Un paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che quando non ci sei resta ad aspettarti. [Cesare Pavese, La luna e i falò]
Ore 9.00 del mattino. Ventidue settembre, Fragneto Monforte, provincia di Benevento, nel cuore del Sannio. È il giorno dell’ “Eco-marcia”, manifestazione organizzata dai ragazzi del Forum giovanile del paese per manifestare contro la presenza di rifiuti tossici mascherati da ecoballe. La partenza della marcia è posticipata di mezz’ora: si spera che prendano parte al corteo tutte le duemila anime che popolano il paese. L’indifferenza che da anni regna in questo luogo ha reso ciechi, sordi e muti i suoi abitanti, e alla fine solo una piccola rappresentanza del paese, formata da giovani, adulti e bambini, parteciperà attivamente. Eppure da ormai dieci anni i cittadini convivono con la presenza di rifiuti tossici che distruggono anno dopo anno i terreni e mietono vittime.
La marcia parte da piazza Vittorio Emanuele, al centro del paese, in direzione Toppa Infuocata, luogo in cui stanziano le ecoballe fumanti, ormai sotto sequestro dalla procura di Napoli da diversi anni e nuovo passatempo del sabato sera. È infatti da qualche tempo consuetudine appiccare fuoco alle ecoballe anziché dedicarsi alla movida serale. Che siano atti di vandalismo, disperazione per la puzza, o incendi dolosi alle cui spalle si nascondono interessi economici (difficoltà da parte di chi di dovere nelle operazioni di smaltimento?) è difficile saperlo.
Nel frattempo in piazza arrivano cinquanta persone, poi sessanta, ottanta, cento. Si mostrano striscioni di protesta e di rappresentanza: “Noi ci rifiutiamo” è il più gettonato. O ancora: “La nostra terra è avvelenata”, e “I vostri soldi sono più sporchi dell’immondizia”. Spunta anche un: “Campania munnezzaro d’Italia – comune di S. Arcangelo Trimonte”. Urla improvvise rompono il silenzio mentre si procede verso il sito: “Io non voglio morire”, grida qualcuno. Intanto cominciano i cori contro le istituzioni: lo Stato, la regione, la provincia. Sono i ragazzi del centro sociale Depistaggio di Benevento, anche loro qui a marciare. Tra la folla si intravede un gruppo di bambini con mascherine che coprono naso e bocca. Forse loro non sanno cosa fanno qui oggi, sono solari e allegri, ma basta osservarli attentamente per notare tra un sorriso e l’altro le facce disgustate per il cattivo odore e lo scenario che gli si presenta davanti. Negli adulti il disgusto si trasforma in vergogna, per il fumo nero sprigionato dalle balle perennemente in fiamme e per l’aria ormai insana, satura di diossina.
C’è chi vive la giornata come una giornata di lutto, una marcia personale silenziosa. Molti hanno perso un parente, un amico per un tumore (il tasso dei morti di cancro è arrivato dal 5% del 2002/2003 all’odierno 37%). C’è chi invece cerca di coinvolgere i presenti raccontando gli antefatti e le personali considerazioni per possibili soluzioni future. Ci sono rappresentanze di paesi limitrofi: Ponte, Fragneto l’Abate, Pesco Sannita; i sindaci e gli assessori di Pontelandolfo, Sassinoro, Reino, S.Arcangelo Trimonte, a dimostrare che il problema del sito di stoccaggio di Toppa Infuocata riguarda anche loro. È un problema ambientale, ma soprattutto umano. Arrivati al sito il presidente del Forum, Antonio Guglielmucci, introduce l’assemblea con poche parole. Il concetto è piuttosto semplice: «Siamo giovani e non vogliamo morire». Interviene il sindaco Caputo, che cerca con un breve discorso di fare il punto della questione: «La situazione è drammatica perché le istituzioni e gli enti coinvolti mostrano tutta la loro indifferenza e una innaturale immobilità per condizioni di totale emergenza».
Di incendi dolosi, in un’area sotto sequestro, se ne contano più di quattro in un mese. Le falde acquifere sono inquinate per la mancanza di condotti idrici adeguati alla struttura del sito. Il suolo e l’aria sono contaminati dalla presenza di rifiuti “organici e di natura non definita”. La sorveglianza è assente o poco presente perché non retribuita dalla società Samte (creata dalla Provincia per sopperire all’assenza della Fipe, società proprietaria delle ecoballe, semiscomparsa a causa degli arresti dei dirigenti).
Qualche settimana fa il ministro dell’agricoltura Nunzia De Girolamo, insieme a una rappresentanza delle forze dell’ordine, ha presieduto una assemblea cittadina nel paesino sannita: «Caro sindaco e cari cittadini, sia chiaro: io non ho la bacchetta magica, ma nel limite delle mie forze e possibilità nel ruolo di ministro prometto di attivarmi per aiutare voi e il mio territorio a risollevare la situazione. In primis intensificherò la sorveglianza con uomini del corpo forestale di cui sono a capo. Il monitoraggio deve essere di ventiquattr’ore su ventiquattro, anche con mezzi di tecnologia avanzata se necessario. Salvaguardiamo il nostro territorio, facciamo un lavoro di squadra». Verrebbe da complimentarsi con il ministro per le belle parole di conforto; ma a quanto pare non sono state sufficienti a risollevare la situazione né a placare il fuoco: da sabato notte ventiquattr’ore non stop di fiamme e nuvoloni di fumo. Forse la guardia forestale e le forze dell’ordine non erano presenti, o forse erano troppo poche le pattuglie attive nel sorvegliare un sito imponente, ubicato in un’area troppo vasta e buia per essere “salvaguardato”.
Ancora la De Girolamo: «E poi ragazzi, non autoflagelliamoci. Non diciamo che i nostri prodotti non sono buoni, che la nostra agricoltura non ha futuro. Così ci massacriamo da soli, ci autodistruggiamo e siamo fuori dal mercato». Un paese in cui il settanta per cento della popolazione vive di agricoltura, in cui l’unica ricchezza con la quale garantire un sostentamento alle famiglie era l’investimento nel settore primario, garantendo agli acquirenti aria, terreno e acqua puliti e quindi prodotti sani, non è interessato a farsi cattiva pubblicità. Anche gli agriturismi rischiano il fallimento, perché è evidente per chi viene da fuori che quella di Fragneto Monforte e dintorni è ormai una realtà malsana.
Alla fine della giornata resta la consapevolezza di non poter risolvere un tale problema con una sola manifestazione. Allo stesso tempo la partecipazione a iniziative di questo genere, capaci di fare informazione su ciò che è accaduto, sta crescendo nella zona. Certo, serviranno ulteriori sforzi per coinvolgere chi ancora non si sente toccato dal problema, ma forse è proprio la volontà di non emulare altre tristemente note realtà a far sentire ancora i fragnetani vivi. (angelica simeone)