Articolo pubblicato il 4 dicembre da Repubblica Napoli
Si deve riorganizzare lo stato sociale, ridefinire il patto intergenerazionale insieme a quello fiscale. Occorre recuperare efficienza ed efficacia, nelle amministrazioni pubbliche come in quelle del privato sociale, cercando in ogni modo di attivare al meglio le persone, offrendo opportunità alle famiglie, ai giovani, abbattendo privilegi e razionalizzando zone grigie. Bisogna valorizzare quello che di buono c’è con il coraggio di far chiudere quello che non è ben fatto o che risulta insostenibile perché non prioritario. A parole siamo quasi tutti d’accordo ma in realtà è evidente un regime di ipocrisie e doppia verità.
Nelle dichiarazioni quasi tutti i responsabili delle politiche pubbliche e i manager del terzo settore professano il vangelo dello sviluppo fondato sulla coesione, la solidarietà, la sussidiarietà. In realtà siamo tutti entro arene di tipo competitivo ove coloro che hanno maggiori responsabilità – nelle amministrazioni pubbliche e nelle fondazioni – realizzano sempre più politiche simboliche a basso prezzo e grande ritorno di immagine. Conta quello che si fa ma è sempre più importante come lo vendi, quanto susciti pietà e offri soluzioni entusiasmanti e facili a basso costo: vinci se lo fai strano! Gli esempi sono tanti e a dire queste cose si rischia l’impopolarità ma le convinzioni che vengono dal cuore vanno gridate dai tetti, ovviamente con rispetto e tenendo conto che nello specifico si deve sempre distinguere.
Oggi per ottenere il finanziamento dei progetti occorre partire da situazioni estreme che abbiano un particolare potere simbolico: il riuso dei beni confiscati alla camorra, l’inserimento al lavoro di persone che sono in gravi condizioni di disagio sempre più pronte a fare cooperative e autoimpiego. Se si promettono interventi coraggiosi che prevedono impianti fotovoltaici, agricoltura biologica, magari entro filiere corte, valorizzazione di beni storico artistici, allora i valutatori considerano con entusiasmo le proposte, soprattutto se sono a basso costo rispetto al ritorno di immagine. I finanziatori cercano qualcosa di nuovo tralasciando quello che c’è.
Certo che le persone che con sacrifici e coraggio sono impegnate nella rivitalizzazione dei beni confiscati e in tante iniziative del genere che ho citato meritano grande apprezzamento e sostegno. La questione che pongo è un’altra. Oggi sembra sempre più evidente che per i responsabili della regione Campania, dei Comuni, delle fondazioni, dare patrocini morali o sostegni a basso costo a iniziative tipo “facciamo un pacco alla camorra” – o di progetti avvincenti quanto irripetibili o poco fattibili – li renda immuni da critiche e meritevoli di elogi. Peccato che gli stessi politici e dirigenti hanno gravi responsabilità nella precipitazione verso il baratro che il welfare campano sta vivendo. Inoltre la giusta attenzione ai temi dell’anticamorra suggerisce sempre più il trattamento della questione delle città meridionali come questione di ordine pubblico più che di trattamento di diritti, mettendo in ombra il ruolo che dovrebbe avere la spesa pubblica procapite per servizi.
Diverse proposte pur simpatiche e attivizzanti di fatto assumono una sorta di sostanziale deresponsabilizzazione dello Stato rispetto alla esigibilità di diritti fondamentali: la scuola a tempo pieno o altre forme qualificate di aggregazione pomeridiana dei bambini, il sostegno a chi ha troppo poco per studiare e formarsi, l’accoglienza dello straniero povero, fino a una qualificata forma di reddito di cittadinanza. Stiamo tornando a grandi passi all’egemonia di un assistenzialismo caritatevole selettivo, offerto ai disgraziati che devono però mostrarsi meritevoli, non troppo critici, dando al principe di turno la possibilità di lavarsi la coscienza e sentirsi salvatore della Patria.
Forse esagero ma preferirei sindaci, assessori e presidenti di regione che più che essere presenzialisti in attività valide quanto legate a singoli eventi o questioni, mettano seriamente mano al pagamento dei debiti degli enti che hanno voluto guidare, come alla razionalizzazione e riqualificazione dei mercati che di fatto alimentano con le esternalizzazioni, dedicandosi molto meglio alla manutenzione e meno all’inaugurazione. (giovanni laino)