
Dal 2010 la Commissione interamericana per i diritti umani ha obbligato il governo messicano a garantire protezione e sicurezza a padre Alejandro Solalinde, da anni impegnato nella protezione dei migranti che passano per Oaxaca. Nonostante questa raccomandazione, padre Alejandro continua a subire minacce ogni giorno, sia dai narcotrafficanti che dai funzionari dello stato. In un’intervista padre Alejandro racconta la vita all’interno del centro di accoglienza dove lavora, le violazioni e le torture che subiscono ogni giorno migliaia di persone che attraversano il Messico, la collusione tra trafficanti di uomini e funzionari del governo.
Quanti migranti passano per Oaxaca e come sono accolti nel vostro centro?
Tantissimi. Tre paesi del centro America – Guatemala, Honduras e Salvador – si stanno a poco a poco svuotando. Da noi arrivano ogni giorno treni con a bordo mille, millecinquecento migranti, aggrappati ai convogli, sul tetto o nascosti tra un vagone e un altro. Viaggiano così, per dodici, quattordici ore. Quasi tutti vogliono arrivare negli Stati Uniti, ma non è detto che ce la facciano, anzi. La rotta verso il nord è lunga e disseminata di pericoli. Molti dei migranti che arrivano al nostro centro neanche sanno dove si trovano, pensano di stare già negli Usa, sono stanchi e malmessi… così noi li accogliamo, a qualunque ora del giorno e della notte. Prima di tutto controlliamo che non abbiano droga e armi, cosa che non accade quasi mai, ma che dobbiamo fare per preservare anche gli altri migranti, poi gli scattiamo una fotografia, perchè d’ora in poi sono a rischio sequestro e questa foto può costituire una traccia in più, poi gli si dà sostegno medico e sanitario, gli si dà acqua e cibo, un letto, un bagno per lavarsi e si fanno riunioni di formazione per spiegare loro cosa li aspetterà lungo il viaggio. Li informiamo sui tanti pericoli che d’ora in poi potranno incontrare, per esempio i sequestri.
Come avvengono questi sequestri?
Il crimine organizzato – assieme ad alcuni funzionari pubblici dell’Istituto nazionale per l’immigrazione (Inm) – sequestrano i migranti e li trattengono all’interno di delle case nascoste fino a che i parenti non li riscattano, chiedono riscatti di tre, quattro mila dollari. Se i parenti non pagano, gli ostaggi vengono uccisi brutalmente. É un business rodato, di cui sono vittime anche e soprattutto le donne, costrette a prostitursi, violentate, vendute, oppure obbligate a lavorare per coloro che uccidono e fanno scomparire i corpi dei migranti sequestrati per i quali nessuno ha pagato il riscatto. Molte ci raccontano di avere lavato per giorni i vestiti sporchi di sangue dei sicari. Da Oaxaca in poi ogni passo è un rischio.
Per quanto tempo rimangono nel centro?
La permanenza media è di tre giorni, ma poi ci sono casi particolari, come le vittime di violazioni, rapine, abusi, che possono esporre denuncia e regolarizzare la loro posizione migratoria nel paese. O anche donne particolarmente vulnerabili o famiglie, che hanno bisogno di una permaenenza più lunga. In ogni caso dal nostro centro si possono spostare nelle altre cinquantacinque case della Commissione pastorale per la mobilità umana, presenti negli altri stati del Messico.
Il governo messicano non attua nessuna politica di accoglienza nei confronti dei migranti?
No, il governo non ci aiuta in nessuna maniera, anzi. Come dicevo prima, l’Istituto nazionale d’immigrazione è profondamente coinvolto nelle violazioni dei diritti umani contro i migranti. Si pensi che la legge migratoria in vigore è una normativa del 1974, ce n’è una nuova in discussione, ma l’esecutivo la sta bloccando.
E gli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti non fano nulla per aiutare i migranti che passano per il Messico, eppure hanno molte responsabilità, sono colpevoli di aver impoverito il centro America con il loro sistema neoliberista, di avere sfruttato le risorse e di avere portato guerre e distruzioni. Se le persone migrano è anche a causa delle poltiche statunitensi, per questo il loro governo avrebbe degli obblighi nei confronti di chi parte, così come ce li hanno i governi dei paesi centroamericani, che non fanno nulla per proteggere la nostra popolazione, anzi, sembrano spingerla verso gli Stati Uniti.
Come si pone il governo messicano di fronte a realtà come la vostra?
La sua posizione è ambigua. Nel 2010 la Commissione interamericana per i diritti umani ha obbligato il governo messicano a offrirmi misure di sicurezza perchè la mia vita era in forte pericolo, quindi da un lato il governo ha quest’obbligo, ma dall’altra parte mi minaccia per il mio lavoro di denuncia. In particolar modo l’Istituto d’immigrazione mi ha sporto denuncia accusandomi di traffico di minori e sequestro di persona, denunce che sono decadute perché false, anche la Commissione nazionale per i diritti umani ha espresso raccomandazioni contro queste denunce, ma i funzionari dell’Inm continuano a fare il loro lavoro.
E tu continui a lavorare nella casa di accoglienza…
Si. Nonostante le minacce io vado avanti, questa è la mia missione. L’unica cosa che può fermarmi è la morte, ma finchè non mi uccidono continuerò nel mio lavoro. Il nostro paese sta subendo una gravissima crisi, lo stato si è dimenticato della classi sociali più povere, ma io spero che le cose cambieranno presto, voglio unirmi ai giovani che vogliono cambiare il paese e fare qualcosa di concreto davvero.
I mezzi di informazione locali denunciano quello che accade ai migranti? C’è libertà di espressione?
Il Messico vive una situazione abbastanza ambigua, da un lato c’è più libertà di espressione rispetto a quando c’era il governo del Pri, dall’altro lato però, pur se non esiste una censura ufficiale, esiste un livello molto forte di repressione e di minaccia contro i giornalisti che denunciano le condizioni dei migranti, si pensi che sono morti otto giornalisti a Veracruz e settanta in tutto il paese solo nell’ultimo anno. Non è un caso, infatti, che una legge che oggi è in approvazione per la protezione dei difensori dei diritti umani includa anche i giornalisti. (marzia coronati)
L’intervista a padre Alejandro Solalinde è parte dell’ultima puntata di Passpartù