Sabato 24 settembre si è inaugurata la mostra conclusiva del Fame festival di Grottaglie (www.famefestival.it).
Da https://bari.repubblica.it del 19 settembre
Il Fame festival ha un segreto: la cucina della mamma di Angelo Milano. Così l’ideatore della manifestazione riesce a portare a Grottaglie il meglio della street art internazionale. L’idea di Milano, responsabile del laboratorio grafico Studiocromie, è semplice: cibo e ospitalità in cambio di un’opera sui muri della città. Senza chiedere permessi e senza il beneplacito dei politici locali, proprio come l’arte di strada comanda. Il Fame festival è alla quarta edizione e culmina nell’evento finale del 24 settembre, con una mostra nel quartiere delle ceramiche, il dj set di Populous, il concerto de La quiete e la festa di chiusura da Studiocromie con i 2D noize. Gli artisti, però, sono a lavoro a Grottaglie già dall’inizio dell’estate. Tra di loro gli italiani Erica il Cane, Blu, Cyop & Kaf, la polacca Nespoon, il tedesco Boris Hoppek e lo spagnolo Sam3.
Milano, è riuscito a portare a Grottaglie il meglio della street art internazionale. Eppure non le piace incensarsi, preferisce il suo studio, il suo cane, la sua famiglia. L’arte per l’arte, quindi?
Sì, nonostante varie egomanie ed egocentrismi, almeno in questa cosa mi piacerebbe mantenere un profilo basso. Non per niente, trovo che il festival, i lavori, parlino da soli, non c’è bisogno di un nome o di una faccia a fornire didascalie. Sarebbe anche bello spostare l’interesse sugli artisti con cui lavoro, specialmente quelli meno popolari e in crescita, perché è del loro lavoro che si tratta, tanto, se non di più del mio.
Il Fame festival è alla quarta edizione. Come è cresciuto e cambiato in questi anni? I cittadini di Grottaglie sono ormai abituati a vedere i loro muri “imbrattati”?
Sì, i primi due anni si è fatto molto più rumore. La gente non sapeva cosa stesse succedendo e offriva un repertorio di reazioni molto più divertente. Era bello che ci fossero delle resistenze e dei contrasti, ed era bello il dubbio, perché poi era bello imporsi. Come in tutte le realtà così piccole però, quando una cosa riceve consensi dall’esterno, soprattutto dall’estero, si auto-legittima e diventa inattaccabile. È esattamente quello che è successo al festival dopo un’ondata di riscontri mediatici positivi. La stessa gente pronta ad armarsi di calce e pennello il primo anno, dopo aver letto del festival su questa o quella rivista, ne avrebbe parlato con un tono rispettoso e tollerante. È un consenso generale e piatto, sicuramente subito dalla maggioranza nella vaga idea che le cose dette da fuori abbiano più autorità. Ne deriva che adesso possiamo fare quel cazzo che ci pare. Ne hanno giovato le logistiche ma è calato il mordente e sicuramente il divertimento. Per questo l’edizione di quest’anno è stata più violenta nei modi e nei prodotti. Era un estremo tentativo di riaccendere il senso critico del cittadino, portarlo fuori dall’ottica del “ma che bello il Fame festival”. Perché in realtà non vogliamo essere belli. Vogliamo fare casino.
L’idea di fondo del festival è decorare la città per mesi, prima dell’evento conclusivo di settembre. Visto che non ha supporto istituzionale, come scegliete i muri da dipingere? C’è dietro un’autorizzazione o è fatto clandestinamente, come street art comanda?
Ammetto che ci sono stati degli interventi decorativi ma mi piace pensare che tutto questo non abbia a che fare con un’operazione di imbellettamento. Non è un restauro e la bellezza è da ricercare nell’azione piuttosto che in quello che rimane a testimonianza della stessa. È il fatto che tutto questo succeda e le modalità con cui succede che ci interessano. Per questo è interessante che non ci siano contatti con le istituzioni, e per questo buona parte dei lavori è fatto senza ombra di autorizzazione, il massimo della legalità che abbiamo raggiunto è stato ottenere il consenso da parte dei proprietari delle facciate, ma non è andata sempre così. Per altro, l’unico modo di fare le cose per bene a Grottaglie è stare alla larga dalle istituzioni tutte. La vicinanza dell’amministrazione è sempre inversamente proporzionale con la qualità dei risultati.
C’è ancora attrito con l’amministrazione comunale? Non ha un buon rapporto con la politica, da quello che ho letto. Il primo anno le hanno anche cancellato un lavoro di Erica il Cane. Quindi non le interesserebbe neppure avere finanziamenti regionali, gli stessi che hanno permesso a tante associazioni di nascere in questi anni, anche se alcune hanno vita breve?
Ribadisco volentieri che la scorsa amministrazione comunale di Grottaglie, firmata Bagnardi & friends, è stato un momento pessimo della storia del nostro paese. Abbiamo vissuto un punto di catastrofe culturale, economico e sociale imbarazzante. Un manipolo di faccendieri affacciati l’uno nelle tasche dell’altro, tutti a farsi i cazzi loro. Dicono che ci sia una nuova giunta, con tanto di nuovo sindaco, a me sembra la stessa minestra, e no, non di quelle che il giorno dopo “sapno megghio”. Di tutte le associazioni che ho visto svilupparsi con l’aiuto della Regione non me ne è piaciuta neanche una. C’è sempre quest’aura di buonismo, necessario per ottenere i finanziamenti, che toglie il sale dal discorso. Per di più, avere a che fare prima con carte e cartacce, poi con politici et similia mi farebbe passare la poca voglia residua. Per lavorare su questo territorio devi essere individuo. Spesso sordo e cieco nel confronto con gli altri, mai muto. Noi stiamo bene come stiamo ed è bellissimo non dover dire grazie a nessuna giacca e nessuna cravatta.
L’invito agli artisti è sempre lo stesso? Li contatta e li invita a Grottaglie, facendo gola con la cucina di sua madre?
Sì, conta che lavoro spesso con artisti provenienti dal terzo mondo culinario. America, Inghilterra, Svezia, poveracci… Mia madre è una risorsa inesauribile, pazienza, costanza, curiosità e coraggio. Non la ferma nessuno, neanche io.
Lei parte dalla provincia, sfidandola. Non le capita mai di pensare che il suo progetto in una grande metropoli avrebbe dato risultati maggiori, le avrebbe reso il lavoro più semplice? Insomma, ci sono momenti in cui si dice: «Ma chi me l’ha fatto fare?»
I momenti in cui dico “chi me l’ha fatto fare” sono quelli in cui qualcosa fila liscio e mi risulta semplice. Sto facendo un altro festival a Lisbona contemporaneamente (www. cronolisboa.org) ed è una noia mortale perché arrivo lì con la pappa pronta e devo dire ad altra gente cosa fare, a pericolo di non sporcarmi neanche le mani. (intervista di anna puricella)