Piano terra, caldo fuori, le serrande socchiuse, prima che il sole tramonti i poliziotti circondano la palazzina. Summit di camorra in corso. L’irruzione, la tentata fuga sul terrazzo, le manette al latitante Fabio Magnetti. Via Sant’Andrea Avellino, rione Berlingieri, Secondigliano. Periferia nord di Napoli: è la normale piega degli eventi. È la faida, c’è la droga, girano soldi: il passaparola arriva fino all’ultimo scampolo di tessuto, fino all’ultimo spettatore ai margini del quartiere o al primo lettore del giornale di Busto Arsizio. Ma c’è un garbo nella stoffa, di cui l’orlo non sa. Scuciture che hanno fatto degli “scissionisti” una federazione, mentre i Di Lauro sono confinati nel rione dei Fiori: gli Amato-Pagano ritiratisi a Melito e Mugnano, i Marino rimasti nelle Case celesti di via Limitone d’Arzano, i Pariante nell’area flegrea, il gruppo Abbinante-Abete stanziale nel rione Monte Rosa e nel lotto T/A di Scampia. E i Petriccione-Magnetti a Secondigliano: da via Dante, centro storico dell’antico casale, fino al rione Berlingieri e la zona del Perrone, ai confini cioè con piazza Capodichino. Sono quelli della “Vanella Grassi”, gruppo di fuoco fedele a Ciruzzo ’o milionario, costola dilauriana staccatasi solo nel 2007. Li chiamano i “girati”, coloro che hanno cambiato fronte, hanno tradito la cosca di via Cupa dell’Arco a faida già iniziata. Dai vicoli della vecchia Secondigliano sono arrivati, negli ultimi mesi, a smerciare droga anche nelle Vele di Scampia. Perché, abbattuti dai poliziotti cancelli e paratie che servono per lo spaccio, i casermoni, ex roccaforte degli Amato-Pagano, ora sono il luogo che si presta meglio alla fuga dei pusher attraverso il dedalo di piani e al nascondiglio della “roba” nei numerosi appartamenti vuoti.
Se il termine camorra non cambia, a cambiare sono gli scenari. Non viene archiviata l’armeria pesante. Ma non è la faida del 2004. Equilibri nuovi, senza pretese d’infinito. Epidermici, ostinati. Per reggere il business degli stupefacenti. A condurre gli affari sono spesso ragazzini armati che ragionano poco.
Lo scorso venerdì in via Sant’Andrea Avellino, intorno alle diciotto, negli attimi precedenti il blitz degli uomini del locale commissariato, nell’appartamento della compagna di uno degli affiliati, suocero di Fabio Magnetti, è in atto una trattativa tra i Petriccione-Magnetti e alcuni narcotrafficanti di Pianura. I nomi dei partecipanti all’enclave clandestina suggeriscono agli investigatori il motivo dell’incontro. Fabio Magnetti, sfuggito a due catture negli ultimi sei mesi, viene acciuffato con le mani nel sacco. Ventitré anni, detto ’o mocillo, numero due della Vanella, il padre Antonio in galera, il fratello Luigi ammazzato in un agguato, la mamma, Teresa, sorella del boss Salvatore Petriccione, preso a Roma dai carabinieri nel gennaio scorso. Una genealogia criminale che non lascia scampo. Per Magnetti e gli altri fermati, accusati di favoreggiamento, verso le ventidue sotto gli uffici del commissariato di Secondigliano si raduna una folla rivoltosa di amici e parenti. Un centinaio di persone che aspettano di sapere la sorte del ras, che imprecano. Per lui, secondo le ipotesi investigative, è stato ammazzato, lunedì sera a Miano, un colpo alla nuca e tre al volto, il diciottenne Marco Riccio. “Ha sgarrato” si dice in gergo, forse ha contribuito a mettere gli inquirenti sulle tracce del fuggitivo Magnetti. Marco Riccio, in precedenza pusher nel lotto P di Scampia, le “Case dei puffi” un tempo gestite da Raffaele Stanchi (conosciuto come Lello Bastone, ritrovato carbonizzato in un’auto data alle fiamme davanti al cimitero di Melito, a gennaio) da poco era migrato nelle fila di quelli della Vanella. Un cambio di casacca sospetto che, agli occhi della cosca, ha fatto di lui un informatore delle forze dell’ordine, una spia. Di qui la punizione. Codici senza parole. Come quello imposto dallo stesso clan nei mercatini e ai commercianti della zona d’influenza: niente pizzo ed estorsioni. Tutto finalizzato a lasciare che la compravendita di droga si svolga in tranquillità. Profilo basso per non attirare l’attenzione di polizia e carabinieri. Ed è così che vengono “proibiti” anche i borseggi; e le file di bancarelle, una volta troppo vicine per impedire il furto di portafogli e borsette, si distanziano permettendo finalmente di aprire meglio gazebo e ombrelloni.
L’afa riga il volto di sudore. Fa la conta degli spiccioli che gli ho dato. Le labbra screpolate mimano in silenzio il conteggio con le dita ossute, monetina dopo monetina. Solleva lo sguardo e mi promette che con quei due euro si comprerà un panino perché è da due giorni che non mangia. Indica il forno che sta di fronte. Piazzetta Giovanni XXIII è a ridosso di corso Secondigliano. C’è il pescivendolo, il bancolotto e perfino il ciabattino. Spaccato di una Napoli dell’antica periferia. Mi dice che ci metterà la ricotta dentro lo sfilatino. Non gli credo. È in crisi di astinenza, il tremolio e l’agitazione lo sbugiardano. Acquisterà la dose che gli serve per tenersi in piedi. Meno di trent’anni, ma ne dimostra di più. Faceva il tagliatore di pelli per calzature, Salvatore. In una fabbrica di scarpe a San Pietro a Patierno, poco lontano da lì, nel quartiere una volta famoso per l’artigianato e il commercio calzaturieri. La concorrenza del marchio cinese, la chiusura del laboratorio, la depressione, le liti in famiglia, la vita in strada, la droga. Un breve tratto di strada lo separa dalla Vanella Grassi. Non è Busto Arsizio. È Secondigliano. Dove non arriva il mare. Dove niente e nessuno è liberato. (claudia procentese)