Si svolgerà venerdì 28 giugno, al Parco sociale Ventaglieri di Napoli, la NoBorder Fest, promossa dalla Ong Mediterranea Saving Humans.
La giornata si aprirà alle 18 con l’incontro Noi capitani! Dalla criminalizzazione della solidarietà al controllo delle frontiere e gli interventi di Alessandro Metz (armatore sociale), Enrica Rigo e Carlo Caprioglio (Clinica legale università Roma3), Stella Arena, Dario Belluccio ed Erminia Rizzi (Asgi), Richard Braude e Bakary Cham (Arci Porco Rosso), Laura Marmorale (Mediterranea Saving Humans). Dopo l’incontro musica, cibo, socialità e aggregazione contro le frontiere.
Pubblichiamo a seguire una riflessione sul rapporto tra l’inasprimento del livello di repressione giuridica delle condotte solidali in mare e la criminalizzazione sociale di chi infrange questo genere di norme.
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Sono tre al momento i processi in corso davanti al tribunale di Napoli per il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Gli imputati rispondono dell’articolo 12 aggravato del Testo unico sull’immigrazione, per aver condotto una piccola imbarcazione in condizioni precarie, con a bordo numerose persone, dalle coste libiche verso l’Italia, fino al salvataggio in mare da parte delle Ong che le hanno poi condotte al porto di Napoli.
Appena sbarcati a Napoli, invece di ricevere i soccorsi, i migranti sono stati sottoposti a interrogatori serrati ordinati dalla Procura, come è ormai prassi consolidata, e a indagini finalizzate a individuare i presunti “scafisti” tra i naufraghi. Tutti gli imputati sono stati arrestati e tradotti nel carcere di Poggioreale con l’accusa di essere dei “capitani”: la condotta incriminata è aver governato una imbarcazione con più di cinque migranti e aver favorito l’ingresso di soggetti irregolari nel territorio dello stato italiano.
Come spesso accade per questi procedimenti, è stata immediatamente prevista l’applicazione della misura cautelare più afflittiva, il carcere, perché a dire della Procura sussiste il pericolo di reiterazione del reato. Quest’ultima circostanza tradisce la prospettiva distorta dei giudici italiani, che faticano a inquadrare le dinamiche migratorie al di fuori del paradigma del traffico internazionale di persone e degli schemi del reato associativo (un reato associativo che la Procura di Napoli alla fine mai contesta, perché non riesce a provarlo: tanto basta, però, per applicare la misura cautelare più coercitiva).
Nel caso specifico, nei provvedimenti cautelari si legge che gli indagati non sarebbero “semplici” migranti, ma verosimilmente parte di “una rete ramificata di favoreggiatori dell’immigrazione clandestina dalla Libia”, e pertanto in grado di reiterare il reato anche in Italia. Tutto ciò senza nessuna prova.
Dal canto loro, sin dalle prime dichiarazioni, i rifugiati non negano di aver posto in essere le condotte imputate, ma allo stesso tempo hanno sempre ribadito di essere stati costretti a far ciò da chi aveva organizzato il viaggio. Qui risiede il corto circuito del sistema: la vittima diventa carnefice, come l’eroe spesso diventa imputato.
L’articolo 12 TUI è uno strumento che sempre più viene utilizzato per criminalizzare la migrazione e la solidarietà. Il perché è insito nella formulazione stessa dell’articolo: il delitto di favoreggiamento dell’ingresso irregolare punisce a livello di tipicità (oggettiva e soggettiva) le condotte, anche se compiute con finalità solidaristiche, nel caso in cui agevolino in qualsiasi modo l’arrivo in Italia di stranieri privi di titolo per l’ingresso, integrando gli estremi dei delitti previsti ai comma 1 e 3 dell’articolo. Nella norma, insomma, non c’è margine di dubbio: anche se il fine dell’intervento è umanitario e non lucrativo, si viene puniti comunque per le ipotesi di favoreggiamento.
Contestualmente, esigenza della giurisprudenza era quella di rendere non punibili le condotte di soccorso in mare e di successivo trasferimento in Italia dei migranti quando compiute su indicazione delle autorità: il rischio di antigiuridicità della norma viene allora negato in quanto, in tal caso, il fatto sarebbe coperto dal necessario adempimento di un dovere o dallo stato di necessità. I soccorritori autorizzati non sono punibili per l’adempimento dell’obbligo di salvataggio, mentre ai trafficanti è addebitabile l’effettivo ingresso degli stranieri in Italia sulle navi dei soccorritori.
Se è vero, però, che anche il soccorso umanitario potrebbe risultare non punibile nel caso in cui sussistano gli estremi di una “causa di giustificazione”, per lo stato italiano lo stato di necessità, e le drammatiche situazioni dei campi di detenzione e tortura per migranti in Libia, non sembrano rientrare tra le ragioni che possono fondare la non punibilità delle condotte di chi fugge e sbarca sulle nostre coste. Stesso discorso vale per le genuine finalità umanitarie, non considerate sufficienti nel caso in cui messe in atto in condizioni che non configurano un imminente pericolo (superfluo far notare che il pericolo connesso allo stato di necessità non può riguardare il solo momento in cui i migranti sono esposti in mare, ma anche ciò a cui andrebbero incontro se si trovassero costretti a tornare da dove sono partiti – in Libia, nel nostro caso).
In questa storia, è evidente, si intersecano due piani: quello processuale-giuridico e quello politico, ovvero il tema delle frontiere e della violenza che esse esercitano sulle persone in movimento. Sul piano giuridico, l’articolo 12 TUI – una norma che per tutelare lo Stato e i confini punisce più condotte tanto da perdere la tipicità, principio del diritto penale – andrebbe rivista completamente. Allo stesso tempo bisognerebbe avere il coraggio di essere più radicali e chiedere l’abrogazione di intere norme che contrastano con i principi di solidarietà (il reato di immigrazione irregolare, articolo 10-bis del TUI) e le convenzioni internazionali (il decreto Piantadosi). Bisogna dire chiaramente che il bene meritevole di tutela, e con esso i confini, non possono essere tutelati più delle vite umane. (rosa battaglia)