«Ti ricordi quando, poco prima di capodanno, c’è stato il black out elettrico a Chiaia e al Vomero?». «Si, ricordo qualcosa, ma non me ne sono accorto, abito da un’altra parte». «Il fatto – incalza l’amico – s’è ripetuto anche il giorno dopo e di nuovo sul lungomare, oltre che a piazza Municipio. Ti dice qualcosa questo?».
«No, francamente non so. Perché? Cosa vorresti dire?», chiedo all’amico che, intanto, s’accalora nel discorso. «Ma è evidente! Cosa era in programma due giorni dopo? La festa dell’ultimo dell’anno sul lungomare liberato!». «E allora? Poi, lo sai, l’ho passato fuori il capodanno», replico facendo fatica a seguirlo nella foga del suo ragionare.
«Un ricatto bell’e buono al sindaco! Se non ci paghi facciamo saltare la festa, è stata la società elettrica a farlo!», esclama l’amico con l’aria di chi sta rivelando un segreto. «Due black out in due giorni? Proprio a Chiaia e sotto capodanno? Non è possibile!».
«Guarda che dove abito io l’elettricità salta quasi ogni settimana, anche più volte di seguito, e nessuno pensa a complotti: mò ti accorgi che questa città è allo sfascio!», ribatto iniziando a sorridere della sua agitazione.
Ma lui non m’ascolta e continua: «Non può essere una coincidenza, due indizi fanno una prova! Infatti, che stava scritto sul Mattino l’altro giorno? Che l’Enel deve avere quaranta milioni dal comune e questi soldi non ci sono. Ecco che tutto torna! I black out non sono casuali, ma una forma di pressione sull’amministrazione! E non è finita qui, la cosa è ancora più complicata. Seguimi: quelli magari si accontenterebbero anche della metà, basterebbe una transazione, ma il comune non può fare un accordo solo con un creditore, anche se sarebbe conveniente, perché nei pagamenti deve seguire l’ordine cronologico e ci sono centinaia, che dico…, migliaia di creditori che vengono prima. Ci sono ditte che aspettano dal 2008! Per questo c’è una manovra per far cadere De Magistris!».
Le sue affermazioni si susseguono rapidamente precipitando in un’angosciata congettura: «Non ho dubbi – dice – vogliono far cadere De Magistris! Tutto quadra … anche la manifestazione che hanno fatto a Chiaia contro la zetatielle e, poi, queste agitazioni dei comunali, la Corte dei conti, gli ispettori del ministero … tutti contro l’amministrazione! Vogliono costringere De Magistris a dichiarare il dissesto!».
«Non so – m’azzardo a dire – ma se il comune sta sull’orlo del fallimento non sarebbe meglio dirlo?». Non l’avessi mai detto! Mi fulmina come un bolscevico avrebbe fulminato il rinnegato Kautsky (marxista “moderato”, critico di Lenin e della rivoluzione russa): «Non capisci niente! A Napoli De Magistris ha avviato una rivoluzione e, profittando della crisi, il regime la sta bloccando! Se si arriva al dissesto, l’amministrazione si scioglie e viene un commissario del governo».
«Quale rivoluzione?», provo a buttarla in scherzo per quietarlo un po’. La sua voce, però, si fa stridula e ostile mentre passa a gridare: «Ripeto! Non capisci niente! La differenziata, le zetatielle, la pista ciclabile, l’Albergo dei poveri ai poveri, tutta la pratica dei beni comuni sono atti rivoluzionari! Non ti rendi conto che minacciare il buio sul lungomare liberato la notte di capodanno è come zittire una voce, impedire il cambiamento, seppellire la speranza? E poi, piuttosto: quale crisi? Napoli ha quasi due miliardi di debito, è vero. Ma che sono rispetto ai venti che, si dice, avrebbe Roma?». Fa una pausa e, poi, conclude in un grido: «Dovresti saperlo! La crisi è un fatto politico, la usano per strangolarci!».
Adesso tace, infliggendomi uno sguardo severo. Il suo «Dovresti saperlo!» mi ha inchiodato alla coscienza del progressista, a quel dover essere per cui in ogni cosa non c’è alternativa tra progresso e reazione, per esempio tra gas di scarico e aria pulita oppure tra rifiuti inceneriti a Napoli piuttosto che in Olanda, con la fatale conseguenza che se non stai con me stai contro di me.
M’insinua un dubbio. Il dubbio che il disincanto del cittadino ignaro delle grandi manovre del potere, anche il buon senso dell’abitante che s’interroga sullo stato della sua scassatissima città, persino l’ironia con cui, a volte, sublimiamo le avversità siano colpe, così evito di ribattere, tantomeno di chiedergli, che so?, se le navi di monnezza indifferenziata in viaggio verso l’inceneritore di Rotterdam o altre trovate dello stesso tipo sono frutto della rivoluzionaria potenza immaginifica dell’amministrazione. Oppure no, non ho colpe, non sono un reazionario, non sono obbligato a scegliere tra queste alternative.
Intanto, lui, profittando della mia incertezza, riprende «E forse non sai nemmeno che ….», non lo faccio finire e mi spengo in un profondissimo black out. (carneade)