Per quelli che si affidano alla logica dei numeri erano in settemila. Hanno preso treni e autobus. Addirittura biciclette. Sono venuti da lontano: Torino, L’Aquila, Roma. Calabria e Puglia. Studenti, disoccupati, cittadini. Conviene cerchiare in rosso la data dell’11 dicembre 2010, per ricordare la prima manifestazione nazionale della “zona rossa”: a sfilare nel corteo campano che chiedeva la bonifica di cava Sari, la tristemente famosa discarica vesuviana, non c’erano solo i residenti di Boscoreale, Boscotrecase e Terzigno. Italiani di altre latitudini hanno dimostrato che certe vicinanze di condizione modificano le geografie. È così che è nata la solidarietà tra due lotte gemelle: No Sari, No Tav. Terzigno, almeno per un giorno, ha avuto nuovi confini in Val di Susa.
Urla e striscioni di protesta hanno attraversato le strade principali dei due paesi più danneggiati dalla Sari, Boscoreale e Boscotrecase, per terminare il percorso a via Zabatta, Terzigno, soglia d’ingresso alla discarica, dove il cartello di benvenuto nel Parco Nazionale del Vesuvio è stato sostituito da tempo da un segnale di divieto d’accesso in un territorio presidiato dalle forze dell’ordine perché “ di importanza strategica e militare”.
Davanti all’ingresso della discarica si procede a colpi di sacchi di immondizia, bengala e bastonate; arriva una carica di sgombero dei caschi blu. Le kefie servono a nascondere i volti, i caschi a difendersi dalle sassaiole che partono dalle retrovie del corteo. Barattoli di vernice rossa esplodono sul grigio degli scudi di polizia, che non ha bisogno di caricare per disperdere i manifestanti. Il bilancio della giornata, a differenza di tante altre degli ultimi mesi, è nessun ferito. E soprattutto, nessun fermo.
“Qui si gioca la politica italiana dei prossimi dieci anni”, dice qualcuno nel buio della rotonda di via Panoramica, dove solo poche settimane fa impazzava la guerriglia urbana e i roghi dei camion di rifiuti in fiamme abbagliavano la stampa internazionale. Allora si scongiurò l’ipotesi di apertura di una seconda discarica, cava Vitiello, designata già nel 2008 da Bertolaso e dalla sua amministrazione come sito di deposito rifiuti di ogni genere di Napoli e provincia. Oggi sono solo i diciotto comuni della “zona rossa” a scaricare ogni notte varie tonnellate di rifiuti indifferenziati nel cuore del vulcano. Questo non impedisce ad alcuni di esplodere molotov a volto coperto, come è successo solo sei giorni fa.
Mentre i cumoli di rifiuti per le strade diventano cornice esotica nelle foto dei turisti che affollano le strade principali di Napoli, le soluzioni all’orizzonte per la questione immondizia sono poche: deleghe e reciproche accuse delle amministrazioni locali rendono impossibile lanciarsi in efficaci vaticini. A differenza del 2008, però, i napoletani non credono più nei miracoli. Anche se il Natale è alle porte. (michela iaccarino)