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La Stampa, 18 maggio 2017

(da: La Stampa)
(da: La Stampa)

Per tre mesi Francesco Migliaccio ha lavorato tra gli ulivi, prima con i contadini israeliani di un moshav, un villaggio agricolo, poi con quelli palestinesi in un territorio riconquistato da Israele pochi anni fa, quindi con i coloni tra reti elettrificate e guardie armate. In quel tempo si è sentito un “contrabbandiere di racconti”. «Agli amici ebrei – ricorda – parlavo della vita a Ramallah, agli amici palestinesi raccontavo com’è Israele. E non perché volessi fare il “portavoce di pace”, ma perché volevo conoscere le situazioni e stringere rapporti. Cercavo di convertire il privilegio di avere un passaporto italiano, che mi permetteva di viaggiare, in un passaggio di conoscenza».

Nato a Ivrea trent’anni fa, torinese d’adozione, dopo un dottorato di ricerca ottenuto lo scorso anno in Letteratura italiana (letteratura e paesaggio, Calvino e la Liguria) Migliaccio è partito per Israele con l’obiettivo di viaggiare e continuare la sua ricerca “dentro” il paesaggio mediterraneo. Da quel periodo intenso, trascorso sì tra gli ulivi, ma anche tra filo spinato, muri, fucili automatici, «in cui lo straordinario, la paura, diventa quotidiano», è nato un libro, Primavera breve. Viaggio tra i labili confini di Israele e Palestina, Monitor edizioni, che stasera alle 21 viene presentato alla Fondazione Camis De Fonseca, via Pietro Micca 15.

Il libro è un racconto di viaggio nato dalle lettere che il ricercatore ha scritto ad amici e persone care. «Dopo averle mandate, mi sono accorto che poteva essere una tecnica di scrittura. Niente linguaggio accademico – spiega l’autore -, la problematicità delle situazioni è resa in forma colloquiale. Alla fine si è rivelato un tentativo riuscito in termini stilistici di coniugare questioni complesse con un linguaggio semplice».

Primavera breve ha fatto subito discutere. «Un narratore si sposta da una parte all’altra alla ricerca della complessità, di aspetti che vanno al di là degli schemi». Ed è questo andare oltre che non è stato gradito. «Io sono di sinistra – spiega Migliaccio -, al liceo portavo la kefiah, ho partecipato alle manifestazioni per la liberazione dei territori palestinesi e sono tuttora convinto che l’occupazione di Israele sia ingiusta. Ma non dobbiamo pensare in modo schematico. Il fatto è che in questo caso, con due campi così contrapposti, un viaggiatore risulta ambiguo. Ma io mantengo una visione critica della situazione. Poi, il compito del narratore è andare a cercare ciò che non si aspetta». Per Angelo Pezzana, che questa sera parteciperà alla presentazione, il racconto di Francesco Migliaccio «è il diario molto onesto di un giovane pieno di interesse verso una realtà che non conosceva. È un libro in cui l’aspetto predominante è l’onestà di riconoscere conferme e smentite». (maria teresa martinengo)

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