C’è chi li chiama “sconvolgimenti”. C’è chi le chiama “rivoluzioni”. C’è chi, invece, li chiama “tumulti”. Di certo c’è che i fruitori occidentali dei mass-media a stampa, radio-televisivi e on-line sono poco abituati ad una copertura completa e differenziata delle dinamiche sociali e politiche che caratterizzano ogni singolo paese arabo. Il Marocco è un esempio particolarmente esplicativo di tale “mancanza” mediatica. L’attrazione per lo “spettacolo” ha necessariamente offuscato, agli occhi del mondo occidentale, l’andamento apparentemente pacifico con il quale una parte del popolo marocchino ha espresso la sua voglia di cambiamento. In Marocco il dissenso popolare ha percorso binari diversi rispetto agli altri paesi arabi; binari che, per il momento, non hanno condotto ad un ribaltamento radicale del sistema politico. La prima fondamentale differenza del Marocco rispetto ai suoi vicini maghreibini riguarda la sacralità della monarchia; la dinastia Alawita del re Mohamed VI vanta infatti una discendenza diretta dal profeta Maometto oltre che una fedeltà e un consenso diffuso e sincero. A questo proposito occorre ricordare che nella comunicazione politica delle proteste attuali si ravvisano rivendicazioni rivolte al re, e non contro di lui. Altro fattore fondamentale di differenza è l’analfabetismo generalizzato – intorno al 40 per cento quello maschile, e al 67 per cento quello femminile – insieme alla distribuzione geografica della popolazione, largamente concentrata nelle zone rurali isolate anni luce dai centri urbani; tale fattore è fondamentale per la mancata diffusione dell’informazione. Proprio un ampio accesso all’informazione è stato centrale per le proteste in Libia, dove l’88 per cento della popolazione risiede nei centri urbani della fascia costiera. Poco si è parlato, dunque, dell’importanza del Movimento del 20 febbraio, animatore delle manifestazioni che, a partire appunto dal 20 febbraio, hanno percorso tutto il Marocco. Composto principalmente da giovani attivisti, il Movimento ha cercato di canalizzare la protesta su una ampia varietà di problematiche: dalla disoccupazione al clientelismo, dalla malasanità alla vendita del patrimonio costiero e delle risorse d’acqua. La partecipazione del popolo è stata ingente, con la solita “recita delle cifre” tra fonti governative (centoventimila) e fonti degli organizzatori (trecentomila) per la sola giornata del 20 febbraio.
Si è parlato del Marocco come di un “caso particolare”, nel quale il clima è “apparentemente” pacifico. In realtà sono stati registrati, principalmente da blog e giornali online indipendenti (corredati di video amatoriali e immagini), diversi atti di repressione violenta da parte della polizia. Cinque morti ad Al Hoceima e una violenta repressione il 13 marzo, durante un sit-in di protesta in Piazza Mohamed V a Casablanca. Quindici feriti e un morto il 25 e 26 febbraio durante il Festival del mare e del deserto a Dakla, quando giovani provenienti da differenti quartieri (marocchini e Saharaoui separatisti secondo le autorità) hanno dato vita ad una guerrigilia urbana. Un morto a Khouribga il 15 marzo in seguito ai violenti scontri tra forze dell’ordine e gruppi di minatori in pensione; i minatori chiedevano l’assunzione diretta dei propri figli presso “l’Office Cherifien des Phospates”. Il 27 marzo, a Rabat, violenta aggressione (documentata con un video) della polizia contro Abdessalam Labyad, militante del movimento del 20 febbraio.
Il movimento popolare marocchino si è distinto anche per le pratiche innovative di protesta, tanto da essere fonte d’ispirazione per il neonato movimento del 15 maggio spagnolo. Domenica 6 marzo davanti alla sede del parlamento, a Rabat, 60 giovani si sono immobilizzati per 5 minuti in seguito ad un acuto fischio collettivo, azione conosciuta come tecnica del “congelamento”. Inoltre un concerto rap è stato organizzato, questa volta a Casablanca, dai giovani del movimento insieme a letture di poesie. I militanti del partito islamista di estrema sinistra Al Adl Wal Ihsan hanno organizzato il cosiddetto “waqafat al masjidiya”, una sorta di sit-in, dopo la preghiera del venerdì di fronte a tutte le moschee del Paese. Il re Muhamad VI non è rimasto indifferente alla mobilitazione popolare, confermando che il Marocco è un caso particolare. Il 9 marzo, dopo solo 2 settimane dall’inizio delle manifestazioni, annuncia un discorso alla nazione che da molti viene considerato “storico”. Il sovrano promette, infatti, di rafforzare lo statuto del primo ministro, titolare di un potere esecutivo, e pronuncia la frase: “rivoluzione profonda della costituzione”; inoltre, annuncia di voler ampliare il campo delle libertà individuali e pubbliche, stabilendo la supremazia e l’indipendenza della magistratura oltre alla separazione e l’equilibrio dei poteri. Il discorso del re è stato sicuramente storico, ma ha suscitato opinioni profondamente contrastanti. Molti considerano quest’evento come fondamentale per il cammino del Marocco verso la democrazia. Altri considerano le parole del re “ambigue”.
Le reazioni governative però, oltre al già citato discorso reale, non si fermano. Il 14 aprile il re Mohamed V firma un ordine di grazia per 190 detenuti politici e di opinione (risalenti alla dura repressione post-attentato di Casablanca nel 2003) tra cui attivisti saharawi e amazigh. La loro liberazione, come l’abolizione della legge anti-terrorismo, il progressivo dismembramento della polizia politica e la chiusura del centro di detenzione e tortura di Temara, era tra le principali richieste del movimento del 20 febbraio. La contestazione, comunque, non si placa. Viene indetta una terza giornata di protesta nazionale per il 24 aprile, mentre il 28 una forte esplosione in un Caffè di Marrakesh sposta bruscamente l’attenzione dai movimenti di protesta verso il terrorismo di matrice islamica. Sono 17 i morti di cui 13 stranieri. La popolazione marocchina non nasconde i propri dubbi in merito alla natura dell’attentato e teme la ripetizione dello scenario seguito agli attentai del 2003 a Casablanca: arresti di massa, processi farsa, intensificazione del controllo verso ogni forma di dissenso, torture. Nonostante ciò la protesta non si ferma ma anzi sembra fortificarsi e continua per tutto il mese di maggio. Il Makhzen (l’apparato di governo), però, mostra i primi segnali di insofferenza. Decide, infatti, di vietare ufficialmente le manifestazioni previste per il 28 e 29 maggio. I giovani del movimento del 20 febbraio organizzano dunque su Facebook e Twitter nuove manifestazioni in tutto il paese. Anche questa volta la polizia disperde i manifestanti con getti d’acqua e manganelli non solo a Casablanca e Rabat, ma anche a Tanger e Agadir; il finale, però, è tragico: muore Kamal Ammari, giovane militante del 20 febbraio. Picchiato a sangue nella giornata di domenica Kamal, dopo essere stato ricoverato in ospedale, muore per una crisi cardiaca il 2 giugno. Solo tre giorni prima l’Unione Europea aveva condannato l’uso della violenza per reprimere le manifestazioni. Nel frattempo le manifestazioni organizzzate dal movimento proseguono con cadenza settimanale e con la solita partecipazione massiva. Il Makhzen considera opportuno studiare e redigere una proposta per una nuova costituzione e presentarla al popolo marocchino indicendo un referendum per il 1 luglio.
Il giurista marocchino Mohamed Larbi Ben Othmane considera che, al di là della “pubblicità ingannevole”, tale costituzione non comporta il passaggio ad una monarchia parlamentare con un re che “regna ma non governa” e non assicura la piena acquisizione degli standard democratici. Il giurista aggiunge che, con un abile gioco di taglia/incolla di articoli e codici, la nuova costituzione mantiene lo stato delle cose. Il popolo vota e la nuova costituzione viene approvata con il 98,5 per cento di “si”. Voci dalla strada giurano che nei seggi, il 1 luglio, sia successo di tutto: chi ha votato due volte, direttori di seggio che non richiedono il documento d’identità prima della votazione. Sempre dalla strada arriva voce che nei giorni precedenti alla votazione pick-up carichi di persone pagate giungevano dalle campagne nelle città per manifestare a favore del “si” alla costituzione. Ma sono solo voci. Agli occhi del mondo la Monarchia marocchina ha indetto un democraticissimo referendum al quale il popolo ha risposto in massa confermando di avere le idee anche fin troppo chiare. Solo la storia dirà se questo referendum avrà zittito per sempre il dissenso. (andrea belfiore)