(disegno di cyop&kaf)

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La polveriera

Ancora una volta si è dovuto verificare un drammatico fatto di cronaca per riportare all’attenzione nazionale la complessa vicenda di Castel Volturno, dove ormai da anni una numerosa comunità africana vive nell’abbandono più assoluto.

A qualche settimana di distanza dal ferimento di due ragazzi ghanesi abbiamo riletto le cronache dei quotidiani, le testimonianze e le dichiarazioni ufficiali provando a dare un ordine a quest’insieme di voci, ricostruendo i fatti, mettendo in evidenza i vari punti di vista e descrivendo quali sono state le decisioni prese dal governo per far fronte a questa nuova emergenza. Infine, abbiamo provato a raccontare la complessa realtà che caratterizza oggi Castel Volturno e abbiamo cercato di elencare alcune possibili politiche da intraprendere.

Domenica 13 luglio, Cesare Cipriano, un ragazzo di ventun’anni, ha sparato alle gambe di due ragazzi ghanesi ferendoli gravemente. Secondo quanto ha raccontato al giudice per le indagini preliminari, sarebbe intervenuto in difesa dello zio Pasquale, che poco prima aveva avuto un’accesa discussione con un ragazzo ghanese, Yussef, accusato di aver rubato una bombola di gas. Accusa che Yussef aveva respinto affermando che la bombola era di sua proprietà. Da lì è nata una discussione. In difesa di Yussef è intervenuto Nicolas, un connazionale che era lì di passaggio. La discussione è degenerata in una colluttazione. Poi, dopo una decina di minuti è sceso in strada Cesare Cipriano e ha sparato.

Pag. 2, 3, 4 e 5 – La polveriera Castel Volturno – Dopo il ferimento in estate di due africani e le manifestazioni contrapposte di bianchi e neri, il governo ha preso delle misure che riguardano l’ordine pubblico ma non gli investimenti, la salute, la convivenza. Attori e scenari di una situazione esplosiva.

Pag. 6 e 7 – Quarant’anni e quattro figli – Sposata e con un figlio, Maria è partita dalla Nigeria a sedici anni. Appena arrivata è stata venduta agli sfruttatori per cinquanta milioni e messa a fare la prostituta in strada. Da allora sono passati quasi trenta anni. Così, Maria racconta la sua storia.

Pag. 8, 9, 10 e 11 – Il Vangelo nell’altra Africa – Il comboniano Giorgio Poletti è arrivato a Castel Volturno nel 1994, di ritorno dall’Africa. Racconta l’impatto con la prostituzione, le messe in pineta per i tossici, le iniziative sempre più politiche, fino ai permessi di soggiorno “in nome di Dio”.

Pag. 12 e 13 – Viaggi al termine della notte – Emanuele viene dal Gambia. Voleva raggiungere la Grecia ma si è fermato a Castel Volturno. Negli anni Ottanta gli stranieri erano pochi. Ha cominciato a vendere droga. Poi è andato al nord, ha lavorato, ha smesso, è ricaduto. Infine è tornato.

Pag. 14 e 15 – Un’odissea di vent’anni – Domenica è arrivata in Italia dal Ghana nel 1992, a venticinque anni. Donna di servizio a Villa Literno, operaia in fabbrica a Brescia e Pordenone, poi il negozio di parrucchiera, l’import-export, un bar a Castel Volturno, un figlio e la voglia di tornare.

Pag. 16 e 17 – Ascoltare come prima cura – A colloquio con Gianni Grasso, medico di base, punto di riferimento per le donne africane che vivono a Castel Volturno. La necessità dell’ascolto, la pratica del consiglio, le strategie di una medicina povera che in questi anni ha aiutato migliaia di persone.

Pag. 18 e 19 – Dodici pollici – Libri: Camorra Sound, di Daniele Sanzone; Tra le macerie, di Davide D’Urso; I Buoni, di Luca Rastello. Giornalismi: Un archivio di storie contro i luoghi comuni. 

Con i testi di jefferson seth annan, salvatore porcaro, sara pellegrini, riccardo rosa, luca rossomando e i disegni di cyop&kaf, sam3, diegomiedo

( copertina di cyop&kaf )

Regione Campania, Commissione antimafia: presidente indagata per voto di scambio di stampo mafioso. Come se un sindaco ex giudice facesse apologia dell’anarchia.

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La partecipazione ai tempi di Lucarelli

( disegno di cyop&kaf )

da Napoli Monitor n. 45, gennaio 2012

Appena rientrata in Italia (e nella mia città) decido di partecipare all’incontro organizzato presso la facoltà di Architettura per la presentazione dell’ultimo libro di Marianella Sclavi e Lawrence Susskind. Titolo promettente: Confronto creativo. Dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati, che però contiene in sé l’evidente, non diretta né necessaria, coincidenza tra le pratiche della comunicazione e dell’ascolto, quasi a presagio di quanto si consumerà nelle due ore e mezza successive.

Venerdì 16 dicembre 2011, aula 10 di palazzo Gravina semivuota, concentrati nelle prime file quanti arrivano incuriositi dai relatori proposti: Marianella Sclavi, la “signora della partecipazione”, attualmente docente di etnografia urbana e antropologia culturale al Politecnico di Milano, figura di riferimento per la cultura della gestione costruttiva dei conflitti nei processi decisionali partecipativi; Giovanni Laino, docente di politiche urbane e territoriali alla Federico II, chiamato a rileggere criticamente il testo fresco di uscita; Alberto Lucarelli, giunto a metà del secondo intervento, assessore comunale ai beni comuni, chiamato per misurare i temi del libro con il contesto napoletano, dove si sta facendo un tentativo di “democrazia partecipativa”.

Il dibattito inizia con un video che illustra un OST (Open Space Tecnology) coordinato a Ravenna per il progetto della nuova Darsena. Un idillio. Facce sorridenti che realizzano quello che la stessa Sclavi, introducendo i diversi livelli di partecipazione di cui scrive, ci racconta essere un livello alto, quello che supera la semplice consultazione dei cittadini, per realizzare processi dove la molteplicità delle proposte converge verso un progetto condiviso, che le sintetizza e le supera. Laino discute poi sul testo, evidenziando il rischio di astrazione che una disamina metodologica, seppur sostanziata dalle esperienze raccontate, inevitabilmente contiene. La realtà dei soggetti reali e la problematica delle “condizioni di partenza” (che se non sono come le ipotesi perfette, rischiano di far saltare l’esito del processo) emergono come fattori dai quali non si può prescindere. E Napoli per questo ha fatto scuola, come emerge dai tentativi disastrosi ove si è sperimentato un processo di discussione partecipata, come a proposito dello spostamento del campo degli abitanti rom di Scampia, nel 2001.

La seconda parte della serata appare tuttavia surreale. Sarà che l’assessore si è perso l’inizio, ma quello che dice suona come “scollato” dai contenuti dell’incontro. A proposito del sottotitolo del libro, inizia con una lunga disamina dell’evoluzione del diritto di parola (un diritto che – come ripete – non coincide con quello di essere ascoltati) per approdare poi alla presentazione del progetto napoletano. La descrizione dei lavori in corso muove dalla faticosa genesi della “Costituente per i Beni Comuni”, fino alla descrizione della “novità” che il progetto rappresenta, alle note sulle “perplessità” dei suoi stessi colleghi, poco inclini a reinventarsi l’ambito ruolo con l’introduzione di questi processi di partecipazione.

Sarà che a Napoli ogni volta che si misura un processo o una pratica che altrove quantomeno sono partiti, quel problema delle “condizioni di partenza” a cui Laino faceva riferimento diventa un moloch insormontabile, ma pare sempre che si sia in ritardo in partenza. Del resto, se volessimo tornare agli stessi documenti che il comune fornisce per descrivere l’impresa, notiamo come essa resti nei fatti uno strumento sostanzialmente consultivo, assicurando livelli minimi di informazione (da parte dell’amministrazione) e di confronto pubblico che in una democrazia occidentale avanzata dovrebbero essere congeniti.

Un sistema di consulte è ben altra cosa da un processo articolato di partecipazione in contesti di mutuo apprendimento, in cui, coordinati da professionalità esperte (i cosiddetti facilitatori, che non sono come nel caso napoletano, “delegati degli assessori competenti in materia”, ma consulenti professionisti, non di parte rispetto ai contenuti, che dovrebbero accompagnare la costruzione della decisione con l’apporto di tutti i partecipanti), si possa realizzare “l’ascolto attivo” delle proposte, quindi la moltiplicazione delle opzioni a partire da quelle dei singoli e infine un processo di co-progettazione creativa, i cui esiti possano diventare davvero proposte che orientino le scelte pubbliche.

Mentre la serata procede e il dibattito prende corpo è come se la “partecipazione” a cui fanno riferimento tutti fosse per ciascuno un concetto diverso. La discussione continua sulla scia di questa evidenza. Un dibattito che muove talvolta dall’amarezza che le questioni reali – la Coppa America una fra gli altri – arrivino troppo spesso a una condizione d’urgenza, che impone l’inevitabile superamento del tempo lungo di un processo decisionale partecipativo. La sensazione più disarmante è tuttavia il dubbio che si stiano usando parole che appartengono alla cultura della partecipazione (fatta di pratiche, esperienze, talvolta revisione delle stesse esperienze) per racconta re qualcosa d’altro. Una gran confusione. Del resto, è una serata stridula. Dalla sua prima scena. Una presentazione di un libro che non avrebbe potuto trovare sede più opportuna di un’aula universitaria. Ma dove sono gli studenti (e i ricercatori, i cittadini, le persone in generale)?

Il paradosso del disinteresse pubblico, dovuto forse alla disabitudine ma anche al disincanto, in una serata in cui si parla di partecipazione si fa pesante. Anche come occasione perduta per capire un po’ meglio, dalla voce di uno che se ne fa promotore, come vorrebbe cambiare l’amministrazione della nostra città. Probabilmente l’avrà intuito anche lui, il primo a lasciare la sala, pochi minuti alle 20, dimenticandosi perfino penna e orologio sul tavolo e consumando in fretta il fervore partecipativo degli altri presenti, lasciati sicuramente con qualche altra domanda sulle labbra. (cristina mattiucci)

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Regione Campania, Commissione antimafia: presidente indagata per voto di scambio di stampo mafioso. Come se un sindaco ex giudice facesse apologia dell’anarchia.

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