1-15 maggio 2012 / A proposito di incipit (Chi ben comincia è a metà dell’opera)
«Il passato è una terra straniera, [le cose accadono in modo diverso da qua]». A beneficio dei più giovani ricordiamo che questo non è l’incipit del romanzo di Gianfranco Carofiglio, dall’omonimo titolo, ma di un romanzo del 1953 di Leslie Poles Hartley. L’età incerta (The Go-Between). Il protagonista ripercorre la propria infanzia e il suo ruolo di messaggero di amore tra due amanti sfortunati. Un ruolo che lo segnerà per tutta la vita in modo traumatico. Scegliete un inizio diverso per questa primavera che porta all’estate. Noi vi suggeriamo questo, «il futuro è una terra da esplorare». L’importante è che siate scrittori e autori delle vostre parole e del vostro futuro. Il ruolo di postini non regala mai grandi soddisfazioni.
«Caro B. appena arrivato all’Avana entro in una nuova corrente, sembra che le illusioni non esistano e si possa sognare solo quello che c’è. Finora gli oroscopi e la mia fede intima non mi hanno mai ingannato e dimostrano che il Messico darà quello che deve dare. Un solo punto oscuro: ce la farò?». Comincia così la lettera di Antonin Artaud, datata 31 gennaio 1936, indirizzata a un suo caro amico. A quasi 40 anni Artaud, regista, scrittore, poeta surrealista, intraprende un impegnativo viaggio in Sudamerica. Da ciò quanto segue, da tenere a mente per i prossimi giorni. In un tempo in cui sembra che non ci sia dato alternativa che accettare quello che c’è, non è mai tardi per cominciare un nuovo viaggio o un’altra impresa. E se la fede intima non vi basta, fidatevi degli oroscopi. Non di tutti, ovviamente, ma di questo!
«Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxi-televisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchina, lettore cd e apriscatole elettrico, scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita, scegliete un mutuo a interessi fissi, scegliete una prima casa, scegliete gli amici, scegliete una moda casual e le valige in tinta, scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi. Scegliete un futuro, scegliete la vita!» Ma perché dovrei fare una cosa cosi?, si chiedeva il protagonista di Trainspotting (1996) nel famoso monologo iniziale del film. Giusta domanda, perché dovreste fare così? Nelle prossime due settimane scegliete la libertà!
«Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo “grazie” a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta». Nel 1987 Enzo Tortora esordiva così riprendendo la sua fortunata trasmissione televisiva, interrotta, quattro anni prima, a causa del suo arresto e di un assurdo processo fondato su calunnie e prove inesistenti. Questo per ricordarvi che ci vuole tempo, ma a volte si riesce a vincere. E che si può sempre riprendere da dove ci si era fermati.
«Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice si, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il contenuto di questo no?». L’uomo in rivolta, Camus. Ci hanno sempre insegnato che la sofferenza è individuale. E questo ci fa sentire soli e stranieri. La prima cosa da fare, allora, è riconoscere che questo nostro sentirsi stranieri lo condividiamo con milioni di altre persone che soffrono la distanza tra il mondo e la giustizia. Non vi sentite soli, ma cercate le compagne e i compagni che sappiano che la rivolta è la prima esigenza della vita quotidiana. Ricordate «mi rivolto, dunque siamo».
«Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione». È questo l’inizio della Società dello spettacolo di Guy Debord, un capolavoro di analisi e interpretazione ciò che anticipò (eravamo nel 1967) quello che sarebbe diventata la realtà virtuale del nostro pianeta. Un giorno ne parleremo in maniera più approfondita, nel frattempo vi consigliamo di andare a (ri)leggerlo. Ora vi invitiamo a non partecipare alla società dello spettacolo e a chiudere televisioni e giornali per un po’. Andate in giro, non alla ricerca del vero («nel mondo del realmente rovesciato, il vero è un momento falso») ma alla ricerca del sole, di un po’ di mare e del cielo azzurro che apre all’estate. È l’unico spettacolo al quale vale la pena prendere parte.
«Il pesce è pesce quando sta nella barca. È sbagliato gridare che l’hai preso quando ha solo abboccato e senti il suo peso ballare nella mano che regge la lenza. Il pesce è pesce solo quando è a bordo. Devi tirarlo all’aria dal fondo con presa dolce e regolare, svelta e senza strappi. Altrimenti lo perdi. Non ti agitare quando lo senti sfuriare là sotto, che sembra chissà quanto grosso dalla forza che mette a sviscerarsi l’amo e l’esca dal corpo». Sono tutte qui le cose da tenere a mente, per voi, nei prossimi giorni. Aspettate con pazienza prima di dichiarare raggiunto un obbiettivo, non perdete la calma se quello che desiderate sembra irraggiungibile o opporre resistenza. Anche solo per pescare un sogno ci vuole tecnica e maestria. Lo insegna Erri De Luca (Tuo, Mio).
«Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese. Voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare. Quando il bambino era bambino, non sapeva d’essere un bambino. Per lui tutto aveva un’anima, e tutte le anime erano tutt’uno. Quando il bambino era bambino, su niente aveva un’opinione. Non aveva abitudini. Sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via. Aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo». Con questa poesia di Peter Handke comincia Il cielo sopra Berlino, film diretto da Wim Wenders nel 1987. E questa poesia siete voi che, solo per immaginazione, riuscite a trasformare un ruscello in fiume e una pozza in mare. Pensate pure, nei prossimi giorni, a quale vorreste che fosse la scena iniziale del vostro film, ma mi raccomando che sia sempre un film a colori.
«Sono il signor Wolf, risolvo problemi» è la celebre frase con cui si presenta Harvey Keitel nel film Pulp Fiction. La storia la conoscete certamente, non c´è neanche bisogno di raccontarla. John Travolta e Samuel L. Jackson si trovano con un cadavere senza testa da fare sparire e tanto sangue da ripulire in soli quaranta minuti. Il signor Wolf detta istruzioni e risolve il problema. Ecco, così siete un po’ pure voi, miei cari e mie care del sagittario. Voi risolvete problemi. Soprattutto quelli degli altri. Sempre a disposizione, h 24. Se c´è bisogno di ascoltare, voi ascoltate. Se c´è bisogno di fare, voi fate. Certo nel caso di un cadavere senza testa e tanto sangue non sappiamo quanto potreste fare. Ma forse un´idea vi verrebbe anche per questo, se fosse necessario. Ed è necessario tutte le volte che qualcuno ha un problema (o pensa di averne uno) e si rivolge a voi. E adesso noi abbiamo due domande, care a cari del sagittario. Domanda uno: quale bisogno soddisfate occupandovi degli altri? Domanda due: verrà un giorno in cui ci direte come state voi? A prescindere da come stanno quelli cui volete bene, intendiamo. O questa è una mission impossible per i signor Wolf dello zodiaco?
«Tutto quello che non sopporto ha un nome», si apre così l’ottimo libro di Paolo Sorrentino, Hanno tutti ragione. Un libro che racconta la storia di Tony Pagoda, cantante melodico di successo, che attraversa Napoli e il mondo, amicizie straordinarie e improbabili, cocaina, donne e scarafaggi. Di Tony, che non potete che immaginare con il volto e le movenze di Toni Servillo, con Ray-Ban azzurrati e parrucca rossiccia, ci sarebbe molto da dire, ma vi invitiamo a leggere il libro e le sue riflessioni. Quello che volevamo dirvi è che all’incipit segue un elenco lungo quattro pagine di cose che non possono essere sopportate. «Non sopporto niente e nessuno, soprattutto me stesso, dice chi scrive. Solo una cosa sopporto. Le sfumature». Care e cari, non importa quanto sia lungo l’elenco delle cose che non sopportate, l’importante, nelle prossime due settimane, è che non perdiate mai di vista le sfumature.
«Il tempo non è una linea ma una dimensione, come le dimensioni dello spazio». È l’incipit del romanzo di Margaret Atwood, L’occhio del gatto (1988). Lei, Margaret, canadese, è una tipa davvero interessante, è poetessa, scrittrice ma anche una militante femminista ed ecologista. Ha ricevuto molti premi, tra cui il famoso Booker Prize nel 2000. Secondo alcuni critici la Atwood è considerata la scrittrice vivente più premiata. L’American Book Rewiew considera questo uno dei primi 100 incipit della letteratura moderna. La signora Atwood, che ha 76 anni e che collabora anche con la rivista Playboy, il suo tempo lo vive davvero come una dimensione. E voi? Preferite dare una direzione alla linea o una dimensione allo spazio?
«Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore». Comincia così il romanzo stupendo di Italo Calvino, Le città invisibili. L’imperatore è preso dalla malinconia perché ha compreso che deve rinunciare a comprendere e a conoscere il suo impero troppo vasto, uno sfacelo senza fine né forma. E si affida alle parole di Marco Polo, non perché siano le più attendibili, ma perché certo sono le più affascinanti. Noi facciamo lo stesso con voi, fate si che le vostre parole sappiano sempre farci distinguere la filigrana sottile delle cose del mondo.