Da Repubblica Napoli del 21 novembre
Il 20 novembre è stata la giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza, istituita per ricordare l’approvazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Senza sminuire la dimensione internazionale che ci propone la sensibilizzazione alle condizioni insopportabili in cui vivono milioni di bambini in diversi paesi del mondo, in Italia la ricorrenza potrebbe essere l’occasione per condividere una riflessione più approfondita, visto che possiamo fare un bilancio di quindici anni di applicazione della Legge 285 del 1997, che ha dato le disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza. Si tratta della legge quadro che meglio ha cercato di attuare i contenuti della Convenzione. La riflessione istituzionale locale è stata molto carente, limitandosi a produrre alcuni documenti illustrativi delle cose fatte. In questi giorni alcune organizzazioni che in città realizzano i laboratori di educativa territoriale, nati a Napoli nel 1998 proprio con il piano comunale dell’Infanzia, finanziati con i fondi della legge, realizzano iniziative per proporre una riflessione in merito.
La spesa pubblica per migliorare le condizioni di cura e crescita dell’infanzia è dell’adolescenza è sostanzialmente un investimento sul futuro. Basta ricordare gli argomenti dei premi Nobel e di tanti studiosi dell’economia e dei modelli di sviluppo. D’altra parte vi sono anche argomenti di senso comune. Ma il conformismo, la cultura diffusa intrisa di individualismo e massimalismo di fatto disconoscono questi argomenti. La spesa pubblica procapite per i bambini delle città del Sud è nettamente inferiore a quella delle città delle altre zone del paese. Per questo il governo ha stanziato milioni di euro per potenziare, per esempio, i servizi alla prima infanzia ma lo stato della progettazione delle diverse municipalità a Napoli giustifica molte preoccupazioni sul buon uso di queste risorse.
Anche il Ministero del welfare sta evitando una valutazione complessiva degli esiti della Legge 285 che d’altra parte ha visto una riduzione progressiva delle dotazioni finanziarie. Napoli, insieme a poche altre città, sconta difficoltà di rendicontazione dei fondi avuti negli ultimi anni e sembra molto debole un pensiero generale sul senso delle iniziative che pur si continuano a realizzare. I laboratori di educativa territoriale, di cui chi scrive è stato il progettista iniziale insieme a Giovanni Attademo, sono stati fra le realizzazioni più efficaci dei piani comunali dell’infanzia. Hanno consentito di costruire e sostenere una piccola infrastrutturazione di servizi di aggregazione pomeridiana per bambini e adolescenti che almeno in una quindicina di rioni con forti fragilità sociali hanno trovato un approdo, ascolto, cura, sostegno socio-educativo da parte di animatori ed educatori qualificati. Anche questa azione ha subito i travagli della spesa sociale e ancora una volta, in molti quartieri, c’è il rischio di chiusura di questa attività da Natale.
Il comune che dovrebbe avere una sinergia costruttiva con la regione – la quale dispone di più consistenti risorse – dovrebbe essere capace di avviare una fase veramente nuova. L’assessore deve fare e condividere un bilancio serio ed equilibrato, libero da conformismi con gli esperti, i referenti delle organizzazioni che da anni realizzano questi servizi. Una riflessione tesa a riconoscere meriti e valori certamente prodotti in questi anni, individuando però anche criticità e ridando un più complessivo orizzonte di senso alle diverse poche politiche in campo.
Diffido di una visione semplicistica che immagina una facile messa in rete di tutte le risorse. La razionalizzazione è un’impresa difficile ma oggi indispensabile. I laboratori di educativa territoriale possono divenire una sorta di casa dei diritti dei bambini che in ogni rione, con maggiori risorse per quelli dei quartieri più disagiati, costituisca una sorta di missione locale che assicuri l’animazione socio educativa per almeno un centinaio di bambini. (giovanni laino)