Le piazze come merce sempre più rara, in attesa dell’apocalisse edilizia dell’Expo 2015
Sembra che Milano fosse conosciuta per la sua vita notturna, luci sempre accese, botteghe e ristoranti aperti a ogni ora, feste di strada. Certo d’inverno poca vita di piazza, ma sul cominciare della primavera, alla seconda rondine, i milanesi pare non disdegnassero gli spazi pubblici; si racconta di passeggiate romantiche, capannelli politici, giochi di strada, piccoli ritrovi. Milano probabilmente non ha mai voluto essere città di cittadini, molto più città di case e di macchine, ma una vita sociale ce l’aveva, e pare che in fondo i milanesi amassero la loro città, i suoi luoghi e la sua gente.
Oggi non più. Oggi chi abita a Milano vive in un rapporto di indifferenza o anche di fastidio nei confronti della città e della cittadinanza e non si sente certo di appartenere a una comunità. Il coinvolgimento nelle cose pubbliche è minimo, l’attaccamento agli spazi pubblici è flebile. E la loro estinzione non sembra preoccupare molti.
La sensazione più diffusa deve essere quella di estraneità ai fatti. Credo che anche gli amministratori locali si sentano così. Mi sono immaginato il sindaco, dopo una cena di lavoro, seduto sui sedili posteriori, guardare fuori e a bassa voce dire al suo autista: «Ah, come mi piacerebbe fare qualcosa per questa città». Ma questa città è sempre più piccola, come le isole mangiate dal mare, come Venezia inghiottita dalla laguna, così Milano sarà presto ricoperta di spazi privati. E come il millimetro di spiaggia che si ritira, anche la scomparsa di una piazza rimane segno impercettibile di un movimento devastante. Per chi vive a Milano è ancora più difficile rendersene conto e sono sempre meno le tracce della proposta e del dissenso. La street art è entrata in galleria e adesso non ha più nessuna voglia di tornarsene per strada. Per cancellare un graffito bisognerà prima commissionarlo. Bisognerebbe invece iniziare a decostruire. Come quel grattacielo davanti alla Stazione Garibaldi che stanno smantellando un piano alla volta, sembra un film all’indietro, ma qui decostruiscono per poi ricostruire! Stanno scomparendo gli spazi pubblici e con loro il senso di una città. In zona Sempione un locale per appassionati dell’aperitivo ha deciso di chiamarsi Milano, e sui tovagliolini vicino al nome c’è la piccola r di marchio registrato. Milano®.
Caspita mi sono detto, furbissimi, tra un po’ venderanno la città ai turisti americani. Ma chi viene da fuori probabilmente si accorgerebbe subito che il pacco è vuoto. Che i posti buoni sono già stati dati via. Che rimangono solo pochi spazi di significato, una storia annebbiata e una visione del futuro con scadenza nell’anno 2015 e.x.p.o., una specie di apocalisse edilizia dopo la quale chissà. Intanto grattacieli privati, affissioni pubblicitarie, macchine ovunque e telecamere a perdita d’occhio. La cultura dello spazio pubblico si è persa tra centri commerciali e concertoni di capodanno, e intere piazze sono sparite mentre si dibatteva animatamente di schiamazzi e ordine pubblico.
Simboli della modernità e dello sviluppo si dice, uno sviluppo ora tinto di verde che plagia le parole d’ordine dei movimenti ambientalisti mettendo in seria difficoltà, non solo dialettica, chi si batte per la difesa del patrimonio ambientale e culturale della città. È uno sviluppo verticale e individuale che non considera la piazza come elemento fondante di una città. Viene in mente Miracolo a Milano: il cinismo dei costruttori e lo spettacolo del tramonto al prezzo di una lira. Ed è così che ho pensato che forse, chi oggi sa ancora fare piazze, ha in mano il business del futuro. Saranno merce rara. Piazza®.
(beniamino saibene) [email protected]
Milano marchio registrato
Le piazze come merce sempre più rara, in attesa dell’apocalisse edilizia dell’Expo 2015
Sembra che Milano fosse conosciuta per la sua vita notturna, luci sempre accese, botteghe e ristoranti aperti a ogni ora, feste di strada. Certo d’inverno poca vita di piazza, ma sul cominciare della primavera, alla seconda rondine, i milanesi pare non disdegnassero gli spazi pubblici; si racconta di passeggiate romantiche, capannelli politici, giochi di strada, piccoli ritrovi. Milano probabilmente non ha mai voluto essere città di cittadini, molto più città di case e di macchine, ma una vita sociale ce l’aveva, e pare che in fondo i milanesi amassero la loro città, i suoi luoghi e la sua gente.
Oggi non più. Oggi chi abita a Milano vive in un rapporto di indifferenza o anche di fastidio nei confronti della città e della cittadinanza e non si sente certo di appartenere a una comunità. Il coinvolgimento nelle cose pubbliche è minimo, l’attaccamento agli spazi pubblici è flebile. E la loro estinzione non sembra preoccupare molti.
La sensazione più diffusa deve essere quella di estraneità ai fatti. Credo che anche gli amministratori locali si sentano così. Mi sono immaginato il sindaco, dopo una cena di lavoro, seduto sui sedili posteriori, guardare fuori e a bassa voce dire al suo autista: «Ah, come mi piacerebbe fare qualcosa per questa città». Ma questa città è sempre più piccola, come le isole mangiate dal mare, come Venezia inghiottita dalla laguna, così Milano sarà presto ricoperta di spazi privati. E come il millimetro di spiaggia che si ritira, anche la scomparsa di una piazza rimane segno impercettibile di un movimento devastante. Per chi vive a Milano è ancora più difficile rendersene conto e sono sempre meno le tracce della proposta e del dissenso. La street art è entrata in galleria e adesso non ha più nessuna voglia di tornarsene per strada. Per cancellare un graffito bisognerà prima commissionarlo. Bisognerebbe invece iniziare a decostruire. Come quel grattacielo davanti alla Stazione Garibaldi che stanno smantellando un piano alla volta, sembra un film all’indietro, ma qui decostruiscono per poi ricostruire! Stanno scomparendo gli spazi pubblici e con loro il senso di una città. In zona Sempione un locale per appassionati dell’aperitivo ha deciso di chiamarsi Milano, e sui tovagliolini vicino al nome c’è la piccola r di marchio registrato. Milano®.
Caspita mi sono detto, furbissimi, tra un po’ venderanno la città ai turisti americani. Ma chi viene da fuori probabilmente si accorgerebbe subito che il pacco è vuoto. Che i posti buoni sono già stati dati via. Che rimangono solo pochi spazi di significato, una storia annebbiata e una visione del futuro con scadenza nell’anno 2015 e.x.p.o., una specie di apocalisse edilizia dopo la quale chissà. Intanto grattacieli privati, affissioni pubblicitarie, macchine ovunque e telecamere a perdita d’occhio. La cultura dello spazio pubblico si è persa tra centri commerciali e concertoni di capodanno, e intere piazze sono sparite mentre si dibatteva animatamente di schiamazzi e ordine pubblico.
Simboli della modernità e dello sviluppo si dice, uno sviluppo ora tinto di verde che plagia le parole d’ordine dei movimenti ambientalisti mettendo in seria difficoltà, non solo dialettica, chi si batte per la difesa del patrimonio ambientale e culturale della città. È uno sviluppo verticale e individuale che non considera la piazza come elemento fondante di una città. Viene in mente Miracolo a Milano: il cinismo dei costruttori e lo spettacolo del tramonto al prezzo di una lira. Ed è così che ho pensato che forse, chi oggi sa ancora fare piazze, ha in mano il business del futuro. Saranno merce rara. Piazza®. (beniamino saibene) [email protected]