Da questo inizio 2013, per necessità di studio, mi ritrovo a fare il pendolare lungo la direttrice sud-ovest della capitale. Per essere precisi, parlo del tram numero 8, che collega il centro (largo Argentina) alla zona occidentale della città (Casaletto). La vita del tram in questione – ribattezzato ottovolante nei primi mesi di vita, a causa della reiterata attitudine agli incidenti – è cominciata nel lontano 1998, in occasione dell’imminente giubileo. Da allora, però, ancora attende il completamento di quella centinaia di metri di binari che lo separano dal capolinea (solo preventivato) di piazza Venezia. Ci sarebbe molto da riflettere sulla rete tramviaria della capitale, dismessa troppo in fretta – si è passati dalle quarantadue linee del 1926 alle sei attuali – perchè penalizzante per il sempre maggiore numero di auto; verrebbe, tra l’altro, alla luce delle enormi difficoltà che si incontrano ogni qualvolta si scavi nel sottosuolo, da domandarsi come sia possibile non catalizzare risorse sulla costruzione o sul ripristino delle linee tramviarie, che come è noto sono anche altamente ecologiche.
Non avendo mai concretizzato il mio attivismo politico nella militanza partitica, e trovandomi impreparato sulle tecniche di propaganda, ho sempre pensato che una efficace campagna elettorale, oltre che a avere luogo in piazze e teatri, potrebbe svolgersi sui mezzi pubblici, quantomeno nell’interesse (ammesso che ci sia) di capire le esigenze della comunità. Certo, in una città trafficata come Roma il servizio pubblico è utilizzato principalmente da chi non può permettersi una macchina, o i salassi necessari per garantirsi benzina e parcheggio quotidiani. E quindi la mia neonata idea di una campagna elettorale via autobus, metro e tram, risulterebbe poco interessante (o addirittura pericolosa), per politici che si troverebbero a fronteggiare un’audience di pendolari o immigrati, a cui neanche arriva la tessera elettorale. E così, in qualche modo, decido di interessarmene io della cosa.
Comincio dagli autobus che mi permettono di arrivare alla fermata del tram della stazione Trastevere, e già qui mi accorgo che altissima, nei giorni festivi, è la concentrazione di immigrati, che ne approfittano per raggiungere vari luoghi della città e trascorrere la giornata con gli appartenenti alla propria comunità. Inoltre, ma questa è storia nota, è facile notare come, a seconda del quartiere, cambino le affissioni dei manifesti elettorali, di varie forme e colori. È giusto spiegare, per chi non abbia percezione della suddivisione “geopolitica” della capitale, che in molte zone della città i manifesti dei partiti del fu “centrodestra” non sarebbero praticamente mai stati affissi negli ultimi anni, se non fosse stato per “il lavoro sporco” di Casapound e soci. E che quindi, questa volta, la candidatura diretta dei camerati del terzo millennio, abbia fatto di molto calare il numero di Vota Berlusconi & co.
La stazione Trastevere – il punto dove prende il via il mio viaggio – è un tipico avamposto di snodo dei trasporti cittadini. Qui convergono un tram, il treno che porta all’aeroporto di Fiumicino, e la linea ferroviaria che si muove parallelamente all’Aurelia, e quindi arriva verso Civitavecchia e Pisa, passando per San Pietro. Per non farsi mancare nulla, Trastevere è anche il capolinea di autobus che vanno a sud e ovest della città. Caratteristico di ogni crocevia polivalente, non manca il bar aperto ventiquattr’ore ore su ventiquattro, e la camionetta di esercito o forze dell’ordine che presidia il piazzale antistante, senza però influire minimamente sul numero di borseggi, qualche rapina e truffette di varia entità. Superate le piscinette che si creano tra marciapiedi e asfalto dopo qualche ora di pioggia, e che spesso portano i passeggeri a improvvisarsi concorrenti di innovative prove dello storico “Giochi senza frontiere”, finalmente metto piede nel tram, che completa la sua fase di ricambio-passeggeri lasciandosi alle spalle i dipendenti statali (dal capolinea di largo Argentina ci sono ben due ministeri: Giustizia – quello fatto di gomma su cui rimbalzano i lacrimogeni – e Istruzione) e accogliendo invece chi un lavoro non ce l’ha, oltre al solito folto gruppo di anziani.
Forse è proprio per questo che una volta messo piede sul tram prende vita un climax estremista che di fermata in fermata mi porterà al monopolio della destra e della sua corrente extra parlamentare. Unica eccezione è un riparatore di frigoriferi, che all’altezza dell’ospedale San Camillo si scopre sostenitore del Movimento cinque stelle. Prima del San Camillo, però, c’è la fermata a piazzale Dunnant, una sorta di confine ideale tra Monteverde “vecchio” e “nuovo”. I due lati del quartiere, nonostante la distinzione, sono stati entrambi istituiti nel piano regolatore del 1909, con l’unica differenziazione che la parte nuova ha completato il suo sviluppo negli anni Settanta, mentre le pasoliniane vie di Fonteiana e Carini – teatri delle scene dei ragazzi di vita, nonché residenze dello stesso Pasolini – si fondano sulla costruzione degli alloggi popolari durante il ventennio, che si aggiunsero ai villini di medici e professionisti accorsi per la vicinanza dell’ospedale Littorio (attuale San Camillo).
Alla fermata Dunnant si segnala una signora che, al cellulare, riferendosi all’avvio della procedura on-line per la pre iscrizione all’anno scolastico 2013–14, sottolinea alla propria interlocutrice come fosse stata avvisata preventivamente della cosa direttamente dalla mail dal comitato della Meloni. Giunto alla fermata San Camillo lasciano la vettura tutti coloro che per qualche motivo hanno a che fare con l’ospedale: la maggior parte sono familiari – è rimasta la tradizione per i dottori abitare nei dintorni – senza tralasciare l’elevato numero di chi in una giornata di pioggia o di solitudine preferisce farsi cullare dal movimento del tram, scoprendosi, talvolta, a ragionare ad alta voce.
Superato largo Ravizza, sede di un edificio padronale che è oggi una scuola, e che affaccia sugli omonimi giardini di quello che fu un villino novecentesco, giungo alla fermata San Giovanni di Dio, dove è situato un mercato stile suq, da venti anni in procinto di essere ristrutturato ma dove ancora non si vedono cantieri. Il mercato, negli anni, si è trasformato da melting pot di venditori locali (si segnalano, e consigliano, i coltivatori diretti sul lato del tram) a ritrovo di culture extra-continentali, tanto che buona parte degli immigrati che scendono dal tram si apprestano a far la spesa tra i banconi.
Finalmente il tram giunge a destinazione, al capolinea, dove incontro il bel faccione di Di Stefano, il candidato alla presidenza della regione di Casapound, che ha preso il posto di Storace – ancora tu – nella cartellonistica elettorale locale. È qui che scendono gli ultimi passeggeri. Il capolinea del Casaletto è la porta d’accesso per le zone di Bravetta, Trullo e Portuense, dove sono confluiti molti immigrati alla ricerca di un alloggio a poco prezzo, visti i costi spropositati delle zone centrali e semicentrali. Saluto il tram e questo viaggio, mentre una nonna cerca di placare la vivacità della nipotina teorizzando un suo possibile furto da parte degli zingari. (maurizio zamarra)
By Sara Favilla February 12, 2013 - 10:12 pm
Alloggi a poco prezzo a via di Bravetta? affitti e prezzi di vendita sono praticamente identici (se non più alti) a quelli di Monteverde. Dico cosi perchè ho cercato tantissimo in zona e proprio nulla di abbordabile . Poi più ci si avvicina all’Aurelia Antica o all’ambasciata del Vietnam e più i prezzi salgono vertiginosamente….