da napoli.com, 26 aprile 2012
Aveva l’andatura dondolante del marinaio che avrebbe voluto essere. Alto, dondolante e con un gran viso bruno, i capelli folti e neri, e gli occhiali da miope che avrebbero potuto farlo apparire un intellettuale malinconico, una bella copia di Cesare Pavese. Perché era un bel ragazzo. E dondolando veniva avanti nel corridoio del “Roma”, quand’era il giornale di Lauro e la redazione era nel palazzo della Flotta in via Marina, al terzo piano. Lavorava rincantucciato in una stanzetta, ma ne usciva in continuazione per affacciarsi sulle porte della cronaca, dello sport, degli esteri, degli interni, degli spettacoli fulminando tutti con una battuta ironica e con quel suo eterno atteggiamento scettico sul mestiere che facevamo, giornalisti di grandi sogni, al quale lo aveva “condannato” il padre, Antonio Pugliese, per averlo vicino stroncandogli quel desiderio forte e vero di girare il mondo sulle navi del Comandante.
Voleva proprio fare il marinaio, Nicola Pugliese, girare il mondo e non fermarsi tra di noi, dietro a una macchina per scrivere, sebbene dal padre avesse ereditato le capacità per fare il giornalista. Così era Nick che avrebbe voluto vedere le Antille e il Mar Nero, Suez e Panama, l’America e l’Asia. Si affacciava alle grandi vetrate del giornale che davano sul porto vedendo partire le navi sulle quali aveva sognato la sua vita vera. Si portavano via i suoi sogni lasciandolo “giornalista di terra” senza ambizioni, arreso al mestiere del padre.
Un altro sogno aveva Nicola. Il teatro. Giovanissimo era rimasto “segnato” da una commedia di Ionesco al Mercadante interpretata da Carmelo Bene. Ma né il mare, né il teatro furono il suo destino. Perciò, pur mostrando presto un talento naturale per il giornalismo, si portava dentro un broncio romantico per non avere potuto scegliere la sua vita su un palcoscenico o su una nave. Aveva un talento di scrittore e fu così che, una sera, mentre picchiavamo sulle Olivetti le ultime notizie da mandare in tipografia, apparve alle mie spalle e mi consegnò un fascio di fogli dattiloscritti. “Leggi e dimmi che cosa ne pensi”. Eravamo legati da una amicizia affettuosissima, la stessa che mi legava a suo padre, uno degli anziani più suggestivi del “vecchio Roma”, scrittore incisivo e polemico, con un passato di guerra in Spagna, dalla parte di Franco, e una scheggia in una gamba che trascinava con grande eleganza e fierezza. Quei fogli erano il romanzo di Nicola Pugliese, “Malacqua”, credo uno dei libri più belli su Napoli, che mi procurò la stessa emozione di “Ferito a morte” di La Capria. Ne fui entusiasta e lo dissi a Nicola. Gli dissi anche che l’inizio mi sembrava un po’ lento.
Lo stesso giudizio gli comunicò Italo Calvino, che lavorava alla Einaudi, al quale Nicola mandò il romanzo. Nel loro scambio di lettere, la risposta di Nicola fu secca: “Con tutto il rispetto, o pubblicate il romanzo così com’è o niente”. Einaudi pubblicò “Malacqua”. L’estraneità di Nicola ad ogni “giro” che contava che, col carattere che aveva non avrebbe mai frequentato al solo scopo di lanciare il suo libro, fece sì che “Malacqua” non avesse il grande successo che meritava e l’eco più ampio negli ambienti letterari chiusi in se stessi. Nicola non ne fece mai un dramma. Il suo innato scetticismo glielo impedì. Continuò la sua vita “dondolante” al giornale con l’innata pigrizia, accentuata dal modo di camminare lento e ondeggiante, e un disincanto velato di malinconia.
L’anno dopo il libro, Nicola ebbe una figlia, che chiamò amorevolmente “Perzechella”. L’ebbe da una donna dolcissima, Marie Barthelemy, un po’ francese, un po’ italiana, un po’ brasiliana, con la quale viveva da quattro anni e che sposò nel 1970, gelosissima di Nicola che chiamava “il mio cucciolone” e che a lui si dedicò interamente, sostenendolo col suo ottimismo sincero e l’ironia che ne fece una compagna sempre vivace, con un viso che esprimeva la calda bellezza delle donne dei tropici. Oggi “Perzechella” è una splendida bellezza, alta e mora, sposata e madre di due adorabili bambine, Ginevra di 12 anni e Nicole di 9. Da tre anni si è aggiunto a loro Matteo. Da sposata era andata a vivere a Mugnano del Cardinale dove suo marito aveva trovato lavoro. E Nicola, per essere vicino a “Perzechella” e alle due splendide nipoti, aveva lasciato Napoli, e la sua bella casa panoramica in via Petrarca, per stabilirsi ad Avella, poco distante da Mugnano, il “buen ritiro” silenzioso di Nick, l’ultima tappa della sua vita.
Aveva giocato al calcio nella squadra di Materdei al fianco di Ciccio Cordova che sbocciò poi tra i professionisti da grande fantasista del pallone. Di calcio parlavamo spesso. Ad Avella ci siamo incontrati l’ultima volta. Nel paese era un personaggio tra i nuovi amici conquistati dal suo disincanto. Era una vera e propria compagnia di giro, professionisti e operai, un po’ appartato don Franco, il parroco della chiesa di San Giovanni, che passava per il Bar Pasquino solo per consumare gelati di cui era ghiotto. Sulla piazza del paese, al tavolino del tressette, di cui Nicola era un maestro, come in tutti i giochi di carte, si alternavano il sindaco Nicola Salvi e Sabatino Guerriero che di mestiere faceva il fontaniere però solo quando stava di genio e il cliente era simpatico, e poi Pellegrino Napolitano, anarchico, rivoluzionario e autore di 700 poesie, e Lucio Belloise, chitarrista e cantante, Gennaro Noviello vigile urbano e attore, lo scapolo impenitente Mimmo D’Avanzo e Nicola Bizzarro, ancora vigoroso sulla soglia degli 80 anni, gran lavoratore della terra e dispensatore di scarole, nocelle e funghi, e ancora Antonio Tulino, anima critica del paese e Riccardo D’Avanzo che Nicola soprannominò Lucariello dopo una magnifica interpretazione in “Natale in casa Cupiello” della Compagnia La Mela. A Nicola il sindaco di Avella destinò una stanza nel Palazzo ducale perché l’”ospite illustre” avesse una sede degna per lavorare. Dipingeva, era il suo hobby. Illustre l’ospite, ma da subito un gran compagnone fra gli amici di Avella tra i quali Nicola lamentava solo l’assenza di un forte avversario nel gioco degli scacchi. Antonio “Topolone”, detto “il norvegese” per via di un giubbotto comprato in Norvegia, e Alfonso Cessari si offrirono solo per delle partite a dama.
Al Bar Pasquino, Carmine Guerriero conservava una copia della prima edizione Einaudi di “Malacqua”. Tutti amavano Nicola come lui sapeva farsi amare, un cuore grande dentro una maschera scettica. Parlammo di “Malacqua”. Nicola troncò il discorso senza nostalgie e rammarico: “Così dovevano andare le cose e il tempo magico è corso via”. Da circa un mese, Nicola si era trasferito a Mugnano, nello stesso palazzo di “Perzechella”, per stare più vicino alla figlia e ai nipoti, sempre amorevolmente coccolato da Marie. Da un po’ di tempo stava male, refrattario per giunta a ogni controllo medico. Aveva 68 anni. Il marinaio sognante si è spento ieri. Si porta via un gran pezzo della nostra vita. Dondolante come sempre si starà avvicinando alle porte del Cielo, farà la sua immancabile battuta ironica e cercherà tra gli angeli un giocatore di scacchi. Addio, Nicola. Vado a rileggere “Malacqua” ricordando la sera in cui mi portasti i fogli dattiloscritti e mi dicesti: “Leggi e dimmi che cosa ne pensi”. (mimmo carratelli)