
da: Directa.cat
La questione della vendita ambulante di merce contraffatta (il cosiddetto top-manta) a Barcellona è stato uno degli elementi di maggior frizione tra la cittadinanza e il governo municipale di Ada Colau. Alle tensioni già esistenti si aggiunge ora un’inchiesta della polizia catalana, che dichiara di sospettare della presenza di un’associazione criminale o mafiosa, consistente nella confraternita sufi Muridiya a cui molti ambulanti (manteros) sono affiliati. Gruppi di ricerca universitari e associazioni di difesa dei migranti e dei manteros hanno criticato duramente l’islamofobia soggiacente all’indagine, spiegando quanto la confraternita non sia che una rete di mutuo aiuto nelle difficoltà della situazione migratoria (si veda anche qui). Due membri dell’Osservatorio di Antropologia del Conflitto Urbano di Barcellona commentano qui gli eventi, inserendoli in un’interessante analisi di economia politica delle migrazioni.
Secondo Lant Pritchett, economista di Harvard ed ex dirigente della Banca Mondiale, “l’Europa ha bisogno di più di duecento milioni di migranti nei prossimi trent’anni” perché l’economia del continente resista, una misura che aiuterebbe a evitare quello che inizia a considerarsi il suicidio demografico dell’Unione Europea. Nel vecchio continente il tasso di natalità diminuisce e le persone di età avanzata e senza capacità produttiva aumentano. Se continuiamo così, chi pagherà le pensioni degli anziani del futuro?
A questo si aggiungono le aggravanti distopiche di un’economia sempre più robotizzata e con meno necessità di mano d’opera, da un lato, e dall’altro di frontiere rigide, tecnologizzate e invalicabili che allontanano i migranti, la cui gioventù e fertilità sarebbero una soluzione possibile all’invecchiamento e alla morte dell’Europa. Ma la soluzione di Pritchett è comunque problematica e provocatrice: dare permessi di lavoro in massa ai migranti, ma liberando tali permessi dalla concessione della cittadinanza. Insomma, i migranti verrebbero a lavorare, ma non potrebbero mettere radici, e dopo un certo periodo dovrebbero tornare a casa. Proprio come avviene in alcune monarchie petrolifere del Medio Oriente, dove c’è una gran quantità di lavoratori temporanei privi di diritti.
La proposta di Pritchett, per quanto critica con le richieste di rafforzamento delle frontiere da parte dell’ultradestra, è una proposta ultraliberale, dettata da centri economici globali come la Banca Mondiale, dove il lavoro viene svincolato dai processi di accumulazione capitalista. Come segnala Gramsci, “le relazioni internazionali si mischiano alle relazioni interne degli stati-nazione”, e allo stesso modo, quello che scrive Lenin sull’imperialismo come “ultima fase del capitalismo”, è ancora vigente e legato strettamente al fenomeno migratorio.
Secondo David Harvey, uno stato-nazione determinato – pensiamo al ruolo globale che hanno oggi gli Stati Uniti – esporta i peggiori elementi dello sfruttamento capitalista, già sperimentati all’interno delle proprie frontiere con la propria classe lavoratrice: facilita l’esportazione di capitali, ottiene materie prime a bassissimo costo, conserva e allarga i mercati e mantiene un esercito industriale di riserva (masse di disoccupati disposti a lavorare a qualunque costo) composto da lavoratori migranti.
La migrazione dei lavoratori dei paesi subordinati alle metropoli globali è un chiaro esempio di formula win-win per le borghesie nazionali. Da una parte, i migranti, soprattutto quando sono illegali, aiutano a far calare il prezzo della mano d’opera dei paesi capitalisti, minando i diritti ottenuti con le lotte dei lavoratori occidentali; dall’altra però questi stessi lavoratori migranti, con o senza documenti, sono usati come capri espiatori quando arriva qualcuna delle crisi endemiche e inevitabili che produce il sistema capitalista stesso. […]
In un testo pubblicato lo scorso 24 febbraio su El Periódico de Catalunya, l’autore scopriva che – sorpresa! – gli ambulanti sono musulmani. La destra non ha mai brillato per qualità intellettuali, ma in questa occasione ha superato se stessa. A parte l’ironia, il suddetto articolo attizzava una diatriba anti-islamica e xenofoba segnalando l’esistenza di un certo gruppo islamico che controllerebbe, nell’ombra, la volontà dei venditori ambulanti. […] Il giornale confonde una confraternita, cioè un gruppo di fedeli religiosi, con un’organizzazione criminale, per il semplice fatto di essere musulmani. È una cosa delirante almeno quanto confondere la confraternita della vergine della Macarena con il Ku Klux Klan, e non tanto perché portano tuniche e cappucci, ma perché sono persone organizzate intorno a una fede religiosa.
Una caratteristica dell’ultima fase del capitalismo neoliberale è la precedenza alla circolazione rispetto alla quiete. Questo discorso rivela il suo carattere ideologico quando si contrappone a una geopolitica fondata sulla sistematica presenza di barriere fisiche o burocratiche organizzate come fortezze intorno a certi territori. Per lo scrittore nigeriano Fidelis Balogun, i piani di aggiustamento strutturale introdotti a metà anni Ottanta dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale hanno avuto conseguenze comparabili a un disastro naturale, e così “per restituire alla vita un’economia moribonda bisognava spremere bene i cittadini con meno risorse”.
Nell’Africa subsahariana, il risultato degli aggiustamenti strutturali non poteva essere più drammatico, soprattutto in ambito rurale tradizionale, dove si persero tutte le battaglie contro l’agricoltura automatizzata e sovvenzionata del Nord, espellendo milioni di persone verso nuclei urbani che funzionano con una logica paradossale, per cui l’aumento della popolazione non fa che diminuire la capacità produttiva. Alla fine degli anni Novanta, nelle città di paesi come Senegal, Costa d’Avorio, Tanzania o Gabon, con economie che calavano annualmente di un due o cinque per cento, avvenne una sorprendente crescita demografica urbana del cinque o dell’otto per cento, con il risultato di una popolazione urbana disoccupata in aree iper-degradate.
Nel caso del Senegal, il paese da cui provengono la maggior parte degli ambulanti che lavorano nelle strade di Barcellona, questa situazione è ancora critica. Il Fondo Monetario Internazionale ha creato le condizioni per l’espulsione degli africani dai loro paesi, mentre un altro Frankenstein sovranazionale – l’Unione Europea – ha chiuso loro le porte. I due movimenti sono avvenuti quasi simultaneamente.
L’entrata in vigore del Trattato dell’Unione Europea, firmato dalla Spagna nel ’91 e ratificato nel ’93, così come l’accordo per la creazione dello spazio Schengen nel marzo ’95, sono uno spartiacque nel controllo territoriale delle frontiere. Alcune delle azioni anti-migratorie più recenti sorgono da iniziative spagnole, mentre altre sono chiaramente state imposte dall’Unione. Eppure, come dice l’antropologo francese Marc Augé, “una frontiera è sia una barriera che un valico”, per cui, nonostante la chiusura della fortezza Europa, la Spagna è passata da una percentuale relativamente esigua di popolazione africana (8.529 residenti nel 1985) a quasi dieci volte di più (82.601 nel 1994). Per i senegalesi, all’inizio dei 2000 la Spagna è diventata una destinazione migratoria comparabile alla Germania, al Regno Unito o alla Francia.
In gran parte di etnia wolof, gli ambulanti (manteros), che si autodefiniscono Móodu-Móodu, condividono un elemento spirituale comune: la devozione ad alcune figure del ramo senegambiano dell’Islam, caratterizzato dalla mistica sufi. Come altri rami del sufismo, questi devoti abbracciano il pacifismo e un’ideologia della non violenza. Alcuni sono membri della Tariqa Tijaniyya e seguitori del profeta sufi Ibrahim Niass, conosciuto anche come Baye Niass (padre Niass). Altri sono invece seguaci di Ahmadou Bamba, conosciuto anche come Cheikh Amadou, fondatore della Muridiyya, predicatore musulmano anticoloniale della fine del secolo XIX e inizio del XX. Molto influente tra i migranti del Senegal, Ahmadou Bamba viene descritto come l’asilo di chi non ha rifugio; per questo i soggetti transfrontalieri si identificano con lui.
I legami tessuti dalla spiritualità Móodu-Móodu si materializzano in reti di appoggio reciproche. Se da una parte gli ambulanti si sentono responsabili del sostegno alle loro famiglie in Senegal, i migranti senegalesi che sono da più tempo in Spagna si sentono responsabili dell’accoglienza dei nuovi arrivati. È la stessa cosa che successe decenni fa in Catalogna con l’immigrazione dall’Andalusia, dall’Extremadura e così via: per questo nei paesi e città dell’area metropolitana di Barcellona la gente accoglie tanti abitanti dei loro stessi luoghi d’origine.
Per i manteros, questo è specialmente importante: i dajar (ultimi arrivati) sono accolti dai diatugui (i padrini), che alloggiano i dajar in forma gratuita finché i nuovi migranti non trovano lavoro; trovarne, senza documenti, è un compito arduo se non impossibile, ed è in questa disgiuntiva che la vendita ambulante diventa una dura alternativa, che la maggioranza spera sia temporanea, sopportabile proprio grazie alle reti di sostegno e solidarietà nel contesto dell’appartenenza a una comunità spirituale sufi.
Legati a due mondi, l’esperienza della frontiera per i manteros è una frattura. Indipendentemente dalla razza o dal colore della pelle. Ugualmente fratturati si sentirono i rifugiati repubblicani spagnoli, molti dei quali arrivarono in Messico da bambini o da bambine fuggendo dalla persecuzione franchista. L’esperienza della frontiera per l’ambulante non termina con l’ingresso nello stato-nazione, dove arriva come migrante senza documenti, ma si riproduce continuamente nella città. Il risultato è un’esperienza di ubiquità frontaliera che il mantero deve affrontare ogni volta che realizza una qualche incursione. Gli ambulanti si trovano continuamente a dover saltare la rete che li separa dalla morte e dalla vita, in grandi paesi europei che sembrano non volere i migranti. (horacio espinosa/josé mansilla, traduzione di stefano portelli)