In uno di quei giorni in cui ti svegli di buonora e cerchi di reagire all’inattività, alla disoccupazione, all’inoccupazione, andando in giro per la città a lasciare curriculum – bar, ristoranti, librerie, enoteche, negozi d’abbigliamento – mi imbatto in Marco, un conoscente che non vedevo da un po’, e tra una chiacchiera e l’altra gli chiedo se sa di qualche lavoretto per arrangiare. Il caso vuole che sia proprio alla ricerca di collaboratori per l’azienda con la quale lavora. Mi spiega di che si tratta, per grandi linee. La sua azienda si definisce come il più grande gruppo di acquisto in Italia, conta circa tre milioni di utenti ed è in continua espansione. Attraverso l’aggregazione dei consumatori per mezzo di una smart card, si propone come strumento per favorire il risparmio di famiglie e individui, “per ridargli potere d’acquisto”, come recita il volantino che mi viene mostrato. A detta loro, chi si fidelizza e spende nel circuito di aziende convenzionate (sia online con i maggiori brand della quasi totalità dei settori merceologici, che offline con i negozi sul territorio) accumula punti da rispendere nel circuito. Il lavoro consiste nell’andare in giro a regalare le card e spiegare il meccanismo alle persone e nel cercare di convenzionare più negozi possibili. Mi lascio convincere a partecipare a un meeting di presentazione del progetto per avere un quadro più dettagliato.
L’indomani Marco mi passa a prendere e raggiungiamo un albergo in provincia. Saluti e strette di mano tra chi già è in azienda, presentazioni, convenevoli e sorrisi per i nuovi arrivati, gli ospiti. La sala del meeting conta circa una cinquantina di persone. Ci sono alcuni giovani sui vent’anni ma il grosso sono adulti, signori e signore che pare abbiano tutti a che fare con il commercio: casalinghe esperte di vendite porta a porta e titolari di piccoli esercizi. Ci viene illustrato il progetto attraverso l’uso di slide, video e documenti introdotti e commentati da un signore sulla quarantina. La retorica anticrisi è il cavallo di battaglia, il mantra del consumo il suo feticcio: «È un periodo difficile, ma chi ha la capacità di adattarsi e innovare crea un nuovo spazio di mercato. Noi abbiamo la soluzione che garantirà vantaggi incredibili senza dover rinunciare alle abitudini di consumo». I vantaggi sarebbero le molteplici offerte che i vari gruppi imprenditoriali del circuito concedono per tenersi stretti i clienti fidelizzati; poi ci sono i punti che distribuiscono buoni sconto e acquisto, sempre nel circuito del nuovo consumo smart.
Come ci si guadagna da questo sistema è il principale interesse degli ospiti in platea. Un uomo risoluto dietro di me interviene a sollecitare informazioni. Il microfono passa allora nelle mani di un nuovo interlocutore, un giovane team manager. Tutto nel suo atteggiamento, nei gesti, nel modo in cui si relaziona attraverso l’uso di banali domande retoriche, è teso a instaurare fiducia nella grandiosità del progetto. Cerca di convincerci della facilità di guadagno nello sviluppare il sistema: ogni partner ricava una percentuale sugli acquisti fatti dai consumatori che usano la card che fa riferimento a te, un’altra percentuale è resa dai contratti chiusi con gli esercenti locali, che poi a loro volta fidelizzano clienti i cui consumi sono sempre riferibili a te; se poi coinvolgi degli amici che a loro volta coinvolgono altri amici nel sistema, su tutte le card che loro distribuiranno e sugli acquisti connessi avrai sempre una percentuale. Tutto viene illustrato con una serie di calcoli fumosi che hanno l’effetto atteso di produrre stupore. Si parla di incredibili rendite annuali, nella migliore delle ipotesi di duecentosessantamila euro l’anno, nella peggiore di tredicimila euro.
La meraviglia si diffonde nella sala. L’entusiasmo degli organizzatori è alle stelle, l’applausometro sale, sembrano davvero convinti: «Un nuovo modello di business, capace di rivoluzionare le regole di oggi, migliorare la vita delle persone, è l’inizio di un sogno, è lo Smart Marketing!». Nelle parole del team manager percepisco però qualcosa che stona. Sento come un tentativo malcelato di pressing su noi ospiti, come se ci volessero vendere qualcosa. Sarà solo colpa del nero patinato delle sue scarpe in assoluto contrasto col blu del vestito classico? Ecco così che nello spazio di una slide passata alla velocità della luce tutto si chiarisce. Le famose card da distribuire, la possibilità di chiudere contratti con esercenti locali e tutto il resto, si paga. Si-pa-ga! Ci sono vari pacchetti di card in vendita con prezzi che vanno da circa quattrocento euro per venti card a circa duemila euro per duecento card, ottenendo così lo status di partner dell’azienda.
Alberto, un ragazzo responsabile di alcuni negozi di abbigliamento, barbetta curata e jeans alla moda, condivide con me alcune perplessità, sguardi d’indignazione e sconforto: «Il lavoro garantisce lauti profitti solo a chi è in cima alla piramide e qualche briciola agli altri. Una catena di Sant’Antonio modernizzata. Di smart sembra esserci solo la furbizia e la cattiva coscienza di adescare persone con difficoltà di reddito. Forse abboccheranno al trucco e pagheranno per il pacchetto ma poi, accortesi della fregatura, non gli resterà che coinvolgere qualcun’altro per recuperare almeno i soldi spesi e il circolo continuerà così, tutto a beneficio di chi lo ha iniziato».
Ormai ogni cosa è valorizzabile in termini aziendali: i contatti, le relazioni, le amicizie, gli affetti. Qui però la strategia è condita con una enfasi buonista del tipo: “il vero successo è tale solo se lo è per tutti”. Con il linguaggio dell’innovazione che cerca di far passare per nuove idee già demodè: smart marketing, network marketing, multisettorialità, bottom up. Le vecchie strategie multilivello dove si vende qualcosa agli amici convincendoli a vendere a loro volta, con un effetto a cascata. Inoltre, un subdolo riciclaggio dell’idea dei GAS (i gruppi d’acquisto solidale) ma in un’ottica di puro business, per niente solidale. Qualcosa che ha più a che fare con il tentativo di rimettere in moto la macchina dei consumi per i grandi marchi in crisi. Indifferentemente.
Finito il meeting, un giovane partner dell’azienda, alto e con la barba appena fatta a giudicare dalle irritazioni cutanee, mi chiede insistentemente cosa pensi dell’idea. Appresa la mia contrarietà parte con un infimo attacco psicologico: «Ma se non sei disposto a investire nemmeno quattrocento euro su te stesso come credi di poter emergere nella vita? Ci devi credere, ci devi credere. Credere in questo sistema è la prima cosa per guadagnare». Per fortuna Alberto mi offre un passaggio a casa. Raggiungiamo finalmente Napoli.
Salendo le scale di casa, alcune parole mi spuntano in mente: in un incontro che illustrava a una platea di giovani i contenuti della riforma del lavoro, l’attuale ministro Elsa Fornero li invitava a non essere choosy, schizzinosi, nel cercarlo. In un periodo del genere non bisogna rifiutare occasioni di lavoro, seppure queste ci sembrano negative o non in linea con la propria formazione. E penso a quelle ore passate ad ascoltare imbonitori che col pretesto di offrire un lavoro mi volevano vendere un pacchetto di card che sarebbero dovute diventare la mia attività. Come una licenza di imbroglio legale. Penso invece al valore di credere in un’attività onesta che non debba insinuarsi tra le difficoltà della gente, che contenga in sè la vocazione di una persona. Penso all’importanza di essere choosy. (orlando)
By luca December 6, 2012 - 11:11 pm
sei un grande! finalmente una persona cha capisce qualcosa, ci siamo fatti il mazzo per laurearci (magari prima dell’insulto dei 3+2) e oggi non dobbiamo essere choosy mentre gente della nostra età magari senza nemmeno titoli di studio continua a poter esercitare professioni solo perchè hanno esperienza….mentre noi dobbiamo sempre aggiornarci….qualche settimana fa mi sono iscritto ad un corso pagato dalla mia provincia e mi han fatto pesare il fatto di essere ingegnere e che comunque loro dai laureati pretendono uno sforzo maggiore…bella storia se ti sei fatto il mazzo prima te lo devi contiunare a fare, se invece non hai mai studiato niente puoi contiunare a non studiare….dovremmo essere molto piu choosy invece! non abbassarci a lavori dequalifincanti mentre nostri coetanei senza titoli continuano a firmare progetti