Da domani, 10 novembre, e fino a martedì 12, la psichiatra e psicoterapeuta Samah Jabr sarà a Napoli per parlare del suo ultimo libro, Il tempo del genocidio, e del massacro in corso in Palestina da più di un anno.
Il primo appuntamento è per domani, alle ore 17:00 all’ex Asilo Filangieri (vico Giuseppe Maffei, 4). L’ultimo martedì 12, all’università L’Orientale per uno dei seminari del ciclo Huna Filastin. Qui potete trovare il programma completo.
Pubblichiamo a seguire un articolo scritto da Samah per il quotidiano arabo on-line Alquds e tradotto dall’inglese da Cloe Curcio (Sensibili alle foglie).
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Nel contesto dell’aggressione in corso su Gaza sta emergendo un nuovo fenomeno psicologico. Migliaia di bambini vengono privati della loro infanzia e stanno assumendo i ruoli di adulti dopo aver perso i loro padri e madri. L’aggressione in corso a Gaza ha lasciato decine di migliaia di orfani, di uno o entrambi i genitori, e quasi un milione di bambini sfollati, costringendoli a rinunciare al gioco e allo studio per assumersi responsabilità superiori a quelle appropriate per la loro età. In questo ambiente duro, questi bambini si stanno trasformando in “piccoli capifamiglia”, in un tentativo disperato di riempire il vuoto lasciato dall’assenza degli adulti. In ogni caso, l’immenso fardello psicologico di questi ruoli può lasciare profonde ferite nei loro spiriti, che dureranno per tutta la loro vita.
DIARIO DI CAMPO
Nelle strade di Gaza sono chiaramente visibili le caratteristiche di questa tragedia quotidiana. Vediamo un bambino non più grande di dieci anni che lavora per portare sacchi di farina da venticinque chili sulle sue esili spalle, per guadagnare una manciata di shekel per sfamare i suoi famigliari dopo che suo padre è stato martirizzato e sua madre è stata dichiarata dispersa. Vediamo un altro dodicenne che porta il suo fratellino neonato sulla schiena, occupandosi costantemente di lui dopo che sua madre è stata martirizzata. Vediamo anche una ragazzina di dieci anni che percorre a piedi quotidianamente lunghe distanze per procurare pesanti galloni d’acqua e un’altra che trasporta la sorellina quasi coetanea impossibilitata a camminare, alla ricerca di un luogo sicuro. Un altro bambino conforta sua madre in lutto, vedova e ferita, che non riesce a prendersi cura di lui, per incoraggiarla e consolarla. Questi esempi non sono casistiche individuali, piuttosto rappresentano immagini quotidiane significative della cupa realtà sofferta da centinaia di migliaia di bambini a Gaza, privati della loro infanzia e della loro naturale dipendenza dai genitori, sotto il peso del genocidio che ha portato in tutte le famiglie, nessuna esclusa, dolore e lutti.
IL FARDELLO INSOSTENIBILE DI UN RUOLO DA ADULTO
I ruoli imposti ai bambini in guerra hanno conseguenze psicologiche complesse e difficili da risolvere. Lo stress a cui vengono sottoposti questi bambini è uno stress psicologico grave e duraturo, che supera la capacità fisica e psicologica di riprendersi. Questo tipo di stress inficia lo sviluppo sano del cervello e le connessioni emotive normali proprie di questa età. I bambini che vivono in queste condizioni di stress perdono la capacità di concentrarsi e di apprendere, esibendo una tendenza a ritrarsi socialmente che compromette il loro sviluppo psicologico e cognitivo.
Nonostante attribuire ai bambini alcune responsabilità commisurate alla loro età e alle loro competenze possa migliorare la loro autostima e contribuire al loro sviluppo, quando essi si trovano ad assumere ruoli oltre la loro età vengono privati dell’opportunità di esplorare se stessi attraverso l’educazione e il gioco, si ritrovano bloccati in responsabilità che non sono adeguate alle loro capacità. Questi bambini poi soffrono di difficoltà nel definire se stessi oltre i ruoli di capofamiglia e di caregiver imposti loro dalla guerra. Un ulteriore aspetto psicologico di questa sofferenza è la soppressione delle emozioni e lo sviluppo di sensi di colpa cronici, poiché i bambini sono costretti a sopprimere i loro sentimenti per non sembrare deboli davanti ai loro parenti, incrementando così il loro senso di responsabilità e imponendo su di loro pesanti fardelli psicologici. Essi si sentono in colpa ogni volta che si scoprono incapaci di soddisfare i bisogni delle loro famiglia e questa sensazione può far insorgere disturbi ansiosi e depressivi nel lungo termine.
I bambini sono inoltre soggetti a quella che è definita una “normalizzazione della sofferenza”, dove la violenza e la sofferenza diventano una parte normale della vita quotidiana. Questa normalizzazione li rende incapaci di riconoscere un’infanzia normale, esacerbando la loro sofferenza psicologica e incrementando la loro esposizione a rischi sproporzionati alla loro età. Per esempio, alla domanda: «Cosa farai da grande?», abbiamo sentito un bambino rispondere: «I bambini non crescono, a Gaza».
Inoltre, i bambini che assumono il ruolo di caregiver nelle loro famiglie hanno difficoltà a costruire relazioni sane in futuro. Per loro, i concetti di amore e cura sono associati con il portare fardelli pesanti, che li spinge a dare eccessivamente o evitare completamente le relazioni romantiche, nel timore di cadere nuovamente nella trappola della responsabilità.
L’INTERVENTO PSICOLOGICO SOTTO LE BOMBE
In questa atroce realtà l’intervento psicologico è una necessità urgente, ma la sua implementazione in un ambiente soggetto a bombardamenti e sotto assedio risulta estremamente difficile. Il supporto psicologico non può essere offerto efficientemente sotto bombardamenti continui, poiché ai bambini manca un ambiente in cui elaborare e superare il trauma. Inoltre, i blackout di energia elettrica e di internet, insieme alla massiccia distruzione di infrastrutture, impediscono l’offerta di assistenza in maniera utile dall’esterno della Striscia.
Anche quando sono disponibili delle sessioni di psicoterapia, i terapeuti hanno difficoltà a fare un progresso sostenibile dovuto al perdurare di paura, fame, sfollamenti e instabilità. Un bambino non può riprendersi dal trauma della perdita dei propri genitori mentre si trova sotto la minaccia di morte o sfollamento in qualsiasi momento. Nonostante i programmi di psicoterapia siano importanti, essi devono essere integrati da sforzi comunitari e internazionali per offrire protezione ai bambini e ristabilire il senso di sicurezza che hanno perso.
Al fine di alleviare la sofferenza di questi bambini occorre offrire un sostegno comprensivo per ristabilire il loro ruolo normale e l’equilibrio psicologico e sociale. Oltre al trattamento psicologico, alleviare il fardello dei bambini richiede di offrire assistenza finanziaria diretta alle famiglie in difficoltà e di incoraggiare i membri della comunità a prendersi cura di quei bambini, per evitare che essi siano costretti a lavorare da piccoli. La comunità locale deve anche essere coinvolta nell’offerta di cura e custodia. I membri della comunità possono essere formati per offrire supporto psicologico ai bambini, oltre a costruire centri di comunità che offrano attività sportive e artistiche per aiutarli a esprimersi. Ambienti sicuri di apprendimento sono necessari per reintegrarli nelle scuole e compensare la perdita educativa conseguente alla guerra. Questi sforzi devono essere integrati con campagne internazionali che facciano pressione per porre fine al genocidio e garantire l’accesso umanitario a Gaza.
La “forza” mostrata dai bambini di Gaza nel sostenere i fardelli non è sempre motivo di orgoglio, ma piuttosto un grido d’aiuto che riflette la profondità della sofferenza che stanno vivendo. Questi bambini hanno bisogno di un supporto reale, che ripristini la loro infanzia rubata e offra loro l’opportunità di crescere normalmente in un ambiente sicuro, dove i loro diritti fondamentali siano rispettati. Ristabilire la loro infanzia non è un lusso, ma un’urgente necessità per garantire un futuro sano alla società palestinese. (samah jabr / traduzione di cloe curcio)