
(aria)
Ad Aprilia, nell’agro pontino la Sorgenia di De Benedetti progetta una centrale per lo stoccaggio del gas. Gli abitanti occupano il sito dove dovrebbe sorgere l’impianto. In una vecchia casa colonica si apre un autentico spazio di democrazia informale
Procedendo verso Aprilia da Roma, lungo la Pontina, si attraversa un paesaggio contraddittorio. Le grandi distese pianeggianti dell’agro pontino, già teatro delle leggendarie bonifiche d’era fascista, presentano oggi uno scenario a un tempo elegiaco e desolante. Alle imprese agro-alimentari si alternano i capannoni industriali e gli impianti, molti dimessi, di questa che fu l’estrema propaggine settentrionale dell’area d’intervento della Cassa del Mezzogiorno. Ancor di più, secondo questa geografia che mostra le fasi storiche attraversate dal territorio, si accavallano centri commerciali, outlet, ipermercati, una grande concentrazione della distribuzione commerciale nel basso Lazio.
Oggi Aprilia potrebbe essere un emblema dell’era post-industriale: quasi ottantamila abitanti, con un trend in continua crescita nonostante la crisi del settore industriale e la cronica carenza di servizi. Frutto delle note dinamiche speculative, caldeggiate da amministrazioni che non esitano a convertire in area edificabile consistenti quote dell’agro, la città cresce, fagocita i territori circostanti, li invade con le fasce subalterne, espulse verso soluzioni residenziali più economiche. Di converso la popolazione dell’hinterland è sempre più pendolarizzata, in un malsano rapporto di dipendenza crescente dalla città.
Così l’hinterland diventa un territorio discarica, dove collocare gli scarti di questo sviluppo, si tratti dei rifiuti, delle devastanti infrastrutture legate alla mobilità, degli impianti di produzione di energia. La Grande Area Metropolitana a venire non farà altro che istituzionalizzare questi assetti, dichiarando definitivamente banlieue territori che fino a oggi avevano una propria fisionomia, una storia, un’identità e una persistente capacità d’immaginarsi un futuro diverso. Vale per Aprilia come per i castelli romani, fino al litorale. A giovarsene sono i grandi gruppi nazionali, spesso ben radicati nella capitale e accorpati nel blocco speculativo che vede Caltagirone, Gruppo Cerroni, Acea e via dicendo, in un intreccio tra la grande edilizia e le speculazioni legate ai servizi pubblici locali (acqua, rifiuti energia, ecc.).
Ad Aprilia però è diverso. Qui hanno a che fare con la Sorgenia di De Benedetti. Una di quelle società nate e cresciute con la liberalizzazione del mercato dell’energia in Italia. Lungimirante, questo gruppo si presenta come specializzato in produzione delle energie rinnovabili, incassando gli aiuti statali nonostante questo comparto costituisca appena il 5% dell’intera produzione. La Sorgenia in realtà si è buttata a pesce nell’affare del gas, intensamente promosso dal precedente governo di centrosinistra, Pecoraro Scanio in testa, che la vedeva come un’alternativa sostenibile. La partita del gas è considerata prioritaria per la strategia energetica nazionale, almeno in attesa che il nuovo corso nuclearista risolva tutti i problemi. E infatti tra i punti del famoso dodecalogo prodiano figuravano i rigassificatori, gli impianti adibiti allo stoccaggio di gas liquefatto da convertire poi allo stato gassoso, per essere rivenduto al mercato europeo o destinato alle centrali italiane. Il più grande degli impianti autorizzati, quello di Gioia Tauro, vede uniti in una cordata per la sua realizzazione il gruppo Bellelli, Iride e, guarda un po’, Sorgenia.
Tornando alle centrali turbogas, dal 2002 ne sono state autorizzate in Italia quarantacinque. A queste negli ultimi anni si sono aggiunte altre settantatre nuove richieste di centrali elettriche, di cui nove nel Lazio. Una corsa facilitata dalla legge Marzano, la cosiddetta “sblocca centrali”, che recita: “Le centrali di potenza superiore a 300 MW sono dichiarate opere di utilità pubblica e soggette a un’unica approvazione del Ministero delle Attività Produttive, anziché ad approvazioni diverse da parte dei singoli comuni interessati”. Tutto il quadro di accertamenti ambientali – descrizione dell’esistente, strumenti di pianificazione – viene affidato al proponente. Il comune non ha alcuna voce in capitolo. Solo alla regione spetta una valutazione di tipo tecnico, in merito alle eventuali criticità ambientali dell’opera. Si arriva dunque al paradosso per cui la Regione Lazio conferisce l’intesa tecnica per la Centrale di Aprilia, potenza 800 MW, mentre gli stessi uffici dell’ente dichiarano quella un’area per la quale vanno predisposti piani di risanamento per la qualità dell’aria.
Una scelta sbagliata
Ma il paradosso più grande è proprio la reazione suscitata dalla notizia, circa tre anni fa, in questa sonnacchiosa provincia. Al contrario di quanto figurava nelle previsioni degli esperti della Sorgenia, che motivano la localizzazione dell’impianto anche in base alla scarsa reattività della popolazione, negli ultimi anni la minaccia dell’ennesimo scempio ha innescato una dinamica di partecipazione diffusa che in queste zone non si ricordava a memoria d’uomo.
Dopo le prime manifestazioni, le persone scendono in piazza a migliaia, arrivano dai comuni vicini come Anzio e Nettuno, invadono le strade fino a trentamila, bloccano strade, occupano il sito dove dovrebbe sorgere l’impianto. Da qui in avanti la lotta contro la Turbogas è un’esperienza destinata a cambiare la vita della cittadina, persino più della mobilitazione contro la privatizzazione dell’acqua, che pure ha visto in Aprilia il paradigma delle lotte analoghe diffuse in tutta Italia.
Il presidio diventa il teatro principale di questo miracolo. Lì dove la Nettunense costeggia la linea ferroviaria e procede verso il litorale, a ridosso dei binari si estende il terreno agricolo da cui si scorgono un cementificio da una parte, dall’altra l’impresa che costruisce le volte per la linea C della metropolitana di Roma. Proprio in mezzo, un gigantesco eucalipto sembra proteggere una vecchia casa colonica. Questo posto sarà il cuore della lotta. Viene risistemato in modo che ci si possa dormire e subito diventa centro di raccolta, arrivano persone di ogni età, si organizzano cene e dibattiti, si realizzano lì le assemblee e lì si fa festa. Fino a quando la scorsa estate anche gli altri movimenti dell’area, i “No fly” di Ciampino e i “No inceneritore” di Albano, sono venuti a organizzare insieme ai “No turbogas” il primo campeggio di lotta.
Gli stessi comitati lo scorso 5 dicembre erano insieme sotto la Regione Lazio, insieme ad altre realtà di lotta della capitale. Un appuntamento organizzato circa tre settimane dopo che il presidio è stato sgomberato, il 18 novembre. Così raccontava il fatto Marco, della “Rete dei Cittadini Contro la Turbogas”, durante il suo intervento: «Hanno fatto un’operazione di polizia enorme, sono arrivati di notte al presidio che i cittadini pacificamente occupavano per dire no alla centrale… Abbiamo riempito quello spazio, per quasi due anni, con iniziative, dibattiti, concerti, momenti ricreativi, era diventato quasi un altro comune… Hanno interrotto quest’esperienza perché gli faceva paura e l’hanno fatto nella maniera più violenta possibile: sono arrivati di notte, più di duecento celerini, neanche avessero trovato, non so, il Provenzano delle pianure pontine… Invece hanno trovato tre occupanti del presidio che facevano il turno di notte… Invitiamo tutti a partecipare il 14 ad Aprilia, perché sarà un giorno fondamentale per noi…». Il 14 dicembre, il giorno della manifestazione, l’atmosfera è un po’ particolare. Non c’è l’aria di festa che si respira sempre alle manifestazioni di Aprilia, dove partecipano almeno diecimila persone ogni volta, anche gli anziani, i bambini con i palloncini… No. Questa volta è diverso. Per oltre un mese Aprilia è stata assediata dalle forze dell’ordine. Alla stazione di Campo di Carne, proprio vicino al sito, chiedevano i documenti ai viaggiatori che arrivavano e per qualche motivo erano ritenuti “sospetti”. Nei bar c’è la digos che fa strane domande. E poi tanti carabinieri e polizia per le strade. Da un mese ad Aprilia si vive sotto una cappa d’intimidazione.
Forse sarà per questo. Sta di fatto che alla manifestazione c’è meno gente del solito. Meno rumoreggiare, meno slogan. C’è più gente da Roma, c’e un gruppo di studenti dell’Onda, ci sono i “No fly” e i “No inc” ma il clima resta dimesso. La manifestazione è comunque riuscita, almeno cinquemila persone, ma sembra non esserci stata la risposta che si aspettava, che si riteneva necessaria. La tensione cresce quando si arriva al punto in cui deve concludersi il corteo. Tutti gli altri finivano, sempre, al presidio. Ovviamente oggi questo non è possibile. Il percorso concordato prevede che il corteo si fermi allo svincolo tra Nettunense e Pontina. Qui cominciano a parlare anche i sindaci. Quello di Aprilia, formalmente contrario, ora, ma considerato un doppiogiochista, viene ampiamente contestato, fischi e urla gli vengono rivolti mentre cerca di fare il discorso dal camioncino. È a quel punto che, stanche di ascoltare l’opportunista di turno, le persone iniziano a muoversi. Da dietro il primo cordone di signore simbolicamente incatenate, i manifestanti si muovono verso i celerini che presidiano l’accesso alla Pontina. La cosa non sembra concordata e tanto meno pianificata. Appena si muovono i primi è un fiume. In modo caotico, prendono a salire la collinetta ripida verso il cavalcavia, tra i rovi; i celerini non trovano motivi per fermare quelli che gli vanno incontro a mani alzate, gli altri sono già passati, loro si lasciano travolgere quasi subito.
È uno sbotto, un conato, uno sfogo collettivo. La tensione esplode in un momento di festosa azione collettiva. I volti si distendono in sorrisi, urla, risate, slogan, i corpi si muovono liberi, sembra quasi che ballino. Si sentono davvero padroni della strada. Hanno restituito lo schiaffo ricevuto. Si mettono a bloccare la strada. Dal megafono Marco dice: «L’occupazione della Pontina, una delle arterie principali che porta fino alle province del sud Italia, è una prima risposta, pacifica, ma determinata… Va bene l’interlocuzione, ma a questo punto il risultato che dobbiamo portare a casa è il blocco di qualsiasi attività sul sito». La gente sembra aver aspettato a lungo questo momento. Un uomo commenta: «Per fortuna c’è stato un qualche cosa… perché a esse sempre passivi, cioè sta silenziosi, a fa’ manifestazioni educati, nun s’ottiene niente. C’hanno preso in giro tutti quanti, sia destra che sinistra, da Bersani a Matteoli, ecco qua che ci ritroviamo…». Ancora, una signora con due bambini piccoli al fianco: «Se pensavano di spaventarci, non hanno capito niente. La rabbia è ancora di più. Finché c’è una minima speranza noi andiamo avanti… Molta gente fa finta di non sentire, di non capire. Non vogliono rendersi conto della gravità di questa cosa. Poi c’è la rassegnazione. Molti dicono “ah, ormai è fatta, che perdiamo tempo a fare…”. Continuiamo a parlarne sempre. Io anche se mi trovo allo studio del dottore a fare la fila, ne parlo».
Mentre si appendono bandiere e striscioni alle reti del cavalcavia, dal megafono continuano gli interventi. Un consigliere comunale di Anzio urla: «Finché non vengono a togliere la recinzione, io rimango qui. E questa protesta deve essere fatta sulle strade, sulle ferrovie, nelle fabbriche, nelle scuole, finché con i fatti ci rispondono». Il prefetto manda a dire che non tollererà oltre l’occupazione, a breve partiranno le cariche. Dopo una discussione animata si decide di proseguire il corteo dirigendosi al luogo dove c’era il presidio. Dal camion: «Da oggi inizia la politica dei blocchi! Venite, venite pure a costruire questa centrale! Questa sarà la risposta del popolo di Aprilia. Questo vogliamo dire alla Sorgenia. Ci avete sgomberato un mese fa, avete fatto finire un’esperienza che forse nel territorio era l’unico vero spazio di democrazia, di aggregazione, di partecipazione… Ora andiamo al presidio. Tutte le volte che chi vive qua passa sulla Nettunense o prende il treno, il rammarico, la nostalgia sono sentimenti forti. Vedere quel posto, il vero comune dove la gente decideva, murato, bianco, morto… è una cosa veramente triste. Il governo ha fatto rispettare il diritto di proprietà con quattrocento uomini in divisa. Eccolo l’intervento pubblico in difesa del privato. Adesso torniamo là e diciamogli che è possibile continuare quell’esperienza. Non ci avete ammazzati!».
I responsabili di piazza sono visibilmente nervosi. Si passa oltre l’ingresso alla stradina che, oltre il passaggio a livello, conduce all’area del cantiere. L’imbocco è totalmente imbottito di blindati, carabinieri e celerini in assetto antisommossa. Qualche coro e si passa oltre. Mentre la testa prosegue, dopo qualche centinaio di metri, da dentro il corteo alcuni partono e vanno a sfondare la recinzione che dà sui binari. È come una falla in una diga. Il corteo si riversa sui binari, scavalca, di corsa un centinaio di persone guadagnano l’area del cantiere, si raccolgono attorno al casolare. In cinque minuti cento metri di recinzione sono letteralmente sradicati, i paletti abbattuti a pietrate.
Il primo battaglione entra esitante, deciso e tuttavia calmo, mentre dal megafono si dice che è un’occupazione simbolica. Dall’altra parte però arrivano in massa gli agenti che erano assiepati all’altro ingresso; coi blindati a tutta velocità, manganelli alla mano, corrono verso il gruppo che alza le mani. Pochi minuti e la carica sarebbe scattata, è evidente. I manifestanti allora iniziano a defluire, alcuni spintonati, urlando «Vergogna». La giornata finisce così. «Interruzione di pubblico servizio, violazione di domicilio, violenza privata, danneggiamento e istigazione a delinquere», questi i capi d’imputazione contestati a ben 350 cittadini di Aprilia. Secondo un provvedimento del prefetto, i reati verranno commutati in sanzione pecuniaria fino a diecimila euro. Sembra che qualcuno, ad Aprilia, non smetta di buttare benzina sul fuoco della rabbia popolare. Può star certo che continuerà a bruciare a lungo. (terre moti)