Agnes Gereb è un’ostetrica ungherese. L’operatrice sanitaria è in carcere per “negligenza durante un parto in struttura extra-ospedaliera”, all’esito del quale è morto il neonato. Era il tremilacinquecentesimo bambino che l’ostetrica aiutava a nascere. La sua storia è raccontata in Freedom for birth, un documentario realizzato dagli inglesi Toni Harman e Alex Wakeford che raccoglie le testimonianze di decine di donne che hanno partorito grazie all’aiuto di Gereb. Nel processo sono emerse diverse prove a difesa dell’ostetrica: Agnes ha assistito al parto di una donna giunta presso la Casa di maternità di Budapest Sunlight Birth House a travaglio già iniziato e con i segnali di un parto precipitoso; alla donna, seguita durante la gravidanza, la stessa ostetrica aveva vivamente sconsigliato il parto extra-ospedaliero, a causa di un disturbo della coagulazione del sangue; il personale della casa di maternità e l’ostetrica hanno compiuto sul neonato, nato con difficoltà respiratorie e problemi circolatori, tutti i tentativi di rianimazione possibili; l’ambulanza, benché immediatamente chiamata dai sanitari, è giunta con gravissimo ritardo, come ammesso dagli stessi responsabili del servizio ambulanze ungherese.
Nonostante queste circostanze, oggi Agnes Gereb è condannata alla pena detentiva. Non è servita a nulla neanche la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato lo stato ungherese ad adottare le misure più idonee per garantire il diritto delle donne di scegliere dove e come partorire.
Nasce proprio dalla visione del film Freedom for birth l’idea di un gruppo di donne di Roma di unirsi in collettivo, per lottare per il diritto della donna a scegliere nel momento del parto. Il gruppo si chiama Freedom for birth Rome action group, ha neanche tre mesi di vita ed è composto da ostetriche, avvocate, psicologhe, mamme, attiviste unite dal desiderio di rendere le partorienti consapevoli di quello che possono fare e decidere.
“Consideriamo la posizione della donna in occidente e la sua conquista di spazio all’interno di una società maschilista. È vero che ha raggiunto ruoli impensabili fino a soli sessant’anni fa, conquistando i titoli (maschili) di dirigente d’azienda, ministro, capo reparto, ma all’interno di una logica di progresso ha perduto la capacità di dare alla luce i suoi frutti. Oggi la donna non sa più partorire. Il dato spaventoso dell’1% di nascite naturali al mondo dovrebbe far riflettere”, scrive il famoso ostetrico francese Michel Odent.
Che vuol dire che le donne non sanno più partorire? La sempre maggiore “patologizzazione” del parto, spiega l’ostetrica Gabriella Pacini, del Freedom for birth Group, toglie autonomia alla donna, che non è più consapevole di quello che è capace di fare. «Ci si comporta come se il parto fosse sempre un evento a rischio, in questo modo sono gli operatori stessi che creano la patologia», racconta. «I medici hanno paura di venire denunciati per delle cose di cui non devono rispondere direttamente, questo accade perchè noi chiediamo alla donna una delega completa, mentre bisognerebbe ridimensionare il ruolo del medico e favorire il parto attivo, perchè la donna sa partorire».
La paura del medico ha alimentato sempre più la cosiddetta medicina difensiva ed è anche per questo che in Italia la percentuale dei parti cesarei ha raggiunto addirittura il 40%, rispetto al 15% della media europea. Secondo un’indagine recente del Ministero della salute il 43% dei cesarei effettuati non è necessario. “L’obiettivo non dovrebbe essere quello di eliminare il cesareo – scrive Michel Odent – che è una magnifica operazione di soccorso. L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare le condizioni affinché il maggior numero possibile di donne partoriscano il bambino e la placenta grazie al rilascio degli ormoni naturali”. Per favorire il rilascio degli ormoni naturali, Gabriella Pacini consiglia il parto in casa. Secondo la letteratura scientifica il parto a domicilio, in caso di gravidanze non a rischio, non aumenta le possibilità di infezioni, patologie, esiti negativi e in molti paesi è tornato a diffondersi, come in Olanda, dove il 30% delle donne oggi decide di partorire in casa. In Italia questa tendenza è ancora poco diffusa, probabilmente anche a causa della scarsa integrazione tra l’assistenza ospedaliera e quella extra-ospedaliera.
«È importante ricordare che il luogo più sicuro dove partorire è quello dove ci si trova a più agio – conclude Gabriella Pacini – perchè favorisce una cascata ormonale che rende il parto più veloce e facile. Se noi invece attiviamo un percorso medicalizzato dove non ce n’è bisogno non beneficeremo dei vantaggi, ma solo degli effetti collaterali di questa medicina».
Tra le attività del Freedom for birth Group, c’è l’informazione su quello che può accadere in sala parto e su quali sono i diritti della donna. Pratiche che ormai sono diventate di routine – clisteri, tricotomia, episiotomia – devono essere realizzate solo dopo il consenso, e l’allontanamento del bambino subito dopo il parto non deve essere la regola ma una decisione della mamma. Il gruppo per il futuro vorrebbe che gli ospedali adottassero una Carta dei diritti per la partoriente e che rendessero pubblici i dati degli interventi ospedalieri eseguiti durante i parti. (marzia coronati)