(disegno di cyop&kaf)

(disegno di cyop&kaf)

La polveriera

Ancora una volta si è dovuto verificare un drammatico fatto di cronaca per riportare all’attenzione nazionale la complessa vicenda di Castel Volturno, dove ormai da anni una numerosa comunità africana vive nell’abbandono più assoluto.

A qualche settimana di distanza dal ferimento di due ragazzi ghanesi abbiamo riletto le cronache dei quotidiani, le testimonianze e le dichiarazioni ufficiali provando a dare un ordine a quest’insieme di voci, ricostruendo i fatti, mettendo in evidenza i vari punti di vista e descrivendo quali sono state le decisioni prese dal governo per far fronte a questa nuova emergenza. Infine, abbiamo provato a raccontare la complessa realtà che caratterizza oggi Castel Volturno e abbiamo cercato di elencare alcune possibili politiche da intraprendere.

Domenica 13 luglio, Cesare Cipriano, un ragazzo di ventun’anni, ha sparato alle gambe di due ragazzi ghanesi ferendoli gravemente. Secondo quanto ha raccontato al giudice per le indagini preliminari, sarebbe intervenuto in difesa dello zio Pasquale, che poco prima aveva avuto un’accesa discussione con un ragazzo ghanese, Yussef, accusato di aver rubato una bombola di gas. Accusa che Yussef aveva respinto affermando che la bombola era di sua proprietà. Da lì è nata una discussione. In difesa di Yussef è intervenuto Nicolas, un connazionale che era lì di passaggio. La discussione è degenerata in una colluttazione. Poi, dopo una decina di minuti è sceso in strada Cesare Cipriano e ha sparato.

Pag. 2, 3, 4 e 5 – La polveriera Castel Volturno – Dopo il ferimento in estate di due africani e le manifestazioni contrapposte di bianchi e neri, il governo ha preso delle misure che riguardano l’ordine pubblico ma non gli investimenti, la salute, la convivenza. Attori e scenari di una situazione esplosiva.

Pag. 6 e 7 – Quarant’anni e quattro figli – Sposata e con un figlio, Maria è partita dalla Nigeria a sedici anni. Appena arrivata è stata venduta agli sfruttatori per cinquanta milioni e messa a fare la prostituta in strada. Da allora sono passati quasi trenta anni. Così, Maria racconta la sua storia.

Pag. 8, 9, 10 e 11 – Il Vangelo nell’altra Africa – Il comboniano Giorgio Poletti è arrivato a Castel Volturno nel 1994, di ritorno dall’Africa. Racconta l’impatto con la prostituzione, le messe in pineta per i tossici, le iniziative sempre più politiche, fino ai permessi di soggiorno “in nome di Dio”.

Pag. 12 e 13 – Viaggi al termine della notte – Emanuele viene dal Gambia. Voleva raggiungere la Grecia ma si è fermato a Castel Volturno. Negli anni Ottanta gli stranieri erano pochi. Ha cominciato a vendere droga. Poi è andato al nord, ha lavorato, ha smesso, è ricaduto. Infine è tornato.

Pag. 14 e 15 – Un’odissea di vent’anni – Domenica è arrivata in Italia dal Ghana nel 1992, a venticinque anni. Donna di servizio a Villa Literno, operaia in fabbrica a Brescia e Pordenone, poi il negozio di parrucchiera, l’import-export, un bar a Castel Volturno, un figlio e la voglia di tornare.

Pag. 16 e 17 – Ascoltare come prima cura – A colloquio con Gianni Grasso, medico di base, punto di riferimento per le donne africane che vivono a Castel Volturno. La necessità dell’ascolto, la pratica del consiglio, le strategie di una medicina povera che in questi anni ha aiutato migliaia di persone.

Pag. 18 e 19 – Dodici pollici – Libri: Camorra Sound, di Daniele Sanzone; Tra le macerie, di Davide D’Urso; I Buoni, di Luca Rastello. Giornalismi: Un archivio di storie contro i luoghi comuni. 

Con i testi di jefferson seth annan, salvatore porcaro, sara pellegrini, riccardo rosa, luca rossomando e i disegni di cyop&kaf, sam3, diegomiedo

( copertina di cyop&kaf )

Regione Campania, Commissione antimafia: presidente indagata per voto di scambio di stampo mafioso. Come se un sindaco ex giudice facesse apologia dell’anarchia.

flash

Le stelle di Foucault – Speciale 2012

Oroscopo speciale 2012: alla faccia dei Maya e dello spread.


Ariete

Correva l’anno 1867 e Karl Marx era impegnato nella stesura del primo libro de Il Capitale.  Le idee  fermentavano e il Moro faticava a tenerle tutte assieme su carta. L’accordo con l’editore prevede la pubblicazione in autunno. E Marx, che di accordi con gli editori ne aveva violati molti, era  consapevole che questa scadenza doveva essere assolutamente rispettata. Ma alle difficoltà economiche, familiari e alla persecuzione della polizia politica, si aggiungeva un problema di salute. Un problema che impediva a Marx di trascorrere il giusto numero di ore seduto a leggere e scrivere e che, letteralmente, torturerà il nostro per tutta la vita. Delle cisti sottopelle, dure come noccioli di olive, che periodicamente gli spuntano ovunque anche vicino al sedere, impedendogli di stare seduto. Marx li chiamerà i “favi” o i “foruncoli” e si trovò a convivere per tutta la vita con questo problema. Ora, al termine della prima stesura del Capitale, il nostro invia tutto al suo amico e compagno Friederich Engels, per chiedergli un giudizio. Engels legge tutto con attenzione ed è preoccupato. Lo svolgimento di alcuni capitoli gli appare troppo complesso, suggerisce di inserire dei sottotitoli, chiede di rendere più agevole la lettura per un lettore “non dialettico”. Sono critiche giustamente severe, ma tra i due c’è confidenza e rispetto. Ed Engels, scherzando, dice che certe pagine non sono chiare poiché vi si riscontra “un’ impronta alquanto profonda dei foruncoli”. Un modo elegante per dire che il Moro non era stato attento nella scrittura, costretto dai “favi” a stare in piedi. Il buon Marx, nonostante un certo caratteraccio, non se ne ebbe a male. Accolse le osservazioni e si rimise a scrivere. È per questo che nel volume inserì una appendice didattica sulla forma-valore. E quando inviò a Engels la nuova versione gli scrisse:  “spero che tu sia contento dei quattro fogli. La tua soddisfazione fino a ora è per me più importante di ciò che tutto il resto del mondo può dire. In ogni modo spero che la borghesia per tutta la sua vita penserà ai miei favi”. Il primo libro de Il Capitale fu pubblicato nell’autunno di quell’anno e le previsioni di Marx trovarono conferma. Ora, voi che siete arrivati sin qui nella lettura penserete: e che c’entra tutto questo con il mio 2012? Peccato, speravamo ci arrivaste da soli. Vuol dire che ci sono dei momenti in cui il più piccolo inconveniente può distrarvi dagli obiettivi importanti della vostra vita. E che anche una cisti  sul sedere può cambiare il corso di una storia. E che non vi salvano le stelle né le bugie, ma gli amici e i compagni che si fanno carico di dirvi la verità, anche se può essere sgradevole.  Per cui, se volete attraversare quest’anno così difficile che viene, non vi possiamo che augurare di scegliere bene i compagni di viaggio.

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Toro

“Il  filo spinato è ovunque e dopo la sua invenzione è stato utilizzato in tutto il mondo,in tutti i modi possibili e con obiettivi persino opposti”. Così Olivier Razac apre la sua Storia politica del filo spinato. Una invenzione nata per contenere le mandrie e allontanare gli indiani dalle praterie. Poi utilizzata in modo massiccio durante la prima guerra mondiale. E poi ancora, dispositivo adoperato per i campi di concentramento e gli arcipelaghi concentrazionari di tutto il mondo nel corso del secolo appena trascorso. Deve il  successo a una serie di caratteristiche. Economico, il ferro si piega a mille usi, è efficace, difficile da superare e attraversare, facile da posizionare e riposizionare. Più solido di un muro, che crolla al primo bombardamento, si può riutilizzare e nascondere con efficacia.  Ma non è solo una invenzione del passato. Il filo spinato è sorprendete, per la sua discreta quanto diffusa presenza ancora oggi nelle nostre vite. Ancora oggi i campi profughi palestinesi, così come in confini dei territori occupati, sono circondati dal filo spinato. Scommetto che non  avevate pensato a quanto filo spinato si produce e si utilizza nel mondo, da oltre un secolo. Ma il filo spinato non è solo una barriera materiale, ma anche ideale. Scrive Antonio Esposito, ricercatore, in un saggio significativamente intitolato Orizzonti spinati: “Sarà l’impossibilità di allontanarmi dal viaggio, ma ancora mi sembra, sporgendomi dalle rive dell’isola di Lampedusa, dai porti dell’Adriatico, dai valichi di frontiera, dai confini libici, di ritrovare orizzonti spinati. Immateriali, certo, senza più il ferro che si aggroviglia su se stesso per scarnificare il corpo. Non più contorno di un binario, certo, ma limiti  degli spazi di un gommone, delle stive di un aereo, di un tir”. Veniamo a noi, ora. Questo è un periodo pieno di filo spinato, pieno di linee di confine che separano i buoni dai cattivi, i ricchi dai poveri e così via. L’anno che si appresta a cominciare non sarà da meno. Voi avete due compiti. Il primo è affidato ai vostri occhi: riconoscere ovunque il filo spinato, anche quando è camuffato o nascosto, anche quando è invisibile e immateriale. Il secondo è affidato alle vostre mani e alla vostra sensibilità. Occorre rimuoverlo questo filo spinato dalle vostre vite e da quelle degli altri. C’è bisogno di un orizzonte che non sia spinato, ma che sia lieve, con la pioggia o con il sole. Buon anno e buona fortuna.

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Gemelli

Nel 1984 Michel Foucault, filosofo francese casualmente omonimo di questo oroscopista, teneva il suo ultimo corso al Collège de France. Il corso, dal titolo “Il governo di sé e degli altri”, tenuto dal filosofo tra mille difficoltà per le gravi condizioni di salute, ha come tema centrale la “parresia”. Non temete, non è una parola difficile. Non è una di quelle cose che i filosofi immaginano e raccontano solo ad altri filosofi. È un termine greco che indica il “dire il vero”. F.  la analizza nel contesto di una riflessione che ha per centro il rapporto tra la verità e il potere. Perché  con la parola parresia non si indica semplicemente il dire la verità, ma il dire la verità al potere. E accettare consapevolmente le conseguenze che da ciò possono derivare. Come il buon Socrate che accettò di essere processato per le proprie idee. Perché nulla è più pericoloso e angosciante di non portare a termine la propria “missione essenziale”. Comunque, sia chiaro, parresia non significa dire tutto quello che ci passa per la mente, ma dire la verità, senza nasconderla mettendo a repentaglio noi stessi per difendere una idea, un principio, una esigenza di giustizia e di libertà. Scrive Foucault “che la parresia è in poche parole, il coraggio della verità di colui che parla e si assume il rischio di esprimere malgrado tutto, l’intera verità che ha in mente”. E dire la verità al potere, costi quel che costi, ha certo un significato politico, ma è principalmente uno dei modi attraverso il quale un soggetto si costituisce, una pratica di sé. Ora ci rendiamo conto l’abbiamo presa un po’ alla lontana. Vorremmo dirvi in modo più tradizionale, di amore, salute e lavoro. Ma siamo costretti a dirvi che anche per l’anno prossimo non c’è stella cadente cui possiate affidare il realizzarsi dei vostri desideri. E vogliamo anche dirvi: attenzione, tutti apprezziamo la vostra immediatezza, ma non tutti i pensieri devono essere pronunciati nel momento esatto in cui li pensiamo. E allora pensateci, quando per una parola da pronunziare mettete i gioco amicizia, amore e desiderio. Pensateci almeno un minuto, poi decidete. Noi già sappiamo che udiremo la vostra voce, forte e chiara come sempre.

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Cancro

“Tutti […] vogliono vivere felici, ma hanno l’occhio confuso quando devono discernere ciò che rende felice la vita. Giungere a una vita felice è impresa difficile a tal punto che ciascuno, se appena esce di strada, se ne allontana tanto più quanto più in fretta cammina”. Questo è un passo molto famoso di (Lucio Anneo) Seneca. È un passo molto noto e citato, e probabilmente lo conoscete. A essere onesti non è che mi abbia mai detto molto. Seneca dice che è difficile distinguere cosa è felicità. Tante grazie. Non avevamo bisogno del filosofo. Cercavo qualcosa da condividere con voi sulla felicità, la parola chiave del 2012 per il Cancro, ma questa non mi convinceva tanto. Allora sono andato a dare un’occhiata a Zygmunt Bauman, avete presente? Quello che ha scritto almeno quattro libri con la parola liquida nel titolo (Paura liquida, Modernità liquida, Vita liquida, Amore liquido). Tanti che ad un certo punto ho pensato ci fosse un conflitto aperto con l’idraulico.  Comunque ho preso in mano questo libro non liquido (L’arte della vita, si intitola) che ha per epigrafe la frase di Seneca. Ho impiegato un paio di giorni buoni per arrivare alla fine delle circa centocinquanta pagine e che scopro alla fine? Che possiamo solo ripetere le parole di Seneca e  “…aggiungere che, duemila anni dopo, non sembriamo essere più vicini alla chiarezza di quanto non fossero i contemporanei di Seneca. Andiamo ancora a tentoni. In questo consiste, in ultima analisi, l’arte della vita”. E no, così non si fa, con tutto il rispetto per il vecchio Seneca e per l’amato Bauman. E ce la vogliamo cavare così? Allora ditelo subito, non scrivete così tanto, ho pensato. Ma non temete, abbiamo la soluzione. Per il prossimo anno, non perdete il gusto delle parole scritte mi raccomando, ma cercate di vivere bene e molto tra cielo e terra. Perché accadono più cose tra cielo e terra che nella mente dei filosofi. E lasciate a casa Kant che diceva che la felicità è un ideale dell’immaginazione e non della ragione. La felicità è un ideale che trova sostanza nelle cose che accadono. Buon anno in movimento.

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Leone

Siccome siete un po’ testardi, ma sappiamo che accettate le buone argomentazioni, cominciamo da molto lontano. Nel 442 a.c. Sofocle mette in scena, ad Atene, una delle sue tragedie più belle: Antigone. È parte di una trilogia, che si completa con l’Edipo re e l’Edipo a Colono. Ma è la prima a essere scritta, anche se gli eventi che racconta si svolgono per ultimi.  La trama è questa. Il nuovo re di Tebe, Creonte, ha ordinato  di non dare sepoltura a Polinice, ucciso dal fratello Eteocle mentre dava l’assalto alla città. Entrambi i fratelli sono morti nello scontro, e Creonte ordina di dare sepoltura solo a Eteocle, morto a difesa della città.  Dispone che il corpo di Polinice sia lasciato in pasto agli uccelli. Ma poco dopo il re viene informato che qualcuno ha coperto con la sabbia il corpo, compiendo dunque il rito funebre. Creonte è furioso e lo diviene ancora di più quando dinnanzi a lui è condotta Antigone, sorella di Eteocle e Polinice. Un soldato l’ha catturata mentre riseppelliva nuovamente il corpo del fratello, scoperto dai soldati del re. Creonte è incazzato nero. Antigone è sua nipote e, per di più, è anche la fidanzata del figlio Emone. Sembra quasi una trama da Beautiful, con tutti parenti di tutti. Ma il meglio deve ancora venire. Antigone non ha contravvenuto all’ordine del re, per capriccio o per un atto di pietà. Lei ha obbedito a una norma più forte della legge, al principio etico che vuole che a ogni cadavere sia data giusta sepoltura. A nulla valgono le leggi di Creonte, che pure è riconosciuto come sovrano giusto ed equilibrato. Il re ha dalla sua le ragioni dello Stato e della legge, Antigone ha dalla propria parte la sola ragione del diritto. Lo scontro è aspro e nessuno retrocede dalla proprie posizioni. Il sovrano ordina che Antigone sia chiusa per sempre  in una grotta, e a nulla valgono le richieste di clemenza del figlio. Hanno effetto invece su Creonte le visioni cupe dell’indovino che minaccia la caduta del regno. Il re, a questo punto dà sepoltura a Polinice e ordina la liberazione di Antigone. Ma è tardi: Antigone, che ha cara la libertà come la giustizia, si è tolta la vita. Morale della tragedia, il re è cattivo, Antigone una eroina. Morale per noi e per il 2012,  certo un po’ di pazienza non avrebbe guastato per entrambi. Il re avrebbe adottato la scelta giusta, l’eroina aspettando avrebbe saputo di essere stata liberata. Perché lo scriviamo a voi? «Uh, buon Gesù!», verrebbe da esclamare. Perché è la vostra storia. Dalla parte della giustizia e del diritto, sempre. Senza sovrani e leggi che vi possano fermare. Per il prossimo anno, vi chiediamo di essere esagerati e impulsivi come siete, come piace a noi. Solo, ogni tanto, è possibile un po’ di pazienza in più?

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Vergine

“Le vie di questa città non hanno un nome. Certo c’è un indirizzo scritto, ma non ha che un valore postale, si riferisce a un catasto (per quartieri e per blocchi, assolutamente non geometrici) la cui conoscenza è accessibile al postino, ma non al visitatore: la più grande città del mondo è praticamente inclassificata, gli spazi che la compongono nei dettagli sono innominati. Questo annullamento domiciliare sembra scomodo a chi (come noi) è abituato a stabilire che la cosa più pratica è sempre la più razionale. […] Tokio ci ripete invece che il razionale non è che un sistema tra gli altri. Perché ci sia padronanza del reale (in questo caso quello dell’indirizzo) è sufficiente che ci sia un sistema, anche se questo sistema è apparentemente illogico, inutilmente complicato, curiosamente diverso: un buon bricolage può non soltanto resistere a lungo, come si sa, ma può anche soddisfare milioni di abitanti addestrati d’altronde a tutte le perfezioni della civiltà tecnologica. L’anonimato è sostituito da un certo numero di espedienti (o per lo meno è così che essi ci appaiono) la cui combinazione forma un sistema. Si può indicare l’indirizzo con uno schema di orientamento (disegnato o stampato)”. Cosi Roland Barthes descriveva Tokio nel 1970. Ora, sinceramente, non sappiamo se le cose stiano ancora così. Basterebbe una verifica in internet, ma preferiamo pensare che tutto sia rimasto come nella descrizione di Barthes. E poi, ora, non è questo il punto. Il punto è che siamo convinti che anche per voi, che portate la nomea di razionali e previsti, questo sistema apparentemente illogico abbia un senso, un senso che magari noi non scorgiamo. Ecco, a nostro avviso, il prossimo anno è un anno buono per venire allo scoperto, per mostrare che la vostra apparente razionalità non è che un tentativo di mettere in ordine tra i propri sogni, illogici e fantasiosi. Apparire ordinati può aiutare, ma è ora il momento di capovolgere. Siate disordinati fuori, troverete ordine dentro. Riprendendo Barthes: “Bisogna orientarsi non con il libro, l’indirizzo, ma con lo stesso camminare a piedi; con la vista, l’abitudine, l’esperienza:ogni scoperta è insieme intensa e fragile e non potrà essere ritrovata che grazie al ricordo di quella traccia che ha lasciato in noi”. Buon cammino.

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Bilancia

“Un modo di rendere produttive, in senso fantastico, le parole, è quello di deformarle. Lo fanno i bambini per gioco: un gioco che ha un contenuto molto serio, perché li aiuta a esplorare le possibilità delle parole, a dominarle, forzandole a declinazioni inedite; stimola la loro libertà di “parlanti”, con diritto alla loro personale parola, […] incoraggia in loro l’anticonformismo”. Così Gianni Rodari introduce e spiega il gioco linguistico del prefisso arbitrario. Il gioco è abbastanza semplice. Consiste nel mettere una o più lettere davanti a una parola perché se ne cambi il senso. Per esempio, spiega Rodari, basta una s davanti a trasformare il temperino, oggetto appuntito e tagliente, in uno “stemperino” oggetto fantastico e pacifista. Oppure a creare lo “stacca panni”, che non serve ad appendervi gli abiti, ma per staccarli quando se ne ha bisogno “in una paese  di vetrine senza vetri”. Dal prefisso all’utopia, dice Rodari,  perché “non è certo vietato immaginare una città futura in cui i cappotti siano gratuiti come l’acqua e l’aria. E l’utopia non è meno educativa dello spirito critico. Basta trasferirla dal mondo dell’intelligenza (alla quale Gramsci prescrive giustamente il pessimismo metodico) a quello della volontà (la caratteristica principale, secondo lo stesso Gramsci, deve essere l’ottimismo)”. Se entrate nel gioco, tutto vi sembrerà naturale. Esisteranno la “bispenna” (che scrive doppio), la “bispipa” (per i fumatori accaniti), il “discompito” (un compito che non bisogna eseguire ma fare a pezzi), il “trinocolo”, il “vicecane” e il “sottogatto”. Il prefisso fantastico è parente stretto del “binomio fantastico”. Il binomio fantastico consiste nel liberare le parole dal loro significato quotidiano e dalle catene verbali di cui fanno parte, e gettate, dice Rodari, “l’una contro l’altra in un cielo mai visto prima”.  Non vi facciamo esempi, non c’è bisogno. Proviamo solo a suggerirvi che nel prossimo anno avrete  bisogno della vostra immaginazione e di parole nuove. Non aspettate che ve le diano gli altri, cominciate a crearle da voi. In un mondo pieno di risentimenti, voi siete pieni di “trisentimenti” (qui applichiamo in esclusiva per voi  le regole di Rodari). Trovate le parole fantastiche per raccontarvi.

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 Scorpione

Preparatevi. Perché il ragionamento che segue non è semplice, specie per i più giovani. La facciamo in sintesi. Qualche anno fa, non molti, storicamente parlando, da centrosinistra a sinistra, c’erano, nella forma partito, il Partito socialista, il Partito Comunista italiano, PSIUP, Democrazia proletaria, Lotta Continua, Potere Operaio e qualche altra sigla che ora di certo ci sfugge. Tutto questo contava circa il 45% degli elettori in Italia. Un po’ di tempo dopo, e molti elettori in meno, dal Pci sono nati, per scissione, il Partito democratico di sinistra (PDS)  da un lato e il Partito della Rifondazione Comunista (PRC) dall’altro. Il primo, tra consonanti perse e democristiani aggiunti è diventato alla fine il Partito Democratico che oggi conosciamo. Dal secondo sono nati, sempre per scissione, i Comunisti unitari, il Partito dei Comunisti Italiani, la Sinistra Critica, la Sinistra popolare, il Partito Comunista dei lavoratori, Sinistra e libertà.  All’estrema sinistra, ormai, ci sono più (ignoti) segretari di partito che elettori. E quello che prima aveva il senso della tragedia ora assume il tono della farsa. Eppure “Che fare?”, rimane una domanda più che valida per noi e per la nostra vita, non solo per la sinistra. Noi proveremmo a dirvi, che nel 2012  dovreste provare a cercare di stare assieme, di costruire, di procedere per aggregazioni, anche quando vi sembrerà difficile o impossibile. Perché è possibile trovare una dimensione nell’anno che viene solo se è una dimensione collettiva. E poi, direte, sarà sufficiente? No certo, c’è bisogno di stare assieme agli altri anche in tutte le dimensioni e le forme politiche che possiamo immaginare. Possibilmente nuove forme, come i movimenti e le reti. Se poi siete proprio orfani di un partito, vi invitiamo a iscrivervi a quello immaginato dalla scrittrice sudamericana Gioconda Belli nel suo ultimo romanzo, il Partito della izquierda erotica (Partito della sinistra erotica) e magari ad aprire una sezione locale. Avvertenza per i maschietti, il partito è femminista radicale, il segretario è una donna, il programma prevede i maschi a casa e le donne al lavoro. Non sappiamo se l’idea è buona, o come in tutti i partiti ogni buona intenzione si trasformerà in una via infernale, ma per il 2012 non vediamo altra soluzione. Immaginare e inventare. Quello che è certo, care compagne e cari compagni, che sarà un anno intenso.

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Sagittario

Care/cari vi confessiamo che il vostro è sempre il segno che lasciamo per ultimo nel nostro approssimativo interrogare le stelle. Perché come la metti e come la giri, alla fine tra le parole che cerchiamo per voi, spunta sempre la stessa, libertà. Come se in una vita precedente vi avessero imprigionato, sembra sempre che di libertà non è abbiate mai abbastanza, attenti alla più piccola delle limitazioni, fosse anche un divieto di sosta. Quindi abbiamo scrutato a lungo il cielo per capire quale altra parola poteva segnare il vostro 2012. Amore, salute, lavoro, amicizia? Uhm, si per carità, inutile dire che anche per il prossimo anno, tutto questo non mancherà specie se in mezzo ci mettete qualche viaggio. Ma ancora una volta non possiamo che dire che, nonostante i Maya questo sarà una anno di libertà. E allora potevamo riservarvi una testimonianza meglio di questa?… “Da quando sono uscito dal carcere è stata questa la mia missione: affrancare gli oppressi e gli oppressori. Alcuni dicono che il mio obiettivo è stato raggiunto, ma so che non è vero. La verità è che non siamo ancora liberi: abbiamo conquistato soltanto la facoltà di essere liberi, il diritto a non essere oppressi. Non abbiamo compiuto l’ultimo passo del nostro cammino, ma solo il primo su una strada che sarà ancora più lunga e più difficile; perché la libertà non è spezzare solo le proprie catene, ma anche vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà degli altri. La nostra fede nella libertà dev’essere ancora provata. Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare. Adesso mi sono fermato per un istante per riposare solo qualche attimo, per guardare la strada che ho percorso. Ma posso riposare solo qualche attimo, perché assieme alla libertà vengono le responsabilità, e io non oso trattenermi: il mio lungo cammino non è ancora alla fine”.  Nelson Mandela ha cominciato a lottare per la dignità del suo popolo appena ventenne, e ora, a oltre novantanni è ancora in cammino. Buon 2012 e buona libertà.

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Capricorno

Se  un po’ vi conosciamo bene, mi sa che questo non è stato un anno perfetto. Con la sensazione che manchi sempre qualcosa, direi, anche se poi magari non vi manca nulla. Oppure capita davvero che ci siano delle assenze, ma dovreste spiegarci perché contano sempre più delle presenze e delle cose che avete. Anzi, non dovreste dirlo a noi, ma parlarne con voi stessi. Comunque non temete, noi abbiamo una proposta seria per il 2012, perché altro che fine del mondo, questo è un anno che segna un nuovo passaggio. E bisogna arrivarci preparati. Abbiamo cercato parole di saggezza in lungo e in largo per accorgerci poi che le avevamo sottomano. Un po’ come la questione del cercare lontano, invece di guardare vicino che tanto vi riguarda. Queste sono le splendide parole di Erri De Luca, sentite qui. “Incontrammo al largo due pescatori che tornavano a remi […]. Io misi i remi in acqua e mi tenni vicino. Sentivo il parlottio quieto mischiato allo sciacquo del remo, smozzichi di parole, perché a mare s’intendevano tra di loro solo con la sillaba principale, accentata, stenografia insegnata dal vento che porta via il resto. Pensavo alla serata a terra di Daniele e Caia, senza desiderio di voltarmi verso l’isola. In mare non sentivo distanze. Salì un terzo di luna perdendo la buccia rossa sul lastrico dell’acqua ferma. L’odore forte delle esche insaporiva l’aria, ora che non si andava. Gettavo con il pugno spruzzi sulle ceste. Il legno dei remi combaciava con il palmo, le gambe divaricate una avanti e una indietro, a reggere la spinta del corpo sui remi: ecco, aderivo all’uso, al mestiere, all’ora della notte, c’era un posto per me in quel largo di mare, un posto da poggiare piedi e mani e fare il necessario. Caia era terraferma, storia femmina di un secolo che mi afferrava il bavero per amore e furia, ma non lì, non in mare. Lì ero nelle notti comuni,delle estati innumerevoli della terra, ero coetaneo del pianeta, uno della sua specie insonne”. A noi sembra la soluzione più adatta per voi. Aderire a qualcosa, tenere i piedi saldi per terra, poggiare le mani a qualcosa di solido, distinguere i suoni dai rumori. Sentirvi come sulla terraferma, mentre invece state varcando il mare aperto. E nessuna nostalgia di casa.

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Acquario

Il 17 novembre 1878 Giovanni Passannante, figlio di contadini, di professione cuoco, di origine lucana e di spirito anarchico, provò ad attentare la vita del re di Italia Umberto I in visita a Napoli. Con un piccolo e scadente coltello dalla lama corta, acquistato per otto soldi, ricavo di  una giacca venduta al mercato dei panni vecchi, salì sulla carrozza che in processione portava il re lungo il corso e provò ad accoltellarlo in nome della Repubblica Universale. Non riuscì nemmeno a sfiorarlo e fu immediatamente bloccato. Sia detto, solo a titolo di verità storica, che il re Umberto I non era proprio un re democratico (come può esserlo un sovrano?), e che avrebbe in seguito conferito la medaglia d’oro al generale Beccaris il cui merito  era avere sparato sulla folle inerme che protestava perché affamata. Comunque, il fatto che il re fosse sano e salvo non rese meno lieve la pena per Passannante. Fu condannato a morte, in un processo durato appena due giorni. La sua pena fu poi commutata in ergastolo, prima in carcere e poi nel manicomio giudiziario. La persecuzione si estese alla famiglia, che fu rinchiusa in manicomio, e persino al suo paese d’origine messo a ferro e a fuoco, che dovette cambiare nome in Savoia di Lucania. Eppure il suo gesto trovò comunque solidarietà e simpatia, e Giovanni Pascoli (si proprio lui, il compassato poeta delle nostre antologie scolastiche) scrisse una “Ode a Passannante”, cosa per la quale venne arrestato e condannato a quattro mesi di carcere. Passannante trascorse tutta la sua vita detenuto, costretto  a vivere in una cella buia incatenato a una catena di diciotto chili.  In queste condizioni non potè apprendere che il re che l’aveva condannato era stato ucciso ed era morto prima di lui. Chi sa magari i dieci anni di vita che gli avanzarono sarebbero stati più lievi. Ora veniamo a noi. Quale il senso del 2012? Tenere a mente, sempre, che non ci sono scelte che non comportino conseguenze, non solo per noi ma per i nostri cari. Per questo anno nel quale sarete chiamati a scegliere più di quanto vogliate, tenete a mente sempre che non basta che siano giuste le ragioni, le conseguenze possono essere dolorose. Ma tenete anche a mente, che una volta scelto è giusto andare fino in fondo, sempre. Ah, dimenticavo, Giovanni Passannante era del segno dell’acquario. L’avreste mai detto?

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Pesci

Come una rana di inverno. Così scrive Primo Levi, nell’incipt di Se questo un uomo: “Considerate se questa è una donna / senza capelli e senza nome / senza più forza di ricordare / vuoti gli occhi e freddo il grembo / come una rana di inverno”. E anche il titolo di un libro molto toccante di Daniela Padoan che raccoglie le testimonianze di donne sopravvissute ai campi di concentramento. Leggete cosa dice Giuliana Tedeschi, quando le viene chiesto cosa pensa di Auschiwitz e dei viaggi organizzati delle scuole: “Non saprei. Non so nemmeno più com’è Auschiwitz. Lei l’ha vista? Io non voglio tornarci, non voglio modificare in nessun modo quel ricordo così tormentoso. Mi sembrerebbe un tradimento. È strano, ma si resta attaccati ai ricordi che ti hanno leso l’anima. Solo il pensiero che lì sia nata l’erba mi disturba immensamente. Lì era un mare di fango sul quale noi scivolavamo, tra queste baracche, il cielo sempre grigio, le cornacchie che stridevano, una cosa da avere l’animo oppresso in continuazione. Non c’era colore. Ho sofferto moltissimo della mancanza di colore. Ricordo che un giorno […] ho visto un capo colorato appeso a una corda: mi era sembrato un miracolo, una cosa bellissima”. E poi, ricorda l’incontro con una “sorella di lager”: “Penso che senza di lei sarei morta, e lei dice lo stesso di me. Siamo state l’una legata all’altra: come corpi, come vite […]. C’era il legame di tutti i giorni, lo sguardo muto che ti esortava a resistere quando credevi di non farcela più, il dono di una parte della razione quando l’altro ne aveva più bisogno di te”. Ecco, è tutto qui l’essenziale per l’anno che viene. In primo luogo, bisogna sempre ricordarsi che anche nelle condizioni più estreme si ha un margine di concreta speranza. In secondo luogo, che è giusto, e ha un senso, conservare spazio anche ai ricordi più dolorosi. In terzo luogo ricordarsi sempre di quanto fondamentale sia il legame che costruiamo nell’amicizia, di quanta solidità possa darci. Ultimo, ma non per ultimo, cercate sempre il colore, anzi i colori. E, mi raccomando, fate in modo che non manchi mai il rosso.

4 commenti a "Le stelle di Foucault – Speciale 2012"

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