ufficio.
Il 28 giugno 2018 viene arrestato anche Diallo: una decina di agenti delle forze dell’ordine si presentano direttamente alle palazzine dell’Ex Moi e lo portano via. Il 30 giugno Siragi viene finalmente rilasciato dal CPR grazie al ricorso degli avvocati, ma ha il divieto di dimora a Torino. Il processo ai quattro ragazzi inizia il 21 settembre con un immediato rinvio al mese successivo. Il calendario delle udienze è fitto: 16, 23 e 30 ottobre. Questa previsione è poco realistica, tant’è che solo il 22 gennaio verranno sentiti i testimoni della difesa. Intanto il 22 settembre Siragi ha avuto l’udienza in tribunale per il riesame del suo permesso di soggiorno, ma l’udienza è stata rinviata: la Commissione territoriale di Siracusa che aveva la competenza di esprimersi sulla storia di Siragi ha mandato una relazione riferita alla Nigeria. Ma Siragi è del Niger.
Nelle prime cinque udienze si sono succedute le dichiarazioni dell’accusa, vari membri dell’equipe e personale della polizia di stato. Incalzati dal pubblico ministero, hanno descritto i fatti delle giornate incriminate. Vengono contestati alcuni spintoni, offese verbali, discussioni animate senza nessuna colluttazione, mobili portati fuori dall’ufficio dell’equipe all’interno dell’Ex Moi, violazione di proprietà privata, toni arroganti e un pugno. Sui giornali, tuttavia, esce tutt’altro: i quattro arrestati sarebbero stati i capi dell’Ex Moi, avrebbero gestito le stanze affittandole e avrebbero controllato affari leciti e illeciti dentro le palazzine. I giornali descrivono quattro uomini avvezzi alla violenza, incubo degli altri abitanti. Quattro capi di una banda criminale ben organizzata insomma, che si sono garantiti reddito e rispetto taglieggiando e ricattando gli altri abitanti.
Il 22 gennaio 2019 sono stati sentiti i testimoni della difesa, che hanno sottolineato le criticità del progetto di sgombero dell’Ex Moi, le modalità con cui l’equipe si è rivolta agli abitanti, i tentativi falliti di avere un dialogo costruttivo e partecipativo con l’equipe. Mai, infatti, gli abitanti sono stati considerati come soggetti attivi e degni di essere ascoltati, ma sono stati relegati al ruolo di passivi ascoltatori.
Il 22 gennaio sono stati ascoltati anche gli imputati. Hanno smentito molte delle accuse mosse loro e lo stesso giorno il giudice ha disposto l’immediata scarcerazione, con divieto di dimora nella città di Torino. Forse anche il tribunale si è reso conto che la detenzione subita quasi superava le possibili pene. Nonostante i loro permessi di soggiorno siano stati revocati, il giudice ha negato il nulla osta all’espulsione e ha riconosciuto loro il dritto di risiedere sul suolo italiano al fine di garantire il diritto di difesa fino alla conclusione di tutti i gradi di giudizio.
Alle nove di sera del 22 gennaio Bishara e Abdallah sono usciti dal carcere dopo aver scontato 327 giorni di custodia cautelare. Diallo, invece, è uscito dopo 203 giorni di detenzione. Quella che abbiamo raccontato è una storia di ingiustizia, una storia assorbita nel silenzio delle mura di un carcere. Quella che abbiamo raccontato è una vendetta spietata del sistema di potere di questa città, che ha colpito duro chi giudicava più carismatico all’interno delle palazzine di via Giordano Bruno, tentando di zittire e terrorizzare ogni possibile dissenso al progetto di sgombero, ogni possibile critica mossa dagli abitanti, senza lasciare nessuna possibilità di decidere sulla propria vita. (comitato solidarietà ex moi)
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