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17 Gennaio 2023

Caso Cospito, l’accusa di strage come atto politico

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(disegno di cyop&kaf)

Alfredo Cospito non ha ucciso nessuno ma è in carcere, al 41-bis, con modalità afflittive che rasentano la tortura, condannato per “strage”.

Ora, se uno cerca “strage” sul dizionario Treccani, la prima definizione che trova è “uccisione violenta di parecchie persone insieme”. Invece se uno lo cerca sul codice penale trova all’art. 422 una definizione diversa: è colpevole di strage “chiunque […] al fine di uccidere compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità”. C’è un evidente scarto di senso fra il significato della parola nel senso comune e quello che assume nel codice penale, uno scarto che permette di applicare la norma alle fattispecie più disparate.

Nel 1998, un magistrato arrivò addirittura ad accusare strumentalmente di “strage” Rosario Bentivegna e gli altri partigiani che avevano agito a via Rasella – non per la legittima azione di guerra contro gli occupanti nazisti, ma per avere usato un “mezzo offensivo” atto a “porre in pericolo la vita e l’incolumità personale non soltanto di chi costituiva l’obiettivo dell’azione, ma anche di tutte le altre persone che per avventura fossero state presenti o si fossero trovate a transitare in via Rasella o nelle zone adiacenti”. La parola chiave è “per avventura”:  per la legge, perché si dia strage è indifferente che si sia verificata o meno una “uccisione violenta” di persone; basta immaginare che “per avventura qualcuno avrebbe potuto farsi male” (da notare come la clausola finale dell’articolo di legge, “pubblica incolumità” sia molto più ampia e generica di quella iniziale, “al fine di uccidere”. E comunque non è affatto provato che il gesto di Cospito avesse il fine di uccidere e non fosse solo un atto dimostrativo).

La peculiarità del reato di strage dunque sta in primo luogo in quel “per avventura”, “atto a”. Per capirsi:  affinché ci sia furto bisogna che qualcosa sia stato rubato, affinché ci sia omicidio bisogna che qualcuno sia stato intenzionalmente ucciso: se no, è tentato furto, tentato omicidio o omicidio preterintenzionale. Solo per il reato di strage un danno tentato o anche solo possibile (secondo l’inquirente) spedisce all’ergastolo al pari di un massacro con spargimento di sangue.

Tra via Rasella e la vicenda di  Cospito esistono differenze abissali; ma lo scivolamento semantico tra il senso comune e il senso giuridico della stessa parola aiuta a capire il parallelo tra l’uso che si è fatto di questo strano reato. Nel caso di via Rasella, facilita strumentalmente la confusione nell’opinione pubblica tra la ipotetica strage “per avventura” e l’azione contro i nazisti, facendo quindi passare per criminale l’intera Resistenza. Nel caso di Cospito, fatte salve tutte le proporzioni, alimenta lo stereotipo degli anarchici bombaroli sanguinari (rinforzato descrivendo la Federazione Anarchica  Informale come una struttura gerarchica simile alla mafia – che sarebbe poi l’obiettivo dichiarato del 41bis). In altre parole: il codice finge di definire la strage come reato comune ma lo trasforma in reato politico. Dopo tutto, l’art. 422 del codice penale vigente ricalca parola per parola quello analogo del codice fascista Rocco del 1930, salvo che allora la pena prevista era la morte, e se non facciamo qualcosa questa rischia di essere anche la pena finale di Alfredo Cospito. (alessandro portelli)

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