
Torino, piazza Castello (21 e 22 gennaio)
I CRA (Comitati Riuniti Agricoli) hanno lanciato un appello alle piazze torinesi e hanno aderito alcuni gruppi che si erano consolidati al tempo del movimento No Green Pass, trainati dalla Variante Torinese. A differenza di altri, questi gruppi sono caratterizzati dallo spiccato personalismo di alcuni leader e dall’adesione a un repertorio molto ampio di teorie del complotto. È Marco Liccione, front-man della Variante, ad assumere un ruolo centrale durante i comizi di questi giorni, che spaziano dalla difesa dell’agricoltura e dell’eccellenza italiana al rifiuto dei diktat imposti dall’Unione Europea, colpevole di portare gli agricoltori ad abbandonare i campi in favore di pannelli solari e farine di grillo.
La domenica in piazza ci sono circa quattrocento persone, tra cui qualche dozzina di agricoltori. Viene rilanciato un appuntamento per il giorno dopo, lunedì, di fronte agli uffici afferenti al ministero dell’agricoltura, dove si vorrebbe bloccare tutto. Il giorno dopo, però, di fronte ai cancelli ministeriali, nella periferia, ci sono più celerini e agenti della Digos che manifestanti. Nemmeno l’ombra di un trattore.
Torino, piazza Castello (28 gennaio)
Alla fine ha bruciato davvero la bandiera dell’Unione Europea: Liccione stavolta ha mantenuto la promessa. Il suo è un intervento classico, allineato a quelli della domenica precedente: dichiara la solidarietà agli agricoltori, la volontà di difendere l’eccellenza italiana e di contrastare i poteri forti, si scaglia contro le politiche “green” che vogliono sottrarre la terra all’agricoltura per mettere i pannelli fotovoltaici, eccetera eccetera. Più breve l’intervento di Danilo Calvani, il leader dei CRA. In poco più di un paio di minuti sintetizza i luoghi comuni che avevano caratterizzato il discorso populista nel corso del precedente decennio. Danilo è un forcone, un agitatore formatosi una generazione politica fa. Nonostante il suo discorso riesca ancora a fare presa sulla piazza torinese, sembra quasi fuori posto, circondato dai leader della galassia NoVax torinese.
Poi François-Marie Périer, voce del movimento NoVax francese, sale sul palco. Danilo gli va incontro e cinge il collo dell’oratore con un tricolore italiano. Anche Danilo indossa la bandiera francese. Più lontano, ai limiti dell’assembramento, il pubblico rimane piuttosto sonnecchiante. D’altronde è domenica pomeriggio, e siamo poco più di trecento persone. «Grazie!», esclama François. «Sono molto commosso! Perché abbiamo voluto partecipare a questa manifestazione? Perché è in corso una guerra totale contro la vita, una guerra che si fa contro i corpi così come contro la terra. È una guerra che è cominciata tanti anni fa e che oggi si cerca di far passare per il progresso e per il futuro. Dicono che noi siamo contro l’Europa. Non è vero. Noi siamo tutti europeisti, nel senso che crediamo nel progresso dei popoli. E siamo ventisette paesi in Europa, e 447 milioni di abitanti. Tra questi decine di milioni hanno rifiutato le iniezioni, la dittatura sanitaria, questa guerra contro la vita!». Si canta la marsigliese, si canta l’inno di Mameli.
Alessandria e Novara (31 gennaio)
Arriviamo in campagna in ritardo. Il presidio permanente di Alessandria, in piazzale Milite Ignoto, prosegue già da una settimana, eppure a Torino non ne sapevamo nulla. Le manifestazioni procedono anche a Vercelli, Novara, Cuneo ed altre località. Nulla sulle chat dei gruppi No Green Pass, intasate di post e commenti, quasi nulla sui media mainstream che si limitano a riportare, spesso solo il giorno dopo, se ci sono stati dei blocchi o delle manifestazioni. Gli stessi comizi della domenica non hanno mai fatto riferimento a quanto stava accadendo fuori dalla città. Gli agricoltori, a loro volta, non sanno nulla di chi si stia mobilitando in solidarietà alla loro lotta a Torino, e sono genuinamente sorpresi quando vengono a sapere che siano i movimenti No Green Pass a portare avanti la mobilitazione. Ci tengono a sottolineare, più di qualunque altra cosa, la propria completa autonomia da ogni altra realtà politica e sociale: prendono le distanze dai sindacati agricoli, da CIA e da Coldiretti, da tutti i partiti politici, dai CRA di Danilo Calvani, dai movimenti No Green Pass. Sono qui, dicono, per parlare di terra, di cibo, di lavoro, per obbligare la politica ad affrontare i loro problemi. Sono qui perché gli agricoltori di tutta Europa si stanno ribellando a una Politica Agricola Comune (PAC) completamente insostenibile.
Dalla piattaforma rivendicativa firmata dagli Agricoltori Autonomi di Alessandria ed Asti leggo il rifiuto per “le politiche eccessivamente restrittive (revisione del Green deal europeo) a discapito della produzione agricola e della produzione di cibo per i consumatori”. Inoltre si richiede un minor “consumo di terreni per strutture non agricole (fotovoltaico e agrivoltaico)” e la “eliminazione di ogni forma di contributo per disincentivare la coltivazione”. Noto anche la richiesta di una semplificazione delle procedure burocratiche. Il figlio di un imprenditore agricolo mi spiega il significato: «La PAC si basa sul sistema dei “gettoni green”. Questo sistema è regolato da premi definiti secondo diversi standard che solo un’attenta gestione manageriale della produzione può sperare di ottenere. Gli imprenditori agricoli, a parte i più piccoli, sopravvivono solo grazie a questo sistema di sussidi, che in qualche modo indirizza la produzione e la pianifica dall’alto. Sono imprenditori solo di nome, perché nei fatti dipendono dall’Europa. Se consideri che la gran parte degli agricoltori fa fatica a capire anche solo le basi di questo sistema, il risultato è che le grandi imprese riescono a ottenere la gran parte dei finanziamenti, e la gran parte di noi sta andando verso il fallimento».
Dopo un’ora e mezza, i trattori che hanno intasato lo svincolo di Alessandria tornano al piazzale. Suonano il clacson furiosamente mentre i tricolori sventolano alti sopra le pale ed i tettucci. Complice un cielo terso e azzurro, fanno davvero un grande effetto. Dopo aver parcheggiato, si mangia e si beve assieme. La cassa spara La gente come noi remixato ed altri capolavori della musica neo-dance. Intorno a noi imprenditori giovani e vecchi, donne e uomini, trattori enormi, dal valore stratosferico, e piccoli e vecchi arnesi. Un signore con cui parlo mi fa vedere una foto dal suo cellulare: in questa c’è un bambino e due buoi, enormi, attaccati ad un aratro. «Questo sono io, e questi sono stati il mio primo trattore», mi dice orgoglioso.
«Siamo qui oggi in piazza per rivendicare i nostri diritti ma soprattutto la nostra dignità lavorativa, soprattutto in questi ultimi anni che hanno sempre cercato di metterci i piedi in testa. Noi siamo i primi difensori del territorio e dell’ambiente! Questo non deve essere travisato! Noi siamo a favore della sostenibilità ambientale! Lo siamo eccome, quando questo ha un senso! La sostenibilità ambientale deve essere anche affiancata da quella agricola e da quella economica, perché noi lavoriamo, spendiamo, investiamo nella nostra vita per dar da mangiare alla gente e non vogliamo inquinare, fare, fregare. Noi vogliamo semplicemente lavorare con dignità e a oggi questa condizione non è assolutamente rispettata perché arriviamo a casa la sera dopo dodici, quattordici ore di lavoro.» (Arianna, allevatrice dell’alessandrino).
Appunti dei primi giorni di febbraio
Cosa ci dicono le proteste degli imprenditori agricoli di mezza Europa? Cosa ci dice la riemersione dei movimenti No Green Pass in supporto alla loro protesta? Ci dicono che il coraggioso mondo verde costruito dalle élite, crisi dopo crisi, è un mondo di sacrifici, o meglio di sacrificati. Prima i lavoratori indisciplinati, ora i piccoli e medi agricoltori. Perché è questo il succo della green transition: ristrutturare il capitale, spingere l’acceleratore a tavoletta sull’innovazione tecnica. Non importa se i trattori rimangono indietro, non importa se qualcuno non vuole accettare che il proprio corpo venga vaccinato e rimesso al lavoro. Si può farne a meno.
Ora “green” è tutto ciò che innova, “green” è tutto ciò che permette l’apertura di un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica. È la vecchia offensiva alla classe operaia scagliata attraverso l’innovazione tecnica, con la differenza che adesso una parte della classe operaia è stata educata a credere di essere molto più sostenibile e intellettualmente superiore rispetto alla restante, “irresponsabile” o “inquinante”. E se questo dividi et impera funziona perfettamente per legittimare nuove forme di accumulazione, ha completamente fallito nel ridurre il danno ambientale. Dell’acidificazione degli oceani al cambiamento climatico, dalla riduzione della biodiversità al consumo di suolo, il capitalismo green distrugge, estrae, inquina e ammala persino più della sua versione novecentesca.
In questo contesto la sinistra impiega il linguaggio coniato dalle élite trottando gioiosamente verso la propria estinzione, la destra cerca di strumentalizzare il dissenso nel comprensibile sforzo di riuscire almeno a riprodurre il proprio miserabile ceto politico e i movimenti ecologisti rimangono ancora una volta confusi e spezzati. In completa autonomia rispetto a tutto ciò, nascono l’internazionale cospirazionista e l’internazionale del trattore. La prima eversiva, insurrezionale, cittadina e impoverita. La seconda corporativa, dedita alla concertazione (in Italia) o insurrezionale (in Francia), contadina e indebitata. La prima conia linguaggi, si candida a rappresentare la seconda, cerca la convergenza. La seconda quasi non si accorge di questo tentativo, separata da un abisso chiamato provincia.
Da lunedì 5 febbraio i trattori sono però arrivati sulla tangenziale, hanno quasi saltato il fosso. Mentre in Francia la mobilitazione cala, i trattori italiani si preparano a conquistare il palco di Sanremo, ed è sempre più difficile immaginare cosa ci si possa aspettare in questo coraggioso, nuovo, mondo verde. (erasmo sossich)