La redazione di Napoli Monitor ha contattato in esclusiva l’agente FIFA Corrado Pessoa, manager “dietro le quinte” di fuoriclasse brasiliani e argentini, che nella splendida cornice dell’Hotel Cupido di Varcaturo ha parlato con sincerità e in modo appassionato di calciomercato, soffermandosi sulle trattative che riguardano gli azzurri.
Trinche: Il calciomercato 2012 sembra la naturale prosecuzione di questi anni di crisi finanziaria, anche nel mondo del calcio. Dieci anni fa il campionato italiano era quello più competitivo, ma anche quello che poteva permettersi tutti i fuoriclasse, con almeno cinque squadre disposte a sborsare palate di miliardi anche per giocatori mediocri. Ora si parla solo di fair play finanziario e spending review: Ibrahimovic, Thiago Silva e Lavezzi sono gli ultimi tre campioni che hanno deciso di andare via. In che direzione va il calcio italiano?
Corrado Pessoa: «Spariti i Cragnotti, i Sensi, i Cecchi Gori, i Tanzi, sono spariti i soldi. Ma ciò che più conta è che questi presidenti, che hanno contribuito indubbiamente al fallimento – inteso come bancarotta – del calcio italiano, erano comunque intenditori o quantomeno non sprovveduti in materia di futbòl. Coloro che li hanno succeduti sono invece investitori, imprenditori, persone che hanno dato l’ultima mazzata al calcio italiano perché del calcio, del gesto tecnico a loro interessa poco. Sono persone che non si emozionano col calcio, sanno solo amministrare il loro patrimonio per cercare di guadagnare e non affondare».
T.: Lei fa l’agente FIFA. Non si sente parte integrante di un sistema oramai corrotto, considerato che tra i suoi colleghi si aggirano figure quantomeno ambigue quali Mino Raiola e Bronzetti? Cosa fanno questi signori? Perché il loro apporto in una trattativa è diventato indispensabile per convincere un calciatore a trasferirsi?
P.: «Vede, io faccio questo mestiere da trent’anni ormai. Ho iniziato facendo l’osservatore per squadre della seconda serie portoghese. Portavo un rapporto alla mia squadra, la quale poi decideva se valeva la pena farmi seguire il calciatore più attentamente. Spesso si trattava di ragazzini delle giovanili. Dopo sette/otto partite ero in grado di prendere una decisione e consigliavo l’acquisto. Adesso i tempi sono cambiati. Allo stadio si va di meno, gli osservatori hanno applicazioni sull’I-phone che gli consentono di vedere le partite della serie C svizzera seduti comodamente sul gabinetto. Manca quindi l’approccio fisico al calciatore, e in questo piccolo vuoto si sono inseriti e riprodotti i procuratori. Sono quelli che, fondamentalmente, hanno i numeri di telefono dei calciatori dai quattordici anni in su e la faccia tosta di presentarsi alla società sparando cifre assurde. Tralasciamo Raiola e compagnia cantante, gente che pretende di intromettersi nella vita privata dei calciatori… Ho letto stamattina che Raiola consiglia ad Hamsik di sposarsi. Ma a Raiola nessuno ha mai detto che dovrebbe perdere peso…».
T.: Allora chi ha rovinato il calcio?
P.: «Nessuno. Il calcio marcio è quello dei soldi traboccanti, di quelle poche squadre europee che fanno cartello, delle rose composte da cinquanta giocatori. Poi c’è tutto un calcio ancora sano, che va dalla serie B in giù. Un calcio dove è possibile ancora vedere dribbling, colpi di classe, giovani esordienti e vecchi che deliziano platee sempre più ridotte; un calcio che ha ancora storie da raccontare, insomma. Se poi parliamo di calcio scommesse o partite vendute, beh, quelle ci sono sempre state. L’importante è non far mancare l’emozione, Ezio Vendrame docet. Diceva Zeman che “la grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza, in ogni angolo del mondo, c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi”. Io sto per abbandonare questo mestiere, non ho più la forza per andare in Brasile a vedere calciatori e arrivo sempre in ritardo rispetto ai procuratori. Ma ho riscoperto il calcio, vado a vedere le partite della squadra del mio quartiere».
T.: Perché è a Napoli?
P.: «Ferlaino e io eravamo amici. Ora con De Laurentiis non riesco a lavorare. Eppure ho enorme affetto verso i napoletani, a questa squadra voglio bene e cerco sempre di consigliare il meglio. Ferlaino aveva tanti difetti, ha speso miliardi fino a portare la società al fallimento, ma è stato un presidente vincente. Quando aveva lo stadio pieno chiamava la Rai e chiedeva che la partita fosse trasmessa in chiaro, per farla vedere agli ammalati di tutti gli ospedali. Proprio così diceva. Recentemente ho letto che i tifosi presenti in ritiro, per fare una foto alla coppa Italia, dovevano pagare un biglietto di dieci euro, solo giorni dopo giustificato dicendo che quei soldi sarebbero andati in beneficenza. Ci sono rimasto veramente male. Comunque, per rispondere alla sua domanda: sono a Napoli per cercare un colloquio con De Laurentiis e magari Bigon, cercare di aiutarli nel mercato. Non voglio un euro, solo desidero che la gente sogni ancora a Napoli».
T.: Perché, cosa c’è che non va, finora?
P.: «È un mercato triste. Perché i tifosi non possono sognare lo scudetto? Il campionato italiano ormai è livellato, sono due giocatori per squadra che decidono le sorti di un intero torneo. Perché il Napoli non può ambire allo scudetto? Non servirebbero spese faraoniche, solo accortezza e occhio per il talento. In Italia c’è poco divertimento. Chi ha quel pizzico di talento in più in squadra vince il campionato a mani basse. Behrami e Gamberini sono buoni innesti, niente di più. Se il Napoli avesse un ottimo centrale di difesa, un terzino sinistro dai piedi buoni e un centravanti di mischia, sarebbe la migliore candidata allo scudetto».
T.: Nomi?
P.: «Balzaretti va bene. Poi serve un tipo tosto, un Samuel per interderci, un campione, a meno che Fernandez non si dimostri valido anche in Italia. E poi un ariete, uno in grado di allentare quelle difese ostinate di squadre come Chievo, Siena e via dicendo. Reja per questo teneva Sosa in squadra, lo buttava in mischia negli ultimi trenta minuti. Denis per certi versi faceva lo stesso lavoro. Le partite si vincono anche con i gomiti, non sempre con i piedi».
a cura del trinche carlovich