La Biblioteca nacional, tempio della cultura argentina, sta alla Recoleta, il cuore ricco e freddo di Buenos Aires. A qualche decina di chilometri, in un angolo dello sterminato conurbano della capitale, all’altro capo della piramide sociale, sta Villa Carlos Gardel, che per noi è come dire Scampia o lo Zen o qualsiasi altra roccaforte della povertà e dell’ingiustizia metropolitana. Una distanza abissale che Cesar Gonzalez, ventiduenne poeta argentino, ha attraversato in poco più di sei anni, dopo che, chiuso in un carcere minorile, per caso e per istinto ha scoperto la poesia.
Leggendo e scrivendo rabbiosamente, è diventato poeta, ribattezzandosi Camilo Blajaquis: Camilo per Cienfuegos, comandante della rivoluzione cubana e Blajaquis per il sindacalista peronista assassinato nel 1966, al tempo della dittatura di Ongania.
Quando Cesar/Camilo entra nella sala della biblioteca dove si presenta il suo secondo libro, Crónica de una libertad condicional, si mostra ai tantissimi giovani che l’affollano animato dall’allegro nervosismo che lo accompagna in tutte le sue imprese di poeta-militante. «Mi sono messo in questo casino e adesso non posso fermarmi», mi disse quando l’incontrai lo scorso agosto. Come una biglia schizzata in un flipper, passa da un impegno all’altro, senza guardarsi indietro. «Voglio uscire dall’immagine del pibe chorro recuperato», dice riferendosi al racconto che di lui fanno i media e, semplicemente, dichiara: rivendico di scrivere. In realtà scrive e fa scrivere, con ogni mezzo: la rivista, i video, la radio, i laboratori nel barrio e incontri ovunque. Raccoglie storie di ragazzi come lui per raccontarle e farle raccontare da chi le vive. «Se non si critica non si costruisce», dice spiegando la sua speciale lotta anticapitalista condotta con le armi della letteratura.
Tutto inizia a Villa Carlos Gardel, barrio del municipio di Moron, appena fuori la capitale. Carlos Gardel si è formata intorno a un complesso di monoblocks (come un nostro rione 167), cui, dagli anni Settanta, si è aggiunta una baraccopoli d’immigrati che i vicini chiamavano la “villa de los paraguayos”.
Ormai è da diversi decenni che i nuovi argentini vengono a Buenos Aires dalle province interne, dal Paraguay e dalla Bolivia. Un po’ alla volta, si sono precariamente insediati nelle periferie, dove intanto declinava il vecchio tessuto industriale e s’impoveriva la classe operaia “bianca”, d’origini europee. Ai rioni di modeste ma dignitose case che vecchi operai e artigiani s’erano conquistati grazie ai benefici del peronismo dei tempi d’oro, si affiancavano le villas d’emergencia dei nuovi immigrati. Mentre i primi diventavano disoccupati, i nuovi venuti formavano l’esercito dei marginali, per contendersi gli avanzi di una metropoli in crisi permanente: dall’elemosina allo spaccio, dalla manovalanza precaria al piccolo furto e così via. Due mondi, entrambi perdenti, ma in difficile convivenza.
Villa Carlos Gardel diventa presto un problema, le autorità e la stampa la bollano, con altri due barrios simili, come vertice di un temibile “Triángulo de las Bermudas” del delitto, dove la polizia non può entrare. Si agita l’idea di raderla al suolo per sradicarvi gli “stranieri”, come molti del posto considerano gli immigrati, quando non li chiamano “negros”, per via del viso colorito degli amerindi.
Si decide, allora, per una ristrutturazione più lunga e complessa: trasferimento dalle baracche ad abitazioni provvisorie finalizzato a una risistemazione generale con il re-insediamento in case definitive, un’operazione che in gergo urbanistico si definisce “riqualificazione abitativa”. Il meccanismo impiega decenni, con vari incidenti di percorso come sgomberi forzati e nuove occupazioni di case, mentre intanto si consolida il ghetto.
In una tipica famiglia del ghetto nasce Cesar, primogenito di madre soltera che, come spesso accade, s’è dovuta crescere da sola l’intera nidiata di creature, sette in tutto. Impara presto a vivere, a scuola come per strada, dove pure i bambini sanno cos’è la cocaina e che se non c’è lavoro si ruba. Si avventura anche fuori del barrio dove è rischioso muoversi perché la polizia aspetta sul confine i negritos come lui per fermarli, incolparli e spesso colpirli a prescindere, che abbiano o meno combinato qualcosa. La chiamano prevenzione per garantire la sicurezza dei cittadini “normali”, ma per la gente del barrio è pregiudizio e fa vittime come ne fa il crimine. Il confine fra legge e crimine in questi territori è molto labile, non solo può accadere di essere presi “a caso”, ma è anche possibile che tra i poliziotti vi sia chi usa ragazzi perché rubino, a volte costringendoli a farlo.
Insomma, prima o poi ci scappa l’incidente, com’è stato per Cesar che lo ha raccontato così: «Una banda che si nascondeva nel barrio sequestrò un brasiliano, la polizia aveva necessità di prendere qualcuno e, siccome tenevo precedenti e stavo segnato, mi presero e m’incolparono del delitto. Sedici anni, sei pistolettate della polizia in corpo, mi aspettavano anni di carcere… pesavo cinquanta chili, realmente stavo morto, morto in vita». Inizia così la sua carriera carceraria, passano un paio d’anni e il caso gli cambia la vita, ha il volto di Patricio “Merok” Montesano, un giovane volontario che tiene un laboratorio di magia per i ragazzi dell’istituto. «Ci insegnava trucchi e ci parlava del Che e degli anni Settanta, di Rodolfo Walsh e Robert Arlt, di arte, filosofia e letteratura. Al principio non gli diedi importanza, ma lui veniva per aiutare sinceramente». Il magro Merok gli presta Da Ernesto al Che, di Calica Ferrer e ne resta folgorato. «Prima non sapevo che il Che era argentino né quello che aveva fatto… il libro mi servì per rendermi conto che uno può fare un “click” nella vita, come lo fece il Che, poi cominciarono le domande e apparvero le risposte: perché sono nato in una villa, perché mi è toccato di essere povero…».
Tutto il resto è venuto di corsa: Cesar divora un libro dopo l’altro, quindi inizia a scrivere poesie e, con la complicità di Merok, cui passa clandestinamente i suoi scritti, apre un blog proponendosi come Camilo Blajaquis (camiloblajaquis.blogspot.com) e fonda una rivista, Todo piola (www.revistatodopiola.com.ar).
Quando, a ventuno anni, esce in libertà condizionale, di nuovo lo aiuta il caso: Lucas Ghi, sindaco di Moron e giovane esponente della sinistra peronista che s’è imbattuto nel suo blog, lo invita a tenere laboratori culturali con i ragazzi del suo barrio, attività che tuttora svolge insieme alle altre, armato di questa convinzione: «Prima di escluderti economicamente, il sistema ti esclude culturalmente e simbolicamente perché sei il negro di una villa destinato a essere ladro oppure operaio e niente più».
Cesar/Camilo coltiva una speranza, dichiarata, quando ancora era in carcere, in una lettera allo scrittore Luis Mattini: “Non so di che ma conservo la speranza che si può trasformare la rassegnazione in Arte, in Amore, in Felicità o in Verità. Quando un ragazzo giudicato come delinquente o assassino si mette a disegnare, a cantare, a scrivere alla fidanzata, la sua anima si apre a un sorriso differente. Questo l’ho visto, lo vedo e lo vedrò anche domani”. (francesco ceci)
La venganza del cordero atado.
octubre 2009 hasta la libertad formal,
residencia penal de regime abierto El Sanchez Picado
Esta noche hay luna llena,
tendría que ser remedio santo.
Pero acá abajo todo esta muy raro,
las miradas van bloqueadas, desteñidas, agitadas,
se ven espejos de todos lo colores,
en vanguardia los sabuesos, los hechizados, los malignos.
De repente me descuelgan seres que van cantando
melodías enchufadas a parlantes sin lenguaje penal.
Personajes que no dependen de siniestros signos
de oscuros síntomas, de opacas aspiraciones.
Cantan que ficciones son los planteos,
enseñan
¡que hundido estoy en un sueño irreal!
les grito:
¡cansado voy de comprar pinchados salvavidas
que flotan cuando no hay mar!
Un viento poseído, endemoniado por la vida
sale a la caza
de la luna llena.
La vendetta dell’agnello legato
Questa notte c’è luna piena,
dovrebbe essere un santo conforto.
Ma qua sotto tutto è molto strano,
si vedono specchi di tutti i colori,
davanti a tutto i segugi, gli stregati, i maligni
All’improvviso mi appaiono esseri che vanno cantando
melodie da altoparlanti che non parlano la lingua del carcere.
Personaggi che non dipendono da segni sinistri
da oscuri sintomi, da opache aspirazioni.
Cantano che le affermazioni sono finzioni,
insegnano che sto immerso in un sogno irreale!
grido a loro:
sono stanco di comprare salvagenti bucati
che galleggiano quando non c’è mare!
Un vento posseduto, indemoniato dalla vita
va a caccia
quando è luna piena
Ciudad panóptica
mayo a octubre de 2009, Penal de Marcos Paz
El escenario es un colectivo
el aire que se respira es tristeza
no hay peor cárcel que la mirada del otro.
Miran por la ventanilla
y sus miradas se pierden.
Desean ser otra cosa
pero les divierte este caos.
Llego a mi destino y me bajo.
Me espera una reunión de
intelectuales de turno.
Sus ideas agarraron un piquete
a mi los piqueteros me dejaron pasar.
Antes que ahogarme decido marcharme.
Vuelvo al lugar donde mejor me refugio
busco esa cueva donde nadie me encuentre.
Ahí, donde puedo ser.
Ahí, donde no obedezco.
En la soledad, en el único consuelo.
Lo que observo es que hay mucho anhelo
se anhelan caricias, se anhela verdad.
Hasta las veredas sufren por
esa multitud que se queja de la lluvia
porque moja su ropa nueva
porque los retrasa en el trabajo..
Aunque el mundo es mas grande de lo que dicen
percibo que nos achicaron el tiempo…
Città panottica
La scena è su un autobus
l’aria che si respira è tristezza.
non c’è peggior carcere dello sguardo dell’altro.
Guardano dal finestrino,
e i loro sguardi si perdono.
Desiderano essere altro,
ma li diverte questo caos.
Arrivo alla mia destinazione e me ne scendo.
Mi attende una riunione di intellettuali di turno.
Le loro idee s’imbatterono in un picchetto,
a me i piqueteros mi lasciarono passare.
Prima di annegare,
decido di andare via.
Torno nel luogo dove meglio mi rifugio,
cerco quel nido dove nessuno possa trovarmi.
Lì, dove posso esistere,
Lì, dove non obbedisco.
Nella solitudine, nell’ unico conforto.
Quello che osservo è che è forte il desiderio,
si desiderano carezze, si desidera verità.
Perfino i marciapiedi soffrono,
per questa folla che si lamenta della pioggia
perché bagna i suoi vestiti nuovi,
perché li ritarda nel lavoro.
Nonostante il mondo sia più grande di quello che dicono,
percepisco che ci hanno rubato il tempo.
Existiendo
24 maggio 2010
¿es real?
¿o solo representacion de lo nulo imperfecto?
olfateo otra estafa dañina y sin tiempo
¿a donde una cueva que te enseñe a existir?,
¡si es todo ojos frios mente hueca!
indiferencia: maldito y molesto sintoma social!
¡Yo no toco de oido lo que es la vida!
¡salgo a recibirla como cuando retorna un guerrero!
¿es real?
¿existe Ahora el lugar donde diseñan mañana?
¿hay una ayer que se choca con el hoy
que inmoviliza y reduce la fuerza del porvenir ?
¿donde estoy?
¿que es este bosque de seres tan similares,
tan identicos en su sicosis?
se refugian en la palabra porque son cagones
moribundos miedosos de sentir la verdad,
¿y si Hoy vivió en el Ayer, de Mañana?
¿Acaso es ficcion un dolor de piernas ?
¿Acaso esta tristeza la planearon ideas de otro mundo
superior (no sensible)?
¿porque sera real? ¡porque!
abunda lo absurdo en el reino de lo fijo,
en el regimen de todo lo quieto y frio
en la superpoblada selva por adictos a lo reiterativo.
¡Tic-tac! ¡Tic-tac! no es mas que un ruido percibido
¡tic-tac! tic tac! reflejo necesario de tu temor…
Esistendo
è reale?
o solo rappresentazione del nulla imperfetto?
annuso l’ennesima truffa dannosa e senza tempo.
dove sta un rifugio dove imparare a vivere?
se tutto è occhi freddi e mente vuota!
indifferenza: maledetta e fastidiosa malattia sociale.
Non suono a orecchio ciò che è la vita!
esco a riceverla, come un guerriero al ritorno!
è reale?
esiste adesso un luogo dove progettano il domani?
c’è un passato che si scontra con il presente?
che immobilizza e riduce la forza dell’avvenire?
dove sto?
cos’è questa foresta di esseri tanto simili
tanto uguali nelle loro psicosi?
Si rifugiano nella parola perché sono vigliacchi
moribondi terrorizzati di sentire la verità.
E se l’oggi visse nel passato, che ne è del domani?
È forse finto un dolore alle gambe?
Questa tristezza la stabilirono forse principi di un altro mondo superiore ( non sensibile)?
Perchè sarà reale? Perchè (si)!
Straripa l’assurdo nel regno dello stabilito,
nell’ordine di tutte le cose immobili e fredde,
nella foresta sovraffollata dai drogati della ripetizione.
Tic, Tac, Tic, Tac, non è altro che un rumore percepito,
Tic, Tac, Tic, Tac, riflesso necessario del tuo timore …