Non è molto elegante, secondo le convenzioni, parlare di una donna e fare riferimento al tempo che passa. Ma è lecito dire che Ida Rendano è bellissima da almeno trent’anni, un lasso di tempo in cui ha fatto di tutto: cantato canzoni con e per i più importanti autori della musica napoletana contemporanea, recitato Viviani, studiato lirica e condotto trasmissioni in radio e televisione.
Ho incontrato Ida una mattina di fine luglio, nello studio di registrazione della CC Record, casa di produzione indipendente ai Ponti Rossi. Indossava una t-shirt rosa, poco trucco e manteneva i capelli biondi raccolti dietro la nuca, in un’immagine diversa da quella più spregiudicata con cui da qualche anno appare sui social network.
Mi ha raccontato la sua storia, ma abbiamo parlato anche del suo presente e dei suoi desideri artistici; abbiamo riflettuto sui percorsi intrapresi in questi ultimi anni da lei e da una parte di quella generazione di cantanti che all’inizio degli anni Novanta avevano riportato la musica leggera napoletana a un successo nazionale, rileggendo in chiave moderna le melodie della tradizione, ma mantenendo una continuità con gli artisti che li avevano preceduti e che in molti casi erano stati i loro maestri.
Quello che segue è un estratto, rimontato per favorirne la lettura, della nostra lunga conversazione.
Sono nata a San Giovanni a Carbonara, ci sono stata fino all’età di nove anni poi ci siamo trasferiti alla Sanità, al Rione Miracoli. Un quartiere che mi ha sempre protetta, una dimensione familiare, tu andavi a fare la spesa ed eri “’a figlia ‘e Ciro Rendano”, “’a figlia d’a signora Assunta”, e questa cosa è rimasta, la gente è molto orgogliosa del mio successo. Forse per questo vivo ancora lì vicino, e vado ancora a fare la spesa al mercatino del rione.
Ero bambina quando espressi il desiderio di cantare, ma mio padre non era molto d’accordo. È stato un padre molto protettivo, e poi lavorava nell’ambiente musicale, faceva l’impresario; eravamo cinque figlie femmine e lui pensava che io avessi un carattere troppo fragile. Io però ero già una appassionata di musica. Mi piaceva la lirica, che poi ho cominciato a studiare, ho fatto anche un esame al conservatorio. Così lo convinsi e un giorno ci presentammo da Elisabetta Fusco. Portai Il Fauto magico e Caruso, mi preparai a lungo ma non fui ammessa. Però quella fu la mia fortuna, perché papà capì che era la mia strada, avevo fatto addirittura lo sciopero della fame per convincerlo. Dopo qualche tempo andammo da Gigi D’Alessio, che era già noto per essere un bravissimo arrangiatore. Ci vedemmo alla Zeus Record, in Galleria Umberto. Io volevo sembrare più grande dell’età che avevo, ero andata lì truccatissima, vestita “da grande”, e lui appena mi vide, disse: “Marò ma comme te sì vestuta? Me pare Nunzia Marra”, che era una cantante all’epoca già grande di età, molto appariscente. Devo molto a Gigi, è stato lui a tirarmi fuori un carattere che nessuno credeva potessi avere.
Nel 1990 con Gigi abbiamo fatto il primo disco, un successo immediato, avevo diciassette anni. Mi ricordo l’emozione del primo grande concerto, al teatro Pierrot di Ponticelli. Non avevo nemmeno il repertorio, perché il disco aveva otto canzoni e io dovevo fare due ore di spettacolo. Così oltre ai miei brani facemmo De Crescenzo, Pino Daniele, Mango, un I will survive con un inglese maccheronico che non ti dico…
I miei idoli musicali erano Mia Martini, Patti Pravo, Mina, e poi le napoletane: Angela Luce, Giulietta Sacco, Mirna Doris. Poi con gli anni il mio punto di riferimento è diventata Madonna. Mi vestivo come lei, volevo essere la “Madonna dei napoletani” e oggi dopo tanti anni mi ritrovo di nuovo a guardare in quella direzione, il mio look attuale si rifà a lei, a Jennifer Lopez, a queste ragazze meravigliose che sanno essere tante donne diverse in una. Anche grazie a loro ho riscoperto il mio lato femminile, che invece da ragazza reprimevo. Con il tempo, le esperienze, la maturità, con il matrimonio e la nascita di mia figlia è venuto fuori un modo più leggero e giocoso di rapportarmi al mio corpo, e questa femminilità ora mi piace metterla in mostra, mi piace giocarci.
Qualche mese dopo l’uscita dell’album Gigi ebbe l’idea di farmi fare Levamme tutte cose ‘a miezo, insieme a Franco Ricciardi, che aveva cominciato già da qualche anno ed era una vera star. Quel pezzo ha conosciuto un successo devastante, è rimasto nell’immaginario di tutti, è la canzone che tutti vorrebbero io facessi sempre e comunque.
In quegli anni è scoppiata la musica neomelodica come fenomeno nazionale. Abbiamo cominciato a essere chiamati in tutti i programmi della Rai, io passavo da Uno Mattina a La Vita in diretta, fino al Maurizio Costanzo Show. Solo che col tempo quell’etichetta è diventata un peso, perché – con tutto il rispetto per chi ancora fa quel tipo di musica – per me è riduttivo essere identificata con qualsiasi etichetta. Con Franco, oltre al rapporto di amicizia, abbiamo in comune la voglia di cambiare sempre, e credo che abbiamo rappresentato la faccia moderna della musica popolare degli anni Novanta, cosa che poi ci ha permesso di evolverci rispetto a una certa scena locale e di confrontarci con artisti diversi da noi. Io ho fatto teatro, ho lavorato in Rai, ho lavorato e lavoro in radio, ho cantato con tutti i più importanti cantanti napoletani facendo i generi più diversi… in quella fase la musica neomelodica ci rappresentava, ma dopo ognuno ha fatto la sua strada. Io mi sento un’artista napoletana, questa è l’unica etichetta possibile. Fino a un certo punto mi affannavo, nelle interviste, in giro, per spiegare questa cosa. Poi ho pensato che se uno ascolta bene la mia discografia le canzoni parlano da sole. D’altronde per strada, tra la gente, nessuno ci ha mai chiamati “neomelodici”. Per loro siamo e saremo sempre “’e cantante napulitane”.
Io non mi vergogno di essere nata con le radio libere, nei vicoli, però non ho avuto paura di lasciare il “sicuro”. Dal 2000 ho fatto esperienze bellissime con i Sangue Mostro, con Speaker Cenzou, i 24 Grana, ho fatto Canzone appassiunata che è un classico napoletano in versione hard rock, con i Loadster, che è l’unico brano in versione metal inserito nell’Archivio sonoro Rai della canzone napoletana. Cenzou ha sempre belle parole per me, mi dice che sono la Mary J. Blige della musica napoletana. Sono cose che sembrano naturali, perché oggi c’è tanta voglia di mischiare mondi differenti, ma vent’anni fa non era così scontato.
Agli inizi dei Duemila ho avuto un momento difficile. Stava finendo un’epoca, c’era necessità di evolversi. A un certo punto ho incontrato Sergio Donati Viola e Checco D’Alessio, e abbiamo fatto un disco, Cu tutto ‘o core, in cui iniziai a esplorare le sonorità del nuovo millennio. Dovevo seguire il mio istinto altrimenti sarei rimasta il “ricordo” di Ida Rendano, mentre io ero e sono ancora giovane, non mi bastava campare di quello che avevo fatto. Così ho continuato a lavorare con Sergio, autore e cantautore eclettico, che da quarant’anni scrive musica per tantissimi artisti e che oggi è anche mio produttore, e da cinque o sei anni abbiamo creato un mix che funziona molto bene tra lui e Max D’ambra, che collabora con Gue Pequeno, Sfera e Basta, viene da un mondo musicale diverso. Questa collaborazione è stata una svolta, da un punto di vista di linguaggio musicale, dei testi, della mia immagine, e anche per gli incontri artistici che ho fatto, come quello con Ivan Granatino. Avevo necessità di farmi guidare verso territori diversi ed è quello che sta accadendo.
Nella storia della musica napoletana ci sono artiste incredibili. Una su tutte è Giulietta Sacco. Ma fino a qualche anno fa il mondo della musica napoletana è stato caratterizzato da un grande maschilismo. La cantante donna, anche se famosissima, veniva spesso vista come una voce di “accompagnamento”. Mio padre in questo mi ha molto assecondata. Se c’era una serata con più cantanti io dovevo avere il mio gruppo musicale come lo avevano Franco, Gigi, Ciro Ricci, Natale Galletta e tutti gli altri. Si deve riempire il Palapartenope? E qual è il problema, riempiamolo! Oggi fortunatamente tante ragazze hanno preso il coraggio di pretendere e hanno capito che si può fare e si deve fare.
Un mio sogno sarebbe fare uno spettacolo in teatro con le mie colleghe. C’è grande rispetto e stima reciproca con donne come Maria Nazionale, Valentina Stella, mi piacerebbe che ci fosse un’opportunità, perché so che la città lo vorrebbe. Con loro due sono cresciuta, con Maria abbiamo iniziato insieme, abbiamo fatto un percorso comune, sarebbe bello ritrovarsi sul palco.
Le cantanti napoletane hanno sempre messo dei temi sociali nei testi, fin dall’inizio del Novecento. Io ho debuttato al teatro con Viviani, ero giovanissima. E Viviani è il cantore del vicolo, della realtà, di Bammenella. Da molti anni faccio una battaglia contro la violenza sulle donne, e la faccio a modo mio, con le canzoni. In un certo ambiente questa cosa non arriva, forse perché io nasco dal matrimonio, dalla festa di piazza, e quasi nessuno si prende la briga di vedere uno che percorsi ha fatto. Magari se mi chiamassi Eugenio Bennato (che è un artista eccezionale, che io stimo infinitamente) ci sarebbe un’esaltazione del fatto che ci sono certi contenuti nelle mie canzoni. Questa cosa mi può creare dispiacere fino a un certo punto, perché il mio obiettivo è dire certe cose alle donne, alle ragazze, invitarle a ribellarsi. Hai voglia a far parlare un intellettuale di certe cose, uno studioso o una studiosa, è sempre difficile per loro avere un rapporto con la gente. Io quando canto Ma comme se permette, vedo gli occhi lucidi delle ragazze che sanno bene di cosa sto parlando, vivono sulla loro pelle le conseguenze di una cultura sbagliata, la cultura del “non fa niente se ti ha messo le mani addosso, quello stava nervoso”, oppure dell’“io posso uscire con gli amici e tu ti devi stare a casa”. Anche io, anni fa, ho avuto esperienze brutte in questo senso. E per me la cosa più bella è quando mi scrivono in privato e mi raccontano le loro storie. Qualcuna mi dice che grazie a me ha trovato la forza di uscirne.
Politicamente ho le mie idee, ma me le tengo per me. Molti anni fa appoggiai un politico che faceva parte di un partito di sinistra. Uno di quelli che faceva tante promesse, mi ritrovavo nelle cose che diceva, a parole. Gli ho portato un sacco di voti, anche se non mi sono mai esposta pubblicamente, perché quella cosa la facevo come persona, non come cantante. Ma è stata una delusione immensa, non ha fatto nulla di ciò che aveva detto e personalmente una cosa del genere non la farò più. (a cura di riccardo rosa)
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