Ho cercato per anni di conoscere Giustiniano Zuccato, per ragioni profonde e complesse, personali anche, e oggi, dopo anni di ricerche, tentennamenti e scoperte, parlare con questo ragazzo – che per certi versi non ha smesso di avere vent’anni – mi dà l’idea di un’eredità. Nella nostra ultima telefonata abbiamo parlato, però, di una vicenda che non riguarda queste mie motivazioni, ma una delle sue tante vite, quella del librario-editore. Dal 1984 e fino a qualche mese fa, infatti, Giustiniano ha pensato e contribuito a portare avanti la Librairie italienne Tour de Babel a rue du Roi de Sicile, Parigi.
Dopo aver letto l’articolo Da Laterza a Parigi per amor di Puglia, la scommessa della libreria Tour de Babel, che un amico per caso mi ha girato, mi è sembrato ancora più urgente chiedere a chi ha messo in piedi questo luogo di raccontarne la storia. (gaia tessitore)
PARIGI, MITTERAND E GLI ESULI DEL ’77
Nella primavera del 1981, dopo un paio di visite a tre compagni del Veneto che da qualche tempo sono a Parigi, decido di rimanere anche io per qualche mese. Il 10 maggio Mitterrand viene eletto presidente e, subito dopo, le elezioni danno alla sinistra la maggioranza assoluta. La situazione dei rifugiati italiani (che pure all’epoca erano pochissimi a Parigi: la maggior parte di quelli che scappavano dall’Italia era sparpagliata per il mondo) cambia. Da paese a rischio, a tappa europea prima di partire verso un altro continente, la Francia si trasforma in terra accogliente. Io stesso pensavo di restarci solo per qualche mese, per poi andare in Messico.
Nel frattempo, Louis Joinet, fondatore del sindacato della magistratura nel 1968, responsabile dei dossier d’estradizione nei governi socialisti, si trova davanti una lista di cento quarantatré richieste di militanti politici italiani, spesso condannati senza prove ma a partire da dichiarazioni di “pentiti”; contatta due giovani avvocati dello studio di Henry Leclerc, grande avvocato della sinistra scomparso di recente, che seguono il caso degli esuli italiani; capisce che si tratta di un fenomeno politico che l’Italia non riesce a chiudere e che gli esuli hanno scelto l’esilio per rifarsi una vita: costringerli a nascondersi rischia di spingerli a ricominciare.
L’idea di proporre ospitalità ai rifugiati della lotta armata italiana, in cambio del loro impegno a non riprenderla, prende forma. La Dottrina Mitterand sarà ufficializzata nel 1985, ma già da fine 1981 l’accordo comincia a concretizzarsi. Per noi rifugiati è la possibilità di cominciare a immaginare una vita a viso scoperto e nel giro di qualche mese da cinquanta o cento, diventiamo quasi quattrocento. Va detto che quando si sono aperte le trattative con lo stato francese per regolarizzare la posizione degli esuli, abbiamo preferito che i primi a trovare certezza sul proprio status fossero i compagni che avevano condanne più pesanti; alcuni di noi, condannati a pene inferiori, ne restano fuori e vanno avanti con permessi di soggiorno trimestrali fino alla nascita dell’Unione Europea. In particolare, la mia posizione si risolverà nel 2006 quando, dopo una prima dichiarazione di prescrizione della pena, impugnata più volte dalla procura generale, e grazie alla perseveranza di Donato (Tagliapietra, ndr), che non ha mai smesso di lottare dall’Italia per ridarci la libertà, la Cassazione italiana ha dichiarato estinta la mia pena.
Una volta che ci siamo stabiliti a Parigi, però, dobbiamo imparare a sbrogliarcela, e anche se dalla famiglia arriva qualche soldo quasi nessuno di noi può vivere di rendita. Il primo lavoro che trovo è come lavapiatti, poi insieme a dei compagni di Milano cominciamo a fare cantieri di rinnovazione. Poi ci mettiamo a fare gli imbianchini, mi sa che a Parigi abbiamo creato la moda dei muri bianchi, perché fino a quel momento gli appartamenti avevano i muri rivestiti da carta da parati o tessuti verde o marrone, cha anche quando c’è il sole mantengono le case scure e tristi. Nel frattempo arriva a Parigi Mirco, figlio di falegnami, amico d’infanzia e complice da sempre. Iniziamo a fare dei mobili su misura, preparando i pezzi da montare nella cucina di casa. Mirco si diverte a tormentarmi: «Guarda che sei fuori squadra di due millimetri», senza neanche tirare fuori il metro, ha un occhio di una precisione terribile e in più ha sempre ragione.
Dopo tre anni di cantieri, imparato il francese e costruita una rete di nuovi amici, la voglia – quasi la necessità – di trovare un modo di vivere che riproduca il senso del collettivo praticato negli anni del movimento, torna a galla. Michela, la mia compagna dell’epoca, per un anno lavora da un fotografo, poi fa la commessa in una libreria, ma dura poco. Già da tempo, dopo il lavoro, andiamo da Antonio, il primo dei rifugiati parigini. È un grande grafico, ha lavorato per anni a Libération, poi si è messo in proprio e ogni tanto ha bisogno di un aiuto. I computer non esistono ancora, si fa tutto col cutter, incollando ogni striscia (o colonna) di testo su dei fogli millimetrati lucidi, lavorando sul banco luminoso. Antonio ci informa della possibilità di riprendere la gestione di una sala cinematografica, ma per fortuna la nostra offerta non viene accettata: sarebbe sicuramente stata un’avventura catastrofica.
LA LIBRERIA, I PRIMI PASSI, LA SVOLTA
Pian piano si fa strada l’idea di aprire una libreria italiana. In quegli anni, a Parigi, l’unico posto dove si possono trovare dei libri in italiano è La maison du livre Italien. Noi non ci andiamo mai, i prezzi sono altissimi, non hanno fumetti, idem per la saggistica che c’interessa. In letteratura non prendono rischi, propongono solo valori “sicuri” e i giovani scrittori non esistono. Ci convinciamo che c’è uno spazio da occupare. Ovviamente non sappiamo nulla su cosa significhi vendere libri, passiamo le serate a sfogliare i cataloghi degli editori, facciamo liste, ipotesi d’acquisto e via dicendo. Chiedo consiglio a due librai parigini che conosco, telefono a Primo Moroni, il fondatore della Calusca, la libreria del movimento milanese, che cerca di spiegarmi i fondamenti del mestiere ma anche il fatto che la Calusca si regge su altri criteri rispetto alle librerie tradizionali.
Ci mettiamo alla ricerca di un locale. Ogni mercoledì sera a mezzanotte vado a un’edicola a Pigalle che a quell’ora riceveva l’edizione de Le Figaro con otto pagine di annunci immobiliari. Tornato a casa passo due ore a spulciarli e dopo non so quanti mercoledì notte, quando comincio a non crederci più, trovo un annuncio incredibile, tanto che penso: “Qua manca uno zero!”. Resto sveglio tutta la notte, esco di casa che fa buio, e alle sei sono davanti al locale, in pieno Marais. Quando alle otto si presenta l’agente immobiliare sono il primo di una fila di quindici persone. Facciamo il giro del locale, novanta metri quadri, affitto di cinquemila franchi, molto basso. In agenzia firmo due assegni scoperti, uno per la cauzione di tre mesi di garanzia, l’altro per il primo mese d’affitto. Poi mi metto a cercare i soldi.
Gli amici francesi mi danno fiducia, come Gilles, un ex cliente a cui credo di avere fatto l’armadio a muro più brutto della storia (il mio primo armadio!), e così il primo luglio abbiamo le chiavi. Io mi occupo di imbiancare, Massimo disegna le librerie ispirandosi a quelle della City Lights di San Francisco, gestita dal poeta beat Ferlinghetti, e con Mirco, il suo aiutante argentino, si mettono a fabbricarle.
Per avere i libri dobbiamo aprire conti dai vari distributori in Italia. Anche lì riesco con l’aiuto di un compagno, Giovanni il tarantino, conosciuto a Padova e poi trasferitosi a Milano; il mestiere di psicologo non è fatto per lui e come noi ha bisogno di partecipare a un progetto che vada oltre il bisogno di un reddito. Giovanni arriva a Parigi la settimana dopo, quando io sto ancora con il pennello in mano a dare il bianco. Intanto Franco, amico elettricista, figlio d’immigrati ciociari, che già anni prima era riuscito a convincere il responsabile di una banca ad aprire un conto a mio nome anche se non avevo una carta d’identità, diventa il primo gerente della libreria, dato che né io né Michela abbiamo i documenti necessari.
Apriamo l’11 settembre 1984. I primi mesi sono un mezzo disastro, anche perché non abbiamo considerato che una libreria straniera deve avere prima di tutto i titoli per imparare l’italiano, e poi classici contemporanei in quantità. Ci chiedono Il Gattopardo, La Storia e via dicendo, le novità si vendono soprattutto una volta tradotte in francese. Teniamo duro ma il sospetto di aver fatto una follia è concreto.
Poco dopo l’apertura conosciamo Fortunato, racconta che aveva la stessa idea, ma che lo avevamo anticipato. Sono sicuro di averlo già visto e lui me lo conferma: ha gestito per anni Il Sole rosso, una libreria di Firenze in cui ero entrato qualche volta. Fortunato torna insieme a un uomo simpaticissimo, uno di quelli che crea empatia: è Mario Dondero, un grande fotografo noto per le sue foto realiste, sempre in bianco e nero, della gente semplice, dei quartieri popolari, ma anche degli scrittori.
Ci propone di fare una mostra sulle foto dal set de La Ricotta di Pasolini: i protagonisti sono i figuranti, proletari romani vestiti come i seguaci di Gesù Cristo, fotografati nei campi intorno ai palazzoni della periferia romana. Mario diventa un amico, ci chiede di tenere i giornali che comperiamo, per scoprire se qualche sua foto è stata pubblicata. Non ha mai lavorato con le agenzie e manda le fatture quando vede le sue foto riprodotte!
A maggio 1985 Michela parte ed è sostituita da Fortunato. In sei mesi la libreria comincia a girare, anche grazie a professori d’italiano e traduttori che iniziano a frequentarla. Fortunato mette a frutto i contatti sviluppati quando era libraio a Firenze e poi collaboratore della rivista Illustrazione Italiana edita dalla Guanda.
Giuseppe Pontiggia (Peppone), tra l’altro direttore all’Adelphi, e Vincenzo Consolo, sono tra i primi a diventare fedeli sostenitori della libreria. Poi sbarcano i nuovi autori dell’epoca come Daniele Del Giudice o Aldo Busi, ma verranno più volte Ginevra Bompiani, Elisabetta Rasi o Franco Cordelli. Tabucchi viene spesso a Parigi e quando scopre la libreria passa più volte a settimana.
Sono inoltre da sempre appassionato di fumetti, e così dedico una delle tre vetrine ai disegnatori italiani, noti o meno noti. Un pomeriggio entra Henri, un tipo che fa i mercati delle pulci con delle bancarelle di album usati, e incredulo di quello che trova, non solo mi svuota la vetrina, ma mi convince a prendere un tavolo alla fiera del fumetto di Parigi della settimana seguente. Dopo quattr’ore di apertura non ho più niente da vendere, ma in quell’occasione scopro i poster italiani di Corto Maltese dell’editore Del Grifo di Montepulciano. Il mese dopo Giovanni va a trovarlo e riparte con la macchina piena di poster, serigrafie e fumetti inediti in Francia. Comincio in questo modo un’attività parallela di distributore, visitando e vendendo alle librerie specializzate di Parigi.
LA CASA EDITRICE
Nel 1986, il ministro della cultura Lang organizza una mostra al Grand Palais dedicata a Hugo Pratt. Il catalogo è edito da Del Grifo e noi siamo gli intermediari con la libreria del museo. Pratt deve andare al Gran Palais tutti i giorni per un paio di settimane, ma appena si libera dagli impegni ufficiali sbarca da noi all’ora di chiusura e passiamo le serate ad ascoltarlo e ridere. Col tempo riesco a convincerlo a editare delle immagini diverse da quelle importate, dei libri illustrati o dei fumetti snobbati dal suo grande editore francese. Nasce così Vertige Graphic, e grazie ai soldi che Hugo ci fa fare riusciamo a pubblicare più di un libro a perdita in cui crediamo. Lui non perde l’occasione per prenderci in giro: “Ostia ciò, tuti i schei che ve faso guadagnare li buté via coi disegnatori che se crede dei pitori”.
In realtà era contentissimo: erano vecchi amici che non avevano avuto il suo successo, come Alberto Breccia, che aveva fondato con Enrique Lipszyc la Escuela Panamericana de Arte a Buenos Aires negli anni Sessanta, o José Muñoz, che ne era stato un allievo. Alberto, el vecio, l’uomo dalle mille rughe, da operaio in una tripperia era riuscito a diventare un disegnatore incredibile, i suoi fumetti sono un riferimento essenziale per molti disegnatori; a ogni albo s’inventava nuove forme e provava tecniche differenti. José invece, che è scappato dall’Argentina nel 1975, giusto prima della dittatura, già minacciato perché rappresentante sindacale dei disegnatori, è stato pubblicato in Italia da Linus.
Dal 1987 al 2018 Vertige pubblica circa duecento titoli, con un’attenzione particolare al fumetto di reportage o storico, come Palestina di Joe Sacco, il manga Gen d’Hiroshima, autobiografia di un sopravvissuto della bomba atomica, I Re vagabondi sugli Hobo americani degli anni Trenta; ma anche dei classici come L’Eternauta di Lopez, sconosciuto in Francia o dei giovani disegnatori francesi, italiani e americani.
Nel 2012 mi trasferisco nel sud della Francia. Negli anni mi rendo conto che senza frequentare i vernissage parigini e le fiere del fumetto, senza produrre dei “buzz”, il mestiere d’editore diventa impossibile. In trent’anni il mondo del fumetto mi sembra essere diventato un ghetto dove conta più fare business – ormai anche i piccoli editori si fanno concorrenza tra loro – e la creazione è secondaria. Smetto di fare nuovi libri e mi dedico a un’ennesima avventura, l’apertura nel 2014 della libreria Alterlivres, in un paesino di duemila abitanti. Dieci anni dopo è ancora aperta, e anzi va sempre meglio.
FINE DI UN CICLO
Dalla fine degli anni Ottanta Fortunato e Donatella gestiscono la Tour de Babel, io resto socio seguendo da vicino gli alti e bassi, tanto se la cavano benissimo. Nel 2017 Donatella viene a mancare – giovanissima, a meno di sessant’anni. Dopo più di trent’anni Fortunato perde la sua complice perfetta e siccome l’anno dopo sarà in età pensionabile, manda avanti la libreria ma comincia a cercare dei compratori. Per due anni, ogni volta, i potenziali compratori, all’inizio entusiasti, se la svignano una volta capito che anche se la libreria non ha debiti la cifra degli incassi permette di girare in pari e non di più.
Nel 2020 arriva il Covid, Fortunato vuole smettere per davvero, e così convince Patrizia (che già da anni occupa un angolo dell’ufficio per coordinare una rete di associazioni italianiste e da un po’ si occupa della contabilità e dei libri scolastici) a entrare in società e a prendere in mano la libreria. Solo dopo parte per il sud della Francia. La libreria non ritroverà il trenta per cento di vendite sparite nel 2020, anche se Patrizia rinforza con successo il settore dei libri per bambini e si dimena a organizzare più incontri di prima.
Per quattro anni di fila i bilanci sono in perdita. Siamo alle corde, si lancia l’associazione degli amici della libreria, Altan e De Luca ci danno una mano, Erri convince la Feltrinelli a fornire un centinaio di copie gratis, il suo amico Raimondo Di Maio, libraio ed editore napoletano della Dante & Descartes, fa uguale. Boccate d’ossigeno, ma la prospettiva non è rosea.
Sara Tamborrino, pugliese quarantenne che vive a Parigi, è convinta che vale la pena provarci e prendere il rischio. Dopo mesi di negoziazioni a fine maggio concludiamo la vendita, per una somma simbolica, ma starà a lei coprire il deficit e rilanciare l’attività. Per noi soci fondatori è triste passare la mano in questo modo dopo quarant’anni, con la sensazione di non aver saputo navigare negli ultimi anni con la bussola giusta, pur in un mondo del libro che ci appartiene sempre meno.
Post scriptum. Da quanto si legge on line, per tutto il mese di settembre la libreria sarà un infopoint della regione Puglia “con mostre, eventi enogastronomici, presentazioni di libri di autori pugliesi, performance musicali, mostre di artisti e designer per raccontare il territorio pugliese nelle sue molteplici tipicità artigianali, enogastronomiche, artistiche e culturali”. Il progetto è realizzato grazie all’Avviso pubblico della Regione Puglia “Contributi per Iniziative di Promozione e Valorizzazione del Territorio realizzate con il sostegno dell’A.RE.T. Puglia Promozione – Annualità 2024”, a cui la nuova gestione della libreria ha scelto di partecipare.
Non so cosa pensi Giustiniano di tutto ciò, e forse per poter prendere posizione di fronte alla discutibile ennesima evoluzione di “un mondo che gli appartiene sempre meno”, sarà necessario tempo. Considerando tutte le incognite di un futuro teso alla commercializzazione di un’identità, più che alla scoperta e condivisione di immagini e parole, dal nostro punto di vista è stato però doveroso raccogliere la storia di questi novanta metri quadri. Un piccolo e prezioso universo intorno al quale, per quarant’anni, hanno gravitato esistenze, più e meno note, meritevoli di essere raccontate. (-gt)