
IL NIDO
Marco Galli
Coconino Press, 168 pagine, 23 euro
Marco Galli ha scritto un fumetto in cui vengono raccontate cinque giornate che Adolf Hitler trascorre in un rifugio sulle Alpi Bavaresi, tra il 3 e il 7 giugno del 1944. Non sono date casuali, considerando che il 6 giugno di quell’anno coincide con il D-Day, lo sbarco in Normandia.
Il nido, questo il titolo del fumetto, mostra il Führer circondato da alti funzionari, medici e altri “cortigiani”, insieme alla compagna Eva Braun e il fedele cane Blondi raccolti nella residenza-rifugio: da qui Hitler dirama ordini, segue l’avanzamento della guerra e passa il tempo tra feste, cene e abbondanti dosi di droghe per “lenire i suoi dolori”. Il cancelliere del Terzo Reich appare quindi allucinato, in preda alla paranoia, incapace di accettare la sconfitta incalzante nonostante gli appelli alla ragione dei suoi generali. Lo sguardo assente, i suoi atteggiamenti oscillano tra il riflessivo, l’allucinato e il rabbioso, soprattutto quando si lancia in sperticate difese della causa tedesca.
Ma siamo in un fumetto di Marco Galli, di conseguenza quello che leggiamo ne Il nido non sarà solo il ritratto umano di un mostro: l’autore non si è limitato a offrire un provocatorio incontro con quello che storicamente è il male assoluto per mostrarcene fragilità e contraddizioni. E non si tratta nemmeno di restituirci uno spaccato dell’alta società del Terzo Reich in un momento così cruciale. È dunque importante chiedersi perché? Perché Hitler? Perché proprio quei giorni, con quelle persone? E perché proprio Il nido?
Siamo in un luogo isolato, in un contesto che davvero ricorda quello di una corte regale, con le sue maschere e i suoi riti: la realtà della guerra (e, soprattutto, della possibile sconfitta), qui può essere negata, in un sogno cui contribuiscono le feste e le droghe. Gli imperativi sono il riposo e il divertimento, in particolare per lo stanco e stressato Führer. Aprendo il fumetto di Marco Galli, abbiamo subito l’impressione che ci sia qualcosa oltre le apparenze di questa realtà artificiale: la prima sequenza, in cui Hitler passeggia nel bosco e incontra un cervo inseguito da un cacciatore, è carica di simboli che si ripeteranno per tutto l’arco narrativo. Ma è l’utilizzo del colore rosso che mette in guardia lettori e lettrici: questo compare nei momenti e nelle forme meno prevedibili, si inserisce nelle sequenze come un flash improvviso e lo troviamo connesso agli elementi più disparati, dal sangue alla droga, dal desiderio al sogno. C’è qualcosa di nascosto, di represso, che serpeggia tra le Alpi Bavaresi in cui si sono rifugiati i funzionari del Reich. Da questo punto di vista, fondamentale è la scelta degli altri colori: Galli racconta un mondo dalle tinte spente, in cui dominano l’azzurro, il verde, il marrone, tutti con sfumature che tendono verso il grigio.
Con il procedere della storia, il nido comincia quindi a configurarsi come luogo chiuso, certo, ma anche come un’idea protettiva, uno spazio in cui si mantiene vivo un sogno scambiato ormai per realtà. Hitler guarda le montagne dall’interno di una finestra a grate che finisce per coincidere con le vignette, le quali frammentano anche il racconto e i pensieri del Führer, lo imprigionano nella sua paranoia e insicurezza. Il layout è infatti uno dei tratti stilistici più interessanti del fumetto: sono molte le sequenze composte da una fitta serie di primi piani, che mostrano sguardi, reazioni, intese, silenzi e danno all’intera opera un taglio decisamente cinematografico (tipico dei fumetti di Galli).
La regia (è proprio il caso di usare questo termine) è gestita in maniera magistrale nella scelta delle inquadrature, con soluzioni inusuali come il montaggio parallelo di alcune sequenze o i numerosi passaggi “da aspetto ad aspetto”, che separano in vignette diverse dettagli della stessa scena. Il risultato è una narrazione che pare rigida, netta, fatta da uno sguardo (o da una telecamera, per restare nel linguaggio cinematografico) implacabile e schizofrenica come i personaggi che inquadra. L’impaginazione è claustrofobica come le menti dei protagonisti e come i corridoi del nido mentre il ritmo si carica di tensione, grazie a questa particolare attenzione ai gesti minimi. Questo focus sui volti, sulle occhiate e le espressioni del viso, rende l’idea di un luogo con delle regole tutte sue, per cui una parola sbagliata può metterti in cattiva luce.
Ma i richiami al cinema non sono finiti. In giornate in cui il sogno del Reich si sta sgretolando rapidamente, Hitler diventa insofferente agli sguardi, ai riflettori e anche alle telecamere: l’autore ce lo mostra irritato durante le riprese per la propaganda e subito desideroso di ritirarsi, di passeggiare nei boschi, pensare alla sua infanzia e alle possibilità di una vita normale. Di nuovo, non credo sia l’umanizzazione del Führer qui a essere centrale, quanto piuttosto i giochi di specchi tra realtà e finzione. Interessante a questo proposito la scena in cui Hitler si reca nella sala proiezioni per vedere un film di Charlie Chaplin, Charlot soldato. È nota la parodia che l’attore inglese fa del cancelliere tedesco nel celebre Il grande dittatore, ma ne ll nido vediamo Hitler divertirsi davanti al lungometraggio di Chaplin, come in un momento di evasione (che, oltretutto, riguarda proprio la guerra), finché, in uno scambio di parti, mentre esce dalla sala assume la famosa posa chapliniana, che lo inquadra di spalle con il bastone e i piedi puntati verso l’esterno. Di nuovo vediamo un uomo ingabbiato nel ruolo che egli stesso si è costruito, un grande attore (come lo stesso Chaplin ha definito il dittatore), con la tentazione di recitare una parte diversa.
Galli sembra dirci che la realtà fatta di paradossi di Charlot, l’ironia, l’ambiguità, albergano in chiunque, anche in un uomo che ha tentato di estirparle da se stesso (e, contestualmente, dal mondo). Sono lì, nei sotterranei della casa che dovrebbe proteggerlo, nei corridoi in cui si aggira la figura del cacciatore, controparte del Führer per l’intero fumetto. E non è un caso allora se la sequenza dello sbarco in Normandia viene rappresentata come un cartone animato in bianco e nero: se ci troviamo in un mondo in cui è la finzione del Reich a costituire la sola realtà, una fantasia che è anche una festa del potere e dei suoi riti, allora la cruda realtà della guerra e della morte non può che essere un’invenzione, una commedia. Con questo originale espediente, Galli fa stridere le linee dei suoi disegni, costringe chi legge a guardare le sequenze ambientate sulle Alpi come un edificio sul punto di crollare, o di esplodere, come si vede nella copertina. Qui anche la rigidità delle vignette vacilla, la pagina va in frantumi e prevalgono le linee diagonali. La colonna sonora delle ultime sequenze potrebbe essere un rumore bianco, uno stridore prolungato che in molti film annuncia la presenza di qualcosa d’altro, invisibile e ovunque.
Al finale sembra mancare qualcosa, come se il sogno del nido sulle Alpi terminasse troppo in fretta, con una rapida allusione alla Storia e alle conseguenze che avrà su Hitler e sul suo entourage. Ma se letto attentamente, Il nido è molto più di un fumetto che racconta un preciso momento storico: Galli riesce a mantenere quel tratto onirico e surreale fortemente ancorato alla realtà che è proprio dei suoi libri (tra gli altri Le chat noir, La notte del corvo, Epòs e Dentro una scatola di latta), raccontato attraverso la volontà di sperimentare sia con il racconto che con la grammatica del fumetto, in particolare col montaggio. In conclusione, perché questo fumetto? Perché proprio Hitler nel nido? Le interpretazioni possibili sono sempre molte, basti pensare alla figura del cacciatore, centrale ed enigmatica (e che infatti mi sono guardato bene dal toccare). Ciò che però risulta chiaro, è che le illusioni collettive non sono finite col nazismo: alcune di quelle che viviamo come realtà potrebbero essere una grottesca e terribile mascherata. (rodolfo dal canto)