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parola della settimana
8 Marzo 2025

La parola della settimana. Disperanza

Riccardo Rosa
(disegno di ottoeffe)

«Dalla disperazione alla disperanza», mi ha proposto -ma venerdì sera, al termine del concerto di presentazione del nuovo disco di Ciro Riccardi (per gli amici Cerone), e nell’invitarci a berne ancora un ultimo, in un noto bar rifugio dei poeti decadenti del centro città.

Del disco di Ciro (Ncopp’a sta terra, prodotto da Phonotype Records) il brano più bello mi è parso Arrassusia, scritto e interpretato da Libera Velo, regina del rocksteady cittadino. È, “arrassusia”, una parola di scongiuro ma anche – appunto – di speranza, condivisa da due o tre dialetti meridionali, che scaccia la iattura e gli iettatori, la malasorte e le ciucciuvettole, e chi più ne ha più ne metta.

Io nun te voglio appacia’,
‘e criature a dummeneca nun ce vonno jì dint’e centre commerciale…
Cavie, zoccole p’e saittelle!
Io nun te pozz’ appacia’,
‘e criature a dummeneca nun se ne vanno p’e centre commerciale…
Cavie, zoccole: puortàle ‘o mare!
(libera velo
, cricche) 

Ora, su questa “di-speranza” ho riflettutto durante tutto il viaggio in motorino di ritorno verso casa, e pure la mattina dopo mentre lavoravo con un gruppetto di ragazzi e ragazze del liceo del quartiere. Il dizionario sembra le dia dignità solo mettendola in competizione con la disperazione (“ha sign. più tenue che disperazione, ma nella lingua ant. le due parole sono sinonimi”), eppure a me sembra una condizione assai diversa, definibile più per sottrazione che altro, che poi è la cosa su cui meglio sto lavorando con questi adolescenti con cui ci interroghiamo sulle tecniche per raccontare attraverso un testo il reale.

C’è un ulteriore uso che merita di essere citato, perché arricchisce la tavolozza dei nostri sentimenti: è stata detta “disperanza” anche quel sentimento sublime di sgomento che si prova davanti all’immenso, all’indomabilmente vasto — e ciò che ha questi caratteri. Per esempio, si può parlare della disperanza delle vette innevate, o del mare in tempesta. Non è un nesso abituale, ma è facile accorgersi come ci possa essere o possa mancare, nel rapporto con le grandezze del mondo, un senso di fiducia che è una sfumatura di speranza, o di sfiducia che è disperanza. (unaparolaalgiorno.it)

Che sia, quindi una questione di ottimismo? Di punti di vista? Di narrazione?

Infatti ho speranza, finché non muoio,
che tanto è l’ultima e m’illumina nel vuoto.
Decollo, pronto al volo col mio poto,
plata o plomo, parla poco, placca l’uomo e dà un cazzotto,
romanzo l’accaduto in un salotto,
perché sono scrittore e interprete, Black Lives Matter!
Per ogni sbirro che spara nelle vertebre e mai smette.
Come evadi dai problemi che ti fai, in pochi metri quadri?
Giocherai alla Play dal tuo compagno di banco delle elementari.
(speranza e tedua,
 a la muerte)

Ho avuto varie discussioni interessanti con alcune tra le persone che hanno occupato, questa settimana, la sede della municipalità di Bagnoli, soprattutto sulla necessità di rilanciare la lotta sulla rigenerazione urbana dell’ex area industriale, ora che l’accoppiata Manfredi-Meloni sta pezzo dopo pezzo smantellando gli elementi più scomodi (per loro) del piano, ovvero quelli che recepivano trent’anni di lotte popolari sul territorio. Il tema è sempre quello, provare di continuo a rinnovare le pratiche e i linguaggi, giocare all’attacco elaborando nuove strategie da integrare alle forme di lotta tradizionali, superare lo sfinimento della comunità logorata da un decennale scientifico abbandono e dallo sperpero di centinaia di milioni di euro senza risultati. Di-sperare allora, o seguitar il canto con quel suono di cui le Piche misere sentiro lo colpo tal, che disperar perdono?

In questo passaggio del Canto I del Purgatorio, Dante in fondo ci risponde: chiede a Calliope di aiutare il suo canto con quello stesso suono con cui la musa della poesia sconfisse le figlie di Pierio, re di Tessaglia, che l’avevano sfidata con un grave atto di superbia. È superbia, lottare nella disperanza? Ostinazione, inflessibilità, autoassoluzione? Ho nel mio piccolo studio di casa un manifesto incorniciato che sempre mi ricorda:

(da: elpressentiment.net)

Post scriptum. Le Piche in cui vengono trasformate le figlie di Pierio, altro non sono che delle gazze (pica pica è il nome latino dell’animale), uccelli appartenenti alla famiglia dei corvidi, dal colore nero sericeo e bianco candido. Gazza è anche il soprannome di uno dei miei calciatori preferiti, e per alcuni dei miei amici pure il mio; è inoltre il simbolo della città del nord est inglese a cui sono legato, e da cui proviene quello stesso giocatore. Un giorno, gironzolando per le sale del museo d’arte moderna di Madrid, rimasi a guardare affascinato un piccolo libro di Lise Deharme e Joan Mirò, che ha per tema proprio la sintesi tra lo sperare e il disperare, al di fuori di qualsiasi condizionamento proveniente dal mondo reale (In questo modo, l’autore rimane fedele all’idea surrealista che la disperazione è – paradossalmente – una fonte di speranza, leggo qui / traduzione mia). Il libro si chiama La petite pie. Ovvero, “la piccola gazza”.

Il était une petite pie / C’era una volta una piccola gazza
Toujours au désespoir / Sempre disperata
Et toujours dans son lit / E sempre a letto
Elle était toute noire / Era tutta nera
Mais quand même très jolie / Ma ancora molto bella
Elle partit à cheval / Andava a cavallo
À cheval sur une souris / A cavallo di un topo
En revint au plus mal / E in un brutto modo tornò
Et mourut dans son lit / E nel suo letto morì
(joan mirò, il était une petite pie)

(a cura di riccardo rosa)

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