
da: WOTS Magazine
Lucas Carvajal è considerato uno dei volti nuovi delle Farc. Poco più che trentenne e con una passione per la musica metal – anche se, ci tiene a specificarlo, non ama i Led Zeppelin – è stato tra i più giovani componenti del team di negoziatori dell’ex gruppo guerrigliero a L’Avana. È una giornata di novembre quando lo incontriamo al parco Loma de la Cruz, uno dei punti turisticamente più affascinanti di Cali grazie ai murales che lo adornano e alla splendida vista di cui si può godere. Distinguiamo chiaramente la Torre di Cali, un freddo grattacielo di quarantacinque piani che nei primi anni Novanta è stato simbolo dello spregiudicato potere del Cartello di Cali.
Lucas indossa una maglietta dei Bukaneros, la tifoseria – notoriamente schierata a sinistra – della squadra spagnola Rayo Vallecano. «Una volta un giornalista di Marca è venuto ad assistere a un torneo di calcio che avevamo organizzato a La Elvira, la zona veredale fuori Cali», ci spiega divertito, «quando ho detto che ero un tifoso del Rayo pensava lo stessi prendendo in giro. I tifosi poi hanno letto l’articolo e mi hanno spedito questa maglietta». Le zone veredali di transizione e normalizzazione sono le aree in cui sono state fatte confluire le milizie delle Farc per consegnare le armi e avviare il processo di transizione verso la vita civile. Quella di La Elvira, ci spiega orgoglioso Lucas, è l’unica ad avere un campo da calcio provvisto di gradinate.
Da forza armata a partito rivoluzionario
A guardare Lucas viene difficile immaginarselo con fucile e tuta mimetica. In effetti, buona parte della sua attività per le Farc è stato di tipo politico e propagandistico nelle zone urbane. Ricorda i tre anni a L’Avana come fra i più difficili della sua vita: «Mi mancava la mia terra, la mia gente. Ero costretto a vivere gomito a gomito con una funzionaria del governo. T’immagini?».
Tre mesi prima del nostro incontro le Farc hanno definitivamente celebrato il passaggio da organizzazione guerrigliera a partito politico. Riunitosi in Congresso l’ormai ex-gruppo combattente più longevo dell’America latina ha ufficializzato che avrebbe corso alle elezioni per il rinnovo del Congresso – che si sono tenute l’11 marzo – mantenendo lo stesso acronimo. Il significato però è cambiato radicalmente: da “Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia” a “Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune”. Dal simbolo sono spariti i fucili AK-47 e al loro posto fa la sua comparsa una più rassicurante rosa rossa che, da europeo, non può non evocarmi i simboli dei movimenti socialisti nostrani.
«Personalmente ero dell’idea che un nuovo nome avrebbe favorito una visione politicamente più ampia, più inclusiva» ci dice, «Ma è stata una decisione presa democraticamente e Farc è una sigla che significa molto per la nostra gente». Ad emergere chiara è la volontà di serrare le fila in vista della difficile transizione da gruppo combattente a partito politico.
Per Lucas l’obiettivo principale delle Farc alle elezioni legislative dell’11 marzo era quello di legittimare i cinque seggi al Senato e i cinque alla Camera che gli accordi di pace garantiscono loro. Il risultato delle urne, però, ha presentato un panorama molto diverso. Il partito della ex guerriglia ha raccolto appena 52.323 voti al Senato e 32.636 alla Camera, un risultato ben al di sotto delle aspettative e che non si è nemmeno avvicinato a quanto auspicato da Lucas. Eppure, tra le fila dell’organizzazione, c’è chi grida alla vittoria. Dopo cinquant’anni di conflitto armato poter mettere da parte i fucili e correre nel confronto elettorale ha rappresentato di per sé un successo.
Il vero vincitore però, con il 16.41% dei consensi al Senato e il 20,17% alla Camera -, è stato il Partito del Centro Democratico di Iván Duque, una delle personalità politiche colombiane tra le più critiche del processo di pace e fortemente legato alla controversa personalità dell’ex presidente Álvaro Uribe che a marzo è risultato il senatore più votato nella storia della Colombia. I legami di Uribe con il paramilitarismo sono stati da tempo dimostrati e coinvolgono anche la sua famiglia, al punto che da febbraio 2016 Santiago Uribe, fratello di Álvaro, è indagato per aver ricoperto la posizione di comandante del gruppo armato di estrema destra “I dodici apostoli”, indicato come principale responsabile di decine di omicidi fra il 1993 e il 1998.
Le presidenziali di fine maggio
Da gennaio i sondaggi danno Iván Duque come favorito per le elezioni presidenziali del prossimo 27 maggio, quando la Colombia sarà chiamata a scegliere il successore di Juan Manuel Santos. Mentre una sua vittoria al primo turno sembra improbabile, da più parti si ritiene che il suo nome sia già stampato nelle schede nel ballottaggio, previsto per il 17 giugno.
All’estremo opposto del candidato del Centro Democratico e attualmente dato in seconda posizione nei sondaggi si trova Gustavo Petro, vincitore delle primarie per la coalizione della sinistra colombiana: il Movimento Colombia Umana. Ex militante dell’organizzazione guerrigliera M19 e sindaco di Bogotà fra il 2012 e il 2015, Petro è stato spesso associato dai suoi oppositori al rischio di una “venezuelizzazione” della Colombia. Lui però dice di ispirarsi più a Pepe Mujica che a Hugo Chávez e punta su un discorso anti-establishment, anti-corruzione e fortemente ecologista. Un’eventuale vittoria di Petro interromperebbe un monopolio liberale-conservatore che governa ininterrottamente la Colombia per tutto il XX secolo.
Nel caso in cui Ivan Duque e Gustavo Petro, i due candidati favoriti dai sondaggi, dovessero trovarsi a scontrarsi in un ballottaggio mai così polarizzato in Colombia, decisivi sarebbero i voti e gli eventuali endorsement degli altri candidati alla presidenza. Fra questi c’è German Vargas Lleras, a lungo dato come favorito dai sondaggi e candidato del partito Cambio Radical le cui posizioni si avvicinano molto a quelle di Duque e della destra conservatrice colombiana. Ex vicepresidente di Juan Manuel Santos, Lleras è oggi uno dei principali critici del processo di pace ma la sua candidatura sembra essere stata fagocitata da quella di Duque.
A completare la rosa di nomi che il prossimo 27 maggio andranno a contendersi la presidenza ci sono Humberto de la Calle, candidato del Partito Liberale ed ex capo del team di negoziatori del governo colombiano a L’Avana, e il matematico indipendente Sergio Fajardo, per la Coalizione Colombia. Entrambi si propongono come voto moderato e centrista, con ammiccamenti sia a destra (de la Calle) che a sinistra (Fajardo). Mentre la candidatura di de la Calle appare compromessa dal suo forte legame con l’attuale establishment e, soprattutto, col complicato – e divisivo – tema dell’amnistia verso gli ex combattenti delle Farc, quella di Fajardo potrebbe rappresentare la vera sorpresa delle prossime elezioni. Il risultato del candidato della Coalizione Colombia sarà importante soprattutto per capire le effettive possibilità di Petro al secondo turno. (marco dalla stella – continua a leggere)