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italia
3 Novembre 2023

Le nuove recinzioni. Ricchezza delle città, impoverimento degli abitanti

Monitor
(disegno di cyop&kaf)

Pubblichiamo a seguire un estratto di Le nuove recinzioni. Città, finanza e impoverimento degli abitanti, libro appena uscito per Carocci e scritto da Stefano Portelli, Luca Rossomando e Lucia Tozzi. 

Il libro verrà presentato a Milano il 9 novembre, a Roma il 10 e a Napoli l’11.  

*     *     *

A  fine marzo del 2023 una serie di manifestazioni per la casa hanno portato in piazza migliaia di persone in tutta Europa. Per dieci giorni, associazioni e sindacati di abitanti hanno organizzato cortei, dibattiti, occupazioni, incontri di formazione in almeno sessanta città del continente, ma non in Italia. Alla manifestazione di Lisbona organizzata dalle associazioni Habita e Stop despejos (Stop sfratti) hanno partecipato trentamila persone; in Francia la rete Droit au logement ha protestato in dodici città diverse contro una nuova legge che criminalizza le occupazioni, molto simile alla proposta avanzata da Fratelli d’Italia; ad Atene le associazioni di abitanti hanno manifestato contro le aste giudiziarie davanti alla sede del parlamento; ma anche a Stoccolma e a Vienna, città con forti tutele pubbliche sull’abitare, sono scesi in piazza manifestanti che collegavano la questione della casa a quella dell’aumento del costo della vita e del prezzo dell’energia.

Le iniziative erano coordinate dalla Coalizione europea per il diritto alla casa e alla città (European Action Coalition for the Right to Housing and to the City), e si erano svolte anche nelle primavere dei due anni precedenti, subito dopo la fine del blocco degli sfratti del primo anno di pandemia. Questi Housing action days hanno tenuto insieme le rivendicazioni di città dove le politiche pubbliche, la dotazione di edilizia popolare, la sindacalizzazione degli abitanti, sono completamente differenti. Ciò che le accomunava era la percezione di un’emergenza generalizzata sul problema della casa: aumento degli sfratti, degli sgomberi e dei pignoramenti, nonché della repressione contro chi cerca di limitarli; dall’altra parte incremento esponenziale della ricchezza dei grandi operatori finanziari che investono nel settore immobiliare. Come era avvenuto con la crisi finanziaria del 2008, anche la nuova crisi globale sembra aver portato benefici esclusivamente ai grandi attori economici e finanziari. Una risoluzione Onu del 2017 già allertava gli stati membri che i massicci investimenti finanziari sul mercato immobiliare stavano portando all’impoverimento di milioni di persone; e un decreto del Parlamento europeo del 2021, rimasto per lo più inascoltato, chiedeva agli stati dell’Unione di prendere misure per ridurre o invertire la tendenza alla concentrazione delle ricchezze e il conseguente aumento di sfratti e sgomberi. Ma queste politiche erano state promosse proprio dall’Unione europea, anche prima della crisi finanziaria.

L’Italia è rimasta estranea alle proteste, ma non è certo estranea a queste problematiche. All’aumento della concentrazione di ricchezze e al conseguente impoverimento della popolazione dopo l’inizio della pandemia di Covid-19, corrisponde ovunque il tentativo di “valorizzare” parti di città e di patrimonio collettivo. Questo termine ambiguo è stato usato a profusione nelle politiche pubbliche sin dagli anni Novanta, per indicare la trasformazione di spazi, risorse e beni collettivi in strumenti di profitto. In questo libro presentiamo tre esempi molto diversi che si riferiscono alle tre principali città italiane: la finanziarizzazione dell’abitare sociale a Milano, la privatizzazione dell’edilizia agevolata a Roma e le trasformazioni del tessuto sociale in un quartiere popolare di Napoli. Queste tre storie presentano un’analogia importante: a essere “valorizzati” non sono solo i palazzi e gli spazi urbani, come nel paradigma classico della gentrificazione, ma anche il welfare, l’associazionismo, il terzo settore, addirittura il pensiero critico. Al di là dell’arrivo nei quartieri popolari di una gentry disposta a pagare affitti più cari, e dell’afflusso di turisti o studenti, l’accumulazione di profitti sulle città avviene soprattutto trasformando gli usi e il senso di alcune risorse prima considerate collettive, gestite dalla popolazione, tutelate dallo stato, o comunque non votate principalmente al profitto. Per rendere redditizie queste risorse, si inventano nuove rappresentazioni delle città e della società, che spesso vengono fatte proprie, con scarsa consapevolezza, anche da abitanti e associazioni locali.

Nel capitolo sui Quartieri Spagnoli di Napoli si descrive una fase incipiente dell’estrazione di valore dalla città: i grossi operatori finanziari sono ancora alla finestra e le amministrazioni pubbliche si mostrano passive di fronte ai repentini cambiamenti indotti dall’impatto del turismo di massa. I più lesti ad approfittare del nuovo scenario – oltre all’onnipresente piattaforma Airbnb – sono i piccoli imprenditori locali della ristorazione e dell’ospitalità, che si avvalgono di una sostanziale deregolamentazione per accumulare profitti in modo frenetico e disordinato. Nel giro di poco tempo, però, ecco manifestarsi una progressiva tendenza alla concentrazione delle risorse e dei capitali, dalle mani di questa piccola imprenditoria diffusa e rapace, a quelle di organizzazioni più solide ed efficienti, operanti negli stessi settori ma in maniera più centralizzata e strategica, con forti investimenti sulle relazioni istituzionali e sulla creazione e divulgazione di narrative adeguate ai propri obiettivi. Si tratta, nella fase attuale, di soggetti e istituzioni ancora radicate localmente, ma la strada è aperta all’ingresso di operatori di dimensioni sempre maggiori e sempre più slegati da esigenze e peculiarità del territorio. 

Il capitolo su Roma descrive una forma diversa, più diffusa nello spazio, di estrazione di valore: la cartolarizzazione e privatizzazione degli appartamenti a prezzo calmierato che tra gli anni Novanta e Duemila sono stati inseriti sul mercato libero, grazie a operazioni legislative e accordi sindacali di cui si sono beneficiati operatori di scale diverse: dagli assegnatari diventati titolari di mutui agevolati, alle cooperative e fondazioni che hanno venduto gli appartamenti tutelati a prezzi di mercato, fino agli enormi fondi di investimento come Bnl-Bnp Paribas che sono riusciti ad accaparrarsi case costruite grazie a finanziamenti e agevolazioni pubbliche. Attraverso investimenti di questo tipo, piccoli e grandi, una parte consistente di città fino a quel momento rimasta fuori dal mercato è stata improvvisamente trascinata dentro, anche grazie a una narrativa che mirava a nascondere la natura pubblica di questi beni, e i diritti che gli abitanti avrebbero potuto rivendicare. Come conseguenza di tutto questo processo, una risorsa di welfare istituita per dare case a chi non poteva permettersele, e per mantenere bassi i prezzi degli affitti in tutta la città, è diventata uno strumento per centralizzare ancora la proprietà immobiliare, quindi per alzarne i prezzi.

Una modalità ancora più avanzata di valorizzazione si vede nel capitolo su Milano. Avallando un processo di totale confusione e indistinzione tra le sfere del pubblico e del privato – finanziario e no profit -, il Comune sta progettando un sistema misto di produzione e gestione di housing sociale che ingloba anche il patrimonio di edilizia popolare. Attraverso le prime delibere e i primi accordi sperimentali con Fondazione Cariplo, la società immobiliare Coima e alcuni attori del privato sociale, avanza un disegno di privatizzazione generale delle politiche della casa e l’immissione sul mercato finanziario degli ultimi residui di welfare abitativo. Il grande capitale così non solo riesce a far crescere il valore degli immobili manipolando le retoriche urbane, o ad appropriarsi degli appartamenti tutelati, ma arriva addirittura a inserirsi nella produzione e nella distribuzione dell’edilizia pubblica, cioè del dispositivo che doveva limitare i suoi profitti.

In un documentario recente, la sociologa Saskia Sassen afferma: “Quando sento la gente lamentarsi della gentrificazione, la mia reazione è: magari fosse solo quello. È molto più profondo”. In queste tre storie riconosciamo processi economici noti che possiamo chiamare privatizzazioni, esternalizzazione del welfare, marketing territoriale, gentrificazione. Viste nel complesso, però, esse sembrano indicare uno scenario più ampio che va oltre e combina questi processi, richiedendo un’analisi diversa. Lungi dal contribuire alla distribuzione dei profitti estratti, l’estrazione generalizzata di valore dalle città sta creando ovunque diseguaglianze, impoverimento, marginalizzazione, espropri ed espulsioni.

Nel libro Capitalismo cannibale, Nancy Fraser sostiene che la creazione di profitti non avviene solo attraverso i processi produttivi, ma anche attraverso la continua appropriazione di aspetti della vita sociale rimasti fuori dalla produzione, o volutamente tenuti fuori, che però possono essere “cannibalizzati” per estrarne nuovo valore. Le analogie tra le vicende presentate in questo libro ci suggeriscono che la creazione di profitti sulle città avviene anche attraverso l’appropriazione di sfere della vita urbana in precedenza tenute fuori dalla produzione di valore come il welfare, la creatività e l’associazionismo, a diverse scale contemporaneamente, e con la creazione di retoriche che ne giustificano l’appropriazione¹. Esse riguardano non solo parti specifiche di città, ma ogni aspetto prevalentemente non commerciale della vita sociale, compresi quelli formali come l’edilizia pubblica. Fraser identifica in questo cannibalismo il proseguimento ideale delle “grandi recinzioni” dei beni comuni, le enclosures del XVI e XVII secolo², con cui i signori e i nobili “letteralmente derubavano i poveri della loro parte di terreno demaniale³”. Dopo queste recinzioni quasi mitologiche, che impedirono alle comunità contadine europee l’accesso alle foreste e ai pascoli comuni, parallelamente allo sviluppo industriale le classi dirigenti hanno continuato a “derubare i poveri” di risorse fondamentali che garantivano la loro sopravvivenza4. Le recinzioni dei terreni comuni inglesi servirono da modello per l’usurpazione delle terre indigene nelle colonie, e proseguono oggi con il land-grab in Amazzonia o nel sud-est asiatico, fino agli attacchi recenti a beni di cui non era neanche pensabile la recinzione – l’acqua, le piante medicinali, il Dna, “addirittura la pioggia”, come recita il titolo di un film del 20105. Ogni ricchezza è potenzialmente anche fonte di recinzioni ed espropri: la conseguenza della ricchezza della terra è la povertà delle persone6.

____________________

¹Si veda Emanuele Belotti, Davide Caselli, 2016. La finanziarizzazione del welfare: una esplorazione del caso italiano. In Urban@it, Le agende urbane delle città italiane. Sulla questione delle scale: Brenner N., New urban spaces. Urban theory and the scales question, Oxford University Press, 2019.

²L’idea era già in Hodkinson, S. 2012, The new urban enclosures, City 16(2): 500-518.

³Polanyi, K., La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974.

4Midnight Notes Collective, “The New Enclosures”, Midnight Notes 10, 1990; Shiva V., The Enclosure and Recovery of the Commons: Biodiversity, Indigenous Knowledge and Intellectual Property Rights, New Delhi Research Foundation for Science, Technology and Ecology, 1997; de Angelis M., The beginning of history. Value struggle and global capital, Pluto, London, 2007; Vasudevan A., McFarlane C., Jeffrey A., “Spaces of enclosure”, Geoforum 39 (5), 2008, pp. 1641-1646 Federici S., Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, Roma, 2013.

5Y también la lluvia (2010) di Icíar Bollaín, sulle battaglie per l’acqua nell’altipiano di Cochabamba, Bolivia.

6Galeano E., Le vene aperte dell’America Latina, Sur, Roma, 2021 (1971).

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