
L’8 maggio 2021 si è tenuta a Genova la prima assemblea nazionale dei lavoratori portuali dell’Unione sindacale di base (Usb). Presenti i delegati di Genova, Trieste, Livorno, Civitavecchia. L’evento merita attenzione perché i porti sono stati finora per lo più impermeabili a esplicite crisi del sindacalismo “istituzionale” di Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uil-Trasporti, firmatarie dei contratti collettivi nazionali. Genova, in particolare, primo porto nazionale per occupazione, non aveva conosciuto il fenomeno del sindacalismo di base se non in maniera marginale nei servizi di manovra ferroviaria e in aeroporto, mentre nelle imprese portuali e nella Compagnia unica (Culmv) che operano nel cuore del ciclo produttivo, la Cgil ha sempre avuto la maggioranza e l’esclusiva delle tessere e delle deleghe anche tra le componenti dei lavoratori più radicali sotto il profilo politico e sindacale.
Presenti in sala a Genova, in mezzo ai lavoratori portuali, numerosi gruppi di lavoratori dei magazzini della distribuzione del nord e centro Italia, in larga parte immigrati extracomunitari, dove il sindacalismo di Usb e dei Cobas ha ottenuto notevoli adesioni e prodotto numerose vertenze anche di successo. Ricchi ed eterogenei gli interventi, su temi che spaziano dalle condizioni di lavoro lungo la filiera logistica alle questioni ambientali (evocate dal rappresentante di Civitavecchia), nonché all’antimilitarismo, che vede i portuali di Genova direttamente coinvolti, e tuttora perseguiti dalla legge.
Nell’autunno scorso dall’interno della Filt un gruppo di iscritti e delegati, in gran parte aderenti al Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp), è uscito per aderire all’Usb. Il Calp è un gruppo attivo da una decina d’anni nel solco di una tradizione di autonomia operaia che risale alla fine degli anni Sessanta e composto da lavoratori dipendenti delle imprese terminaliste e soci della Culmv. I motivi dichiarati sono giunti a maturazione dopo anni di crisi del rapporto con la dirigenza della Filt: dalla democrazia interna alle forme e agli obiettivi del conflitto sindacale in tema di produttività, licenziamenti, precarizzazione, sicurezza; dall’opposizione ai contenuti antisociali dei decreti Salvini a quella ai traffici di armi nel porto.
L’assemblea nazionale ha avviato la discussione per arrivare a una piattaforma unitaria per il prossimo contratto collettivo nazionale, migliorativa delle condizioni dei lavoratori, posti di fronte a una fase di trasformazioni dei rapporti di produzione indotte principalmente da quattro fenomeni: la stagnazione e per certi versi regressione dell’economia nazionale; la concentrazione oligopolistica sia sul lato della domanda che dell’offerta di servizi portuali; l’attacco all’autonomia del lavoro portuale sotto forma di autoproduzione da parte degli armatori; l’attacco all’occupazione portuale sotto forma di automazione dei cicli portuali.
UNA DOMANDA STAGNANTE
Notoriamente la domanda di trasporto è derivata dalla domanda dei beni trasportati. Se si guarda ai volumi dei traffici espressi sommariamente in tonnellate di merci e numero di passeggeri si rileva che dal 2010 post-crisi al 2019 pre-Covid le merci movimentate nei porti italiani hanno ristagnato intorno ai 500 milioni di tonnellate, con un incremento in dieci anni di solo il 3%, mentre per quanto riguarda i passeggeri i movimenti di imbarco e di sbarco sono risultati stabili sugli 86 milioni. Anche se si contano i Teus (unità di misura dei container), con cui si misura la produzione dei porti moderni (al netto perciò dei carichi alla rinfusa, liquidi e solidi, e delle merci autotrasportate sui traghetti ro-ro), si ottiene la cifra media di poco più di 10 milioni con una crescita appena del 10%. In altre parole, la domanda quantitativa di portualità non è cambiata da dieci anni a questa parte, però si è distribuita diversamente sia tra i porti che per tipologie di traffici. Nei maggiori porti i traffici sono cresciuti sensibilmente, mentre nel resto dei porti italiani che si contano in oltre cinquanta, di cui ventitré sedi di Autorità portuale, poi ridotte a sedici Autorità di sistema portuale (AdSP), o c’è stato un minore aumento o una diminuzione anche rilevante come a Gioia Tauro e a Taranto (fonte Istat). D’altro canto, anche l’occupazione è rimasta nel complesso stabile intorno alle 20 mila unità, sommando le imprese portuali addette alla movimentazione delle merci e dei passeggeri e le compagnie portuali che prestano il lavoro temporaneo su chiamata alle prime, con gli organici di queste ultime pari a circa il 15% delle prime (fonte Assoporti).
Insomma, il quadro che emerge è di una domanda di servizi portuali stagnante, che tuttavia ha permesso di conservare l’occupazione, pure con gravi casi di sofferenza sociale come a Gioia Tauro e a Taranto, dove si è intervenuti con una legge che ha creato delle agenzie speciali del lavoro per gestire l’attesa di un reimpiego o di una ricollocazione dei lavoratori in esubero. Nel resto dei casi di crisi, come per esempio a Napoli o Cagliari, si è intervenuti invece con la cassa integrazione. D’altro canto, nei porti favoriti dall’aumento relativo dei traffici la crescita è stata accompagnata in parte da assunzioni dirette ma soprattutto da un aumento considerevole di produttività ottenuto grazie a nuovi mezzi tecnici sia operativi che informativi e a un uso più esteso e intenso del lavoro temporaneo delle compagnie. A Genova, per esempio, dove il traffico in tonnellate è cresciuto del 20% per merito pressoché esclusivo della crescita dei container, l’occupazione è rimasta la stessa in dieci anni mentre le giornate di lavoro della Culmv sono cresciute del 30%.
Nota significativa è che i quattro porti rappresentati all’assemblea Usb sono stati quelli che in quantità assolute sono maggiormente cresciuti in questi dieci anni componendo il 35% del volume nazionale di merci movimentate, così come in misura perfettamente corrispondente occupano il 35% dei lavoratori dei porti nazionali. Evidentemente, come in un sistema di vasi comunicanti, essi hanno beneficiato, oltre ai frutti del loro sviluppo autonomo, delle perdite di altri porti. Per questa interdipendenza dei volumi di traffico, l’unità dei lavoratori portuali a livello nazionale, promossa dall’assemblea Usb, è risultata il valore più importante e gravido di sviluppi sul piano di una nuova coscienza politica e sindacale.
NUOVE CONCENTRAZIONI
Se i traffici sono stagnanti, ciò che sta cambiando rapidamente sono la distribuzione e la composizione dei capitali investiti nell’offerta di servizi portuali e che costituiscono la domanda di lavoro portuale. Si assiste in particolare a due fenomeni intrecciati: in orizzontale, alcune concentrazioni di capitale stanno accentrando in pochi soggetti le concessioni terminalistiche nei singoli porti e nel sistema portuale nazionale nel suo complesso; in verticale, alcune tra le stesse concentrazioni di capitale, in prevalenza straniere, a partire da posizioni egemoniche nel campo armatoriale sia delle merci che dei passeggeri, stanno allargando il loro controllo alle imprese terminaliste e allungano le loro partecipazioni lungo la catena del trasporto, da origine a destinazione delle merci.
Questi movimenti di capitale configurano la situazione per cui i volumi di traffici di merci e di passeggeri, pure rimanendo condizionati dall’andamento dell’economia dei territori serviti dai rispettivi porti per prossimità, sono altresì determinati dagli oligopoli imperanti nei porti e nella filiera logistica. Del resto, questi non hanno remore a dichiarare apertamente le loro intenzioni e le loro strategie di impresa. Gianluigi Aponte, a capo di MSC, secondo armatore mondiale nel traffico dei contenitori, quarto in quello crocieristico e primario operatore logistico, che oggi movimenta nei terminal italiani sotto il suo pieno o parziale controllo oltre il 40% dei container, ha dichiarato alla fine del 2017: «Comandiamo noi, perché comandano i volumi. Chi ha i volumi è quello che si può permettere di far vivere un terminal o di farlo morire se si sposta da quel terminal».
MSC peraltro è l’unico tra gli armatori in cima alla classifica delle compagnie che trasportano container che esercita anche il trasporto passeggeri nel settore delle crociere dove analogamente controlla terminal e forniture di bordo. MSC è infatti presente a Genova come a Trieste, Livorno e Civitavecchia. Come del resto a La Spezia, Napoli, Gioia Tauro, Venezia, Ancona. Questo significa che i portuali di ciascuno di questi nove porti si troveranno sempre più di frequente come datore di lavoro e controparte sul piano sindacale lo stesso gruppo imprenditoriale, pure figurando come un’impresa distinta in ogni porto. Nel caso di MSC non si tratta solo di imprese terminaliste specializzate nelle merci in container, ma come a Genova o Napoli essa è presente anche nei traghetti roro (GNV). Nel caso di Genova inoltre stiamo assistendo al primo caso di un gruppo, PSA di Singapore, che controlla due terminal contenitori nello stesso porto, PSA GP e SECH, e che ha legato le due aziende con il primo “contratto di rete” che gli consente di condividere risorse organizzative e anche professionali tra l’una e l’altra.
Questa seconda circostanza, relativa alla concentrazione nelle mani di pochi gruppi del controllo dei porti, che va ad aggiungersi alla prima circostanza dei traffici di fatto contingentati da dieci anni, indica la necessità di un coordinamento sempre più stretto dei lavoratori portuali per fare fronte all’interdipendenza delle strategie di impresa nei loro confronti.
CHI HA VINTO È LA MERCE
È il titolo di un opuscolo edito nel novembre 1969 da un gruppo di portuali del CAP (Consorzio Autonomo del Porto), l’allora autorità pubblica di gestione del porto di Genova. Vi si narra dell’esito della vertenza tra due gruppi di lavoratori, i dipendenti del CAP e i soci della Compagnia Unica, circa la conduzione dei nuovi mezzi meccanici, le semoventi “a cavaliere”, introdotte per movimentare a terra i container. Il conflitto, risoltosi a favore dei lavoratori della CU, aveva provocato una crisi della Filp-Cgil non solo a livello di vertici ma anche nella base operaia e si era evitato per poco lo scontro diretto tra i due gruppi di lavoratori. “Come vogliono le buone regole della concorrenza”, a detta degli estensori dell’opuscolo, aveva prevalso il gruppo più forte e deciso ma anche più in accordo con i temi della produttività e della competitività, a partire dal controllo dei costi, suscitati dall’avvento del container. In altre parole – questa era la nota rilevante del documento trasposta nel titolo –, dalla concorrenza tra i lavoratori erano uscite vincitrici le ragioni della merce “o se si preferisce del capitale”. A questo proposito l’opuscolo porta in epigrafe una famosa citazione: “I singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un’altra classe; per il resto essi stessi si ritrovano l’uno di contro all’altro come nemici, nella concorrenza” (Marx-Engels, L’ideologia tedesca).
I porti sono stati spesso teatro di conflitti latenti o aperti tra gruppi diversi di lavoratori e tra i porti stessi, posti in concorrenza dalle strategie degli armatori e dalle politiche produttive dei terminalisti (Genova e Livorno sono stati spesso nemici “di classe” sotto questo profilo). A ciò si aggiunga la concorrenza provocata ad arte dagli armatori che pretendono di praticare l’autoproduzione, sostituendo il lavoro dei portuali con quello dei propri marittimi già a bordo delle navi.
Nel porto di Genova resiste una distinzione “politica”, che riguarda la preminenza di ruolo nell’organizzazione del lavoro portuale, non più tra consortili e soci della Compagnia ma tra dipendenti delle imprese terminaliste e soci della Culmv, che nel frattempo sono stati declassati sotto il profilo giuridico e organizzativo a lavoratori somministrati in chiave di riserva di manodopera, ma nella realtà hanno riguadagnato nei maggiori terminal una posizione quasi egemone sotto il profilo quantitativo. È una distinzione politica principalmente culturale, ma anche contrattuale e professionale, che occorre assolutamente superare per non permettere alle imprese terminaliste di beneficiare della concorrenza tra lavoratori, a cominciare dalle prospettive dell’automazione che dovrà trovare il fronte dei lavoratori assolutamente unito se vorrà evitare politiche di liquidazione professionale e di “macelleria sociale”. Il sindacato Usb sarà capace di fare questo? La prima assemblea nazionale tenutasi a Genova con il suo spirito solidale e le sue parole d’ordine unitarie ci lascia ben sperare. (riccardo degl’innocenti)