Boscoreale, Terzigno, Ottaviano, Saviano, Marigliano, Brusciano, Somma Vesuviana, Castel Cisterna; quanti di voi conoscono questi posti o ne hanno mai sentito parlare? Castel Cisterna lo conoscete di sicuro perché è il paese di Di Natale e di Montella o ve lo ricordate come base di spaccio. Terzigno associato a cava Sari vi fa venire in mente qualcosa? Forse immagini di gente che dopo il lavoro senza darsi tempo nemmeno per cenare si mette in marcia a protestare, per poi essere fermata da carabinieri, polizia e militari che scortano i camion di rifiuti nella cava? Ottobre 2010 non è poi così lontano.
Potrei continuare con la discarica di Boscofangone a Marigliano e la più datata discarica Fungaia sul Monte Somma, rimasta aperta per trentadue anni ma che sarà causa di morte per molto più tempo. Ma non lo farò, perché non è questa la periferia che voglio raccontarvi. Il problema dei rifiuti certo non è risolto, ma oltre ai rifiuti qui c’è anche chi rifiuta di arrendersi e sceglie di continuare a investire le proprie energie in spazi dedicati allo sviluppo di progetti culturali, sociali, di crescita comunitaria che danno spazio alla creatività del territorio.
Iniziamo dalla zona più a est di questo breve tour in quello che ho ribattezzato come il Far East della periferia vesuviana. A Terzigno c’è il Museo di arte contemporanea “Salvatore Emblema” gestito dagli eredi del pittore morto nel 2006, pochi anni dopo aver aperto al pubblico nel 2002 la sua casa-laboratorio. Una delle attività principali del museo è la didattica. Da Emblema, bambini e ragazzi che spesso sono lontanissimi da questo mondo possono conoscere e sperimentare le potenzialità espressive dell’arte contemporanea. Il motivo centrale della poetica di Emblema è la trasparenza e questo valore si ritrova anche nel modo in cui viene gestito il museo e tutti i progetti realizzati.
La cura di mostre, eventi ma anche la relazione con il singolo utente si basa sul principio della trasparenza, ed è così che viene conservata la memoria dell’artista. La poetica di Emblema diventa quindi etica e politica del discorso curatoriale sviluppato dal direttivo del museo. Posso raccontarvi ancora un aneddoto che vi aiuterà a capire l’unicità di questo luogo: dal 1965, ovvero da quando Salvatore Emblema ritorna dal suo secondo soggiorno negli Stati Uniti, il cancello della villa-museo è sempre rimasto aperto. Questo mentre molte zone del Parco nazionale del Vesuvio sono invece chiuse ed è impossibile accedervi se non scavalcando, dove si può. Apertura e trasparenza che convivono, resistono, si contrappongono alla chiusura di spazi pubblici che diventano buchi neri per i cittadini che non possono più accedervi liberamente. Un ottimo esempio per chi dice che l’arte contemporanea non si capisce.
L’esigenza di avere spazi aperti in questo territorio – dove le istituzioni sono più impegnate a trasformarli in pattumiera, piuttosto che a renderli fruibili alla popolazione – porta alla creazione di zone autogestite. Questo è il caso del Torchio – Spazio per le arti, a Somma Vesuviana.
Lavoratori, studenti, registi affermati, ricercatori universitari, attori, maestri di danza, disoccupati, nullafacenti: nel Torchio c’è di tutto. Nel 2003 abbiamo preso uno spazio e da allora vengono prodotti e ospitati spettacoli teatrali, si organizzano cineforum, corsi di tammurriata, tango, danza del ventre e laboratori dedicati alle persone diversamente abili e ai minori. Il Torchio è una sfida a tutte le logiche che regolano la gestione di spazi. Autogestito, e ovviamente autofinanziato: l’importante qui non è fare le cose, ma come si fanno e la relazione che si riesce a creare con chi viene. L’interesse centrale è sempre stato quello di trasmettere e vivere il teatro come momento di socializzazione, strumento per raccontare e reinventare le tradizioni del posto. Questo, però, è anche un luogo dove affrontare temi ostici in modo scomodo. In uno spazio autogestito si può informare su temi come aids, violenza sulle donne, dipendenza, emarginazione, e non discuterne pro-forma, magari per realizzare l’evento di turno o mettere i simboli sul manifesto. Il fatto è questo: siamo nella zona rossa, il che è un po’ pericoloso, abbiamo poco tempo, e quindi bisogna sfruttarlo dando qualità ai rapporti che viviamo e all’incontro con ogni persona; o almeno questo è quello che ho imparato io frequentando la banda del Torchio.
Oltre a queste realtà ormai consolidate, ci sono spazi nuovi che arricchiscono la nostra cartografia della (ri)creazione, spazi come il Dada a Saviano.
Dopo anni passati a organizzare rassegne musicali e artistiche in piazza, in masserie, in posti dimenticati dalla cittadinanza e dai comuni stessi, o a suonare in spazi ancora più impensabili, con i gruppi musicali Nembrot e Progetto Silente, i tipi della ZeroSonicoRecords insieme ad altri amici si sono rimboccati le maniche, prendendo uno spazio e attrezzandolo per poter proporre musica dal vivo. Alla musica si accompagnano spesso esposizioni e performance artistiche. La particolarità del Dada inoltre sta nel continuare a dare spazio alle autoproduzioni, musicali e non. Anche il Dada sopperisce alla mancanza di spazi dove potersi confrontare, crescere e dove condividere le proprie esperienze. L’arte non ha spazi in questo territorio, e quando anche sono presenti è difficile ottenerli. Lo spazio pubblico è privatizzato, e da qui nasce il bisogno di creare in maniera autonoma spazi per esprimersi, nonostante le mille difficoltà per autofinanziarsi e gestire il tutto.
Il nostro tour nel Far East per ora finisce qui. Abbiamo visitato spazi legati a diverse forme di espressione: l’arte contemporanea, il teatro, la musica e ogni uno di questi spazi oltre al suo punto di forza ha un innato istinto a fondersi e mettersi in dialogo con le esperienze affini.
Spero vi sia venuta voglia di venirci a trovare, e che quando sentirete la prossima volta parlare di Terzigno, Somma Vesuviana e Saviano, non vi venga più in mente la montagna di rifiuti ma solo che qui c’è gente che vive e dà vita a discorsi umanamente densi, come il magma che sta sotto i nostri piedi, e trasparenti come tutti i momenti di incontro che coltiviamo. (daniela allocca)