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migranti
15 Gennaio 2018

Difendiamo chi difende. Helena Maleno rischia il carcere a Tangeri

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(disegno di otarebill)
(disegno di otarebill)

Il 31 gennaio l’attivista spagnola Helena Maleno sarà giudicata da un tribunale marocchino con l’accusa di tratta di esseri umani. Per questa pena rischia dai sei mesi di prigione fino all’ergastolo. Helena vive a Tangeri dal 2001, attraverso la sua Ong Caminando Fronteras, si dedica a monitorare quotidianamente lo Stretto di Gibilterra e ad avvisare i servizi di emergenza spagnoli e marocchini ogni volta che un gommone prova a raggiungere illegalmente la Spagna. Il suo telefono squilla incessantemente: la chiamano dal mare chiedendo soccorsi e lei gira la notizia al pubblico attraverso Twitter. Se i migranti chiamassero direttamente le autorità, probabilmente non riceverebbero risposta: è grazie alla pressione che Helena mantiene sulle autorità per il suo grosso seguito mediatico, che i responsabili sono costretti a intervenire.

Rendere visibile la quotidiana violazione dei diritti umani rappresentata dalle frontiere d’Europa provoca reazioni violente sia nelle forze di sicurezza che negli organi giudiziari. Helena è stata minacciata un’infinità di volte, aggredita nel 2014, periodicamente diffamata su giornali e social media; il suo sito web periodismohumano.com è stato rimosso per gli attacchi troppo frequenti; infine, in corrispondenza con la nuova ondata di criminalizzazione del soccorso in mare, è stata denunciata per tratta. Il processo si svolge in Marocco ma ha origine in Spagna: la Ucrif, unità anti-immigrazione della polizia spagnola, ha aperto un’inchiesta su di lei nel 2012, senza però riuscire a dimostrare nessun reato. Neanche quando la polizia marocchina, sempre su una richiesta partita dalla Spagna, ha messo il suo telefono sotto controllo, si è trovata alcuna prova di un suo ruolo nell’organizzazione dei viaggi, e l’attivista è stata nuovamente assolta. Per questo la nuova causa sembra basarsi esclusivamente su motivazioni politiche: Helena non è neanche accusata di perseguire fini di lucro, un requisito cruciale per l’accusa di tratta. Tra parentesi, il suo lavoro in Caminando Fronteras è completamente volontario – vive in affitto a Tangeri e lavora saltuariamente come consulente per Ong e come formatrice per la Croce Rossa.

Grazie al suo lavoro, durante tutti questi anni, siamo riusciti ad avere un’idea dell’entità della migrazione illegale, della quantità di persone che cercano di attraversare lo stretto, e di quante non riescono nell’intento, o perché rispedite indietro, o perché muoiono in mare. Helena mantiene i contatti con i familiari delle persone che partono, li avvisa quando c’è un naufragio, cerca di aiutarli a recuperare i cadaveri. Inoltre, Helena informa sulle condizioni dei migranti subsahariani nei quartieri più poveri di Tangeri, dove in migliaia attendono l’occasione propizia per raggiungere le recinzioni delle enclave spagnole di Ceuta e Melilla – le uniche frontiere terrestri tra l’Europa e l’Africa – nonché dei numerosi accampamenti di migranti nei boschi lì intorno, di tanto in tanto smantellati dalla polizia marocchina. Ha stabilito un rapporto di fiducia con i migranti in transito, che non sanno mai quando o se partiranno, ma che sanno di poter chiamare quando hanno bisogno di soccorso. Il suo ruolo sulla frontiera occidentale dell’Unione europea è simile a quello di Mussie Zerai nel Mediterraneo centrale, e come lui ha ottenuto premi e riconoscimenti, pur essendo continuamente vessata da chi dall’immigrazione ottiene veramente profitti.

Tanto per fare un esempio, si veda questo rapporto del 2016 che calcola la crescita dei guadagni dei mercanti d’armi europei con la vendita di sistemi di vigilanza per le frontiere. Con l’estensione delle recinzioni nell’est dell’Europa, nonché con l’aumento delle operazioni militari sulle frontiere, la spesa pubblica in armamenti si sta riciclando come spesa per la sicurezza interna. Aziende specializzate in sicurezza come Airbus, Finmeccanica o Thales ne traggono profitti milionari. Curiosamente, le compagnie che stanno facendo profitto sui sistemi di identificazione dei migranti – per esempio, Indra o Safran – sono le stesse che vendono armi in Nordafrica e in Medio Oriente, contribuendo molto significativamente a rendere invivibili i paesi da cui i migranti fuggono. Queste aziende guadagnano così due volte sulla pelle delle stesse persone, e sempre grazie all’esercizio della violenza. Ma alla sbarra degli imputati non vanno certo loro. (stefano portelli)

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