Il 16 novembre scorso, al Centro di documentazione territoriale Maria Baccante di Roma, i racconti di Alessandro Portelli, Lidia Piccioni, Alessandro Triulzi, Paolo Isaja e Ambrogio Sparagna si sono alternati nel corso di un incontro di circa tre ore, organizzato dall’Associazione italiana di storia orale (AISO) in occasione della sua assemblea annuale. Un tentativo riuscito di ricordare “la memoria della ricerca della memoria”, grazie alle esperienze di chi da oltre mezzo secolo raccoglie storia orale.
Doveva essere presente anche Franco Ferrarotti, morto lo scorso 13 novembre. Così l’incontro ha avuto inizio con l’ascolto di uno stralcio di una sua intervista, realizzata qualche anno fa dalla storica Giulia Zitelli Conti. Il sociologo ripercorre i primi passi della sua ricerca: un viaggio in autobus dall’università sino al capolinea e una esplorazione del territorio raggiunto (l’Acquedotto felice, San Policarpo, il Quadraro), nel quadrante est della capitale: “È stata la mancanza di fondi a creare la nostra ricerca sulle borgate”.
Sono gli anni Sessanta del secolo scorso, chi se lo può permettere parte oltre oceano, fa ricerca a Chicago, intercetta la vecchia e nuova scuola dell’ecologia sociale urbana, incontra il collettivo Martin Luther King. Alessandro Triulzi, dopo l’esperienza statunitense, viaggia anche nell’Africa subsahariana, e lì raccoglie storia orale, per ricostruire quelle fonti che non è possibile reperire all’interno degli archivi coloniali, con risultati che lui stesso definisce discutibili, e questo è un cruciale passaggio: il ragionamento, la messa in discussione, perché le fonti orali assumono valore storico e storiografico nel momento in cui si è capaci di analizzarle, di criticarle.
Ascolti, impari, ragioni, canti. È la sintesi ideale di chi lavora con e per la storia orale.
C’è chi raccoglie suoni e voci con un registratore a nastro, chi si arma di una videocamera, chi racconta il problema della casa nelle borgate, chi le consulte popolari che dopo la guerra si preoccupano dei problemi delle periferie. Ci sono tracce sonore e visive delle lotte, delle battaglie, dei dissidi nelle strade: sono repertori preziosi, oggi per la maggior parte dispersi e in minima parte acquisiti dagli archivi Rai. C’è chi vive in provincia e suona con la banda, canta storie di tradizione, poi conosce musicisti e amanti della musica popolare e suona fuori dalla provincia, dà il via a un precipitoso contagio e coinvolge tante bande e tanti suoni. Scende nelle strade delle città, organizza concerti comunitari, partecipa alla straordinaria esperienza della scuola di musica popolare realizzata dal circolo Gianni Bosio.
Queste esperienze degli anni Sessanta proseguono nei decenni successivi e arrivano sino a oggi, passando per la raccolta di racconti dei primi protagonisti dei fenomeni migratori verso l’Italia (Triulzi ha ricordato il lavoro fatto all’interno del cosiddetto “Hotel Africa”, il magazzino delle Ferrovie dello Stato situato alle spalle della stazione Tiburtina di Roma, che è stato per anni adibito a casa autogestita da centinaia di richiedenti asilo in attesa di permesso). Di tutte queste ricerche, questi percorsi di raccolta di memoria spesso frammentati, rimangono tracce sparse, grazie all’archivio del circolo Gianni Bosio, all’Archivio Memorie Migranti, alla scuola di italiano per stranieri Asinitas, alla collana di storie sulla città di Roma diretta da Lidia Piccioni, ai tanti cori di quartiere che conservano e divulgano il canto popolare.
La scelta del Centro di documentazione territoriale Maria Baccante non è stata casuale. Il centro conserva l’archivio della fabbrica Viscosa che insisteva nel parco che lo ospita, e cerca di approfondire temi che sono legati in senso lato alla documentazione e all’archiviazione. In questa mattinata fredda siamo riscaldati da racconti appassionati, piccole biografie di ricercatori esperti, generosi, fini intellettuali fuori dai salotti. Sono storie che hanno arricchito il bagaglio di conoscenze di chi era ad ascoltare, donne e uomini appassionati di storia orale, avidi di memoria. Tuttavia, mi pare solo un punto di partenza. Ora, credo, si può spalancare un portone. Ma come “usare” la storia orale? Oltre a continuare la raccolta di memoria – esercizio necessario ed essenziale – come mettere mani in tutta quella già archiviata? Come fare uscire i racconti dai faldoni, dagli archivi più o meno ordinati, dai cassetti dei ricercatori e consegnarli alle comunità, ai giovani, alle scuole, ai quartieri e alle strade? Questa per me è la grande sfida.
All’inizio dell’incontro Sandro Portelli ha ricordato Giuseppe Morandi, fotografo, cineasta, figura chiave della Lega di cultura di Piadena. Chi ha avuto la fortuna di partecipare alla festa di Piadena, organizzata ogni anno da Gianfranco Azzali, lo avrà conosciuto, o avrà potuto assaggiare la profondità, la bellezza, la gioia di condividere storie, vite, vicende attraverso il canto. È una festa di musica partecipata da centinaia di persone dall’Italia e dal mondo, un’occasione originale e rara in cui non ci si scambia bigliettini da visita ma stornelli, strofe, melodie, nuove interpretazioni. Ecco, l’auspicio è che si trovino forme nuove di danza, di teatro, di drammaturgia radiofonica, di disegno, di pittura, di video-arte, di gioco, per traslocare la storia orale dagli scaffali in cui è conservata nei corpi delle persone.
Chi ha mai provato l’esperienza di cantare insieme ha sperimentato come la voce, il corpo, il respiro si sappiano impastare con i contenuti dei testi, una interpretazione che è capace di diventare immedesimazione e incarnazione. Se il “lara, lallara, lallara, lallalà; lara, lallara, lallara, lallà” di Te possino dà tante cortellate si scandisce e sussurra, ogni “lalllara” è una lama sottile che infilza e punisce. E se la storia cantata è una storia collettiva, allora la sofferenza del disertore, la rabbia del partigiano, il livore dell’operaia sfruttata diventano sentimenti e vicende possibili da ascoltare, imparare, ragionare, cantare. Così quella sintesi “ascolti, impari, ragioni, canti” diventa formula antitetica al “produci, consuma, crepa”. (marzia coronati)