Avrà luogo a Napoli, sabato 2 novembre, dopo le prime due svoltesi a Roma, la terza edizione di Arte contro le pene capitali, una manifestazione organizzata da Monitor, Sensibili alle foglie e dal gruppo carcere dell’ex Opg – Je so’ pazzo.
In Italia la pena di morte è stata abolita con il nuovo codice penale militare di guerra nel 1994 e in Costituzione solo nel 2007. Nel codice penale vi è tuttavia ancora la pena dell’ergastolo, che non costituisce un’alternativa alla pena di morte, in quanto essa stessa è una pena fino alla morte. Nei paesi in cui è in vigore, inoltre, la stessa pena di morte non è più lo spettacolo patibolare di un tempo ma una esecuzione durevole nel tempo, che si può protrarre anche per molti anni prima dell’azione del boia. Pena di morte ed ergastolo sono quindi due istituti che inducono l’agonia nelle persone che vi vengono condannate, decretandone la morte a ogni prospettiva sociale e un lento “vivere morendo”.
Nel corso dei mesi passati, il gruppo organizzatore della manifestazione ha diffuso una call invitando artisti a sollecitare la propria vena creativa intorno al tema dell’ergastolo e della pena di morte.
Questo è il programma delle esibizioni live che avranno luogo sabato:
ore 15.30 – Apertura in piazza a Materdei con la Banda Basaglia
ore 17.00 – Michele Fragna, Poesie
ore 17.30 – Arrevuoto Teatro e Pedagogia e Chi rom e chi no, L’ultimo giorno di un condannato a morte
ore 18.00 – Stefania Musto, Firdaus
ore 18.30 – Teatro Popolare e Collettivo delle arti, Fine bianca
ore 19.00 – Antonio Raia, Come se
ore 20.00 – Gruppo popolare Terra e lavoro, Le pene del capitale
ore 21.00 – India Santella, Da qui il mare non si vede
ore 21.30 – Dolores Melodia, Canzoni e musiche sul carcere
ore 22.00 – Dem Pasan, Danza contro la pena di morte
ore 22.15 – Caterina Bianco e Nicola Valentino, Mc Pherson lament
ore 23.00 – Frente Murguero Campano, Danze e musiche tradizionali per i condannati a morte
Dalle 16 fino a mezzanotte saranno inoltre visibili in mostra le opere degli artisti che hanno contribuito e che trovate qui in locandina.
A seguire potete leggere alcuni estratti dal libro collettivo Morire di pena. Per l’abolizione di ergastolo e 41-bis, in cui si riflette sulla presenza nel codice del nostro paese dell’ergastolo come pena di morte mascherata.
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Al contrario della vulgata corrente, l’ergastolo in Italia esiste eccome: la differenza numerica tra i detenuti che una volta condannati all’ergastolo ci rimangono fino alla morte e quelli che ottengono i benefici per uscirne è incommensurabile (sulla base di questo dato il gruppo di Morire di pena rifiuta la differenziazione tra ergastolo ostativo e non ostativo, rivendicando l’eliminazione dell’istituto in toto e il diritto, per qualsiasi essere umano, di poter conoscere, al momento della propria condanna, il momento in cui potrà essere liberato).
Dai primi anni Novanta (il cosiddetto “periodo stragista”) a oggi, inoltre, gli ergastoli sono più che quadruplicati. Al 31 dicembre 1992 erano 408, mentre allo stato attuale i detenuti condannati all’ergastolo sono 1864, due terzi dei quali ostativi. Eppure il numero degli omicidi nel paese è letteralmente crollato: negli anni Novanta si sfiorava quota duemila l’anno, mentre oggi siamo a meno di trecento. Anche solo questi dati, nudi e crudi, dovrebbero indurre a riflettere.
ERGASTOLO ED ERGASTOLO OSTATIVO
L’articolo 4-bis viene introdotto nell’ordinamento penitenziario tra il 1991 e il 1992. La disciplina, assai discussa negli anni in termini di incostituzionalità, ha come caratteristica una differenziazione del trattamento penitenziario dei condannati per reati legati alla criminalità organizzata o per altri gravi delitti: subordina, infatti, l’accesso ai benefici previsti dalla legge a una condizione: l’avvenuta collaborazione con la giustizia. Ne risulta che un ergastolo “ostativo” – applicato automaticamente in caso di condanna all’ergastolo per uno dei reati di cui sopra – conduce il detenuto fino alla morte in cella, perché gli impedisce di uscire di prigione anche dopo decenni di detenzione, a meno che questi non “decida” di collaborare con la giustizia. Se è vero, inoltre, che è l’“ostatività” a privare i detenuti condannati all’ergastolo della possibilità di accedere ai benefici penitenziari, è vero anche che pure per gli altri ergastolani, non soggetti a condanna ostativa, questa possibilità è estremamente residuale. Sono pochi gli ergastolani, in sostanza, che non restano in cella fino alla morte, e pertanto il tanto discusso tema dell’eliminazione eventuale dell’ostatività è solo una parte del problema, mentre la vera questione è l’eliminazione dell’ergastolo in toto (i numeri d’altronde ci dicono che tra il 2008 e il 2020 sono state concesse trentatré liberazioni condizionali, mentre centoundici persone soggette all’ergastolo sono morte in galera).
Una recente legge approvata dal parlamento, riduce ulteriormente le possibilità di ottenere una liberazione condizionale: bisogna essere sopravvissuti a trent’anni di pena scontata (e non più a ventisei), senza contare che numerose altre condizioni rendono altamente improbabile la possibilità di affrancamento dalla pena. La più dura tra queste prescrive che il detenuto sia obbligato a fornire (dal carcere!) elementi che consentano di escludere l’attualità di collegamenti non solo con l’organizzazione ma anche con il contesto nel quale il reato è stato commesso (una interpretazione, quella del “contesto”, che può essere estesa per esempio a un qualsiasi rapporto di parentela, a una residenza in una stessa città o paese rispetto a membri o ex membri dell’organizzazione, rendendo quindi l’attribuzione del beneficio ancora una volta estremamente difficile e discrezionale).
Va ribadito, infine, che la previsione di una pena perpetua contrasta con la Costituzione: se la pena deve tendere alla rieducazione, il fine pena mai è estraneo a questo principio (“rieducare” in vista di cosa?).
PER L’ELIMINAZIONE DELL’ERGASTOLO
Nel 1981, con un referendum promosso dal partito Radicale più di sette milioni di italiani si espressero per l’abolizione del “fine pena mai”. Negli anni successivi il movimento “Liberarsi dalla necessità del carcere” nacque tra Parma e Trieste e crebbe rapidamente in tutta Italia, fondato sulla lucidità di operatori con grande sensibilità sociale, legati perlopiù al movimento per l’abolizione dei manicomi, ma anche sull’alleanza con battaglieri amministratori locali. Per citare epoche più recenti, infine, si può tornare al 1998 quando centosette senatori (contro cinquantuno contrari e otto astenuti) votarono a favore dell’abolizione dell’ergastolo partendo da un testo promosso dalla senatrice comunista Ersilia Salvato, prima che la legge si arenasse alla Camera e poi venisse per sempre archiviata con la caduta del governo Prodi, pochi mesi dopo.
Da quell’ultimo tentativo sono passati vent’anni, non cento. Abbiamo oggi, trasversalmente, una classe politica più rozza e opportunista, e il bombardamento mediatico che propone le prigioni come il più efficace strumento di gestione dell’ordine sociale e come anestetico alle paure della popolazione ha raggiunto i suoi scopi. Tuttavia – lo spiega bene Sergio Segio in un testo pubblicato qualche tempo fa sulla rivista Vita – anche nelle esperienze appena citate si poteva percepire l’esistenza di “un paese comunque più civile e avanzato dei suoi rappresentanti politici, in maggioranza schierati per la permanenza dell’ergastolo, tentennanti o silenti”. Allo stesso modo, dal basso, “dalla capacità di proporre riflessione, confronto, sensibilizzazione e iniziativa, sia all’interno delle carceri che della società libera”, partirono in quegli anni le spinte che poi sono state all’origine delle innovazioni più avanzate della riforma Gozzini (1986).
Perché, allora, questo non può accadere oggi? La battaglia politica per l’abolizione dell’ergastolo può essere portata avanti da ognuno di noi nelle forme e nelle modalità che gli sono più consone, mantenendo ferma all’orizzonte l’idea del necessario superamento della più antistorica delle nostre istituzioni: il carcere. Un obiettivo di civiltà e progresso, che oggi non può e non deve più essere considerato utopia.