Si continua a sfilare, a Sofia, con convinzione, per le strade della città, anzi la rivolta ha preso sempre più energia nelle ultime settimane. Un po’ controversa ma significativa è stata l’occupazione dell’università, a un tiro di schioppo dal parlamento. Che gli studenti – il numero maggiore di manifestanti durante questo freddo autunno – annuncino o meno proteste, il dispiegamento di forze di polizia è comunque notevole. Sabato scorso è stato invece il giorno della manifestazione pro-governativa. In quell’occasione i poliziotti erano pochi, nonostante il numero elevato di partecipanti al corteo. La maggior parte delle forze dell’ordine era impiegata nel derby tra il CSKA e il Levsky Sofia, per il quale la tensione era molto alta. Buona parte del centro era chiuso, per permettere ai due gruppi di tifosi di raggiungere lo stadio senza creare disagio. Al passaggio davanti l’ambasciata turca, alcuni ultras hanno iniziato a lanciare petardi, accompagnando l’azione con fischi e ingiurie. Per tanti, in Bulgaria, è ancora vivo lo spettro della dominazione turca, cosa che permette il consolidarsi di partiti come l’ATAKA, nazionalista e conservatore.
Una risposta da parte del governo, che di solito preferisce rimanere silenzioso, c’è quindi stata. L’imponente sfilata governativa ha ricoperto di manifestanti lo stradone che costeggia la cattedrale, arrivando fino al palazzo del presidente. Il sostegno nei confronti del governo del socialista Oresharski era incondizionato. L’esecutivo, secondo i manifestanti scesi in piazza sabato, si è schierato fin dal suo insediamento in appoggio alle classi popolari del paese, a cominciare dai tantissimi pensionati, scesi anche loro in strada in risposta alla manifestazione che più o meno contemporaneamente si teneva a Plovdiv. Lì, il corteo era in solidarietà al deposto governo Borisov, uomo di punta del GERB, partito di destra.
È uso abbastanza comune che i manifestanti pro-governo ricevano tramite il partito di maggioranza un contributo economico per partecipare ai cortei, e anche in questa occasione la piazza sembra essere molto eterogenea. C’è un gran numero di rom, che di norma in città svolgono lavori (spazzini, molto spesso) retribuiti in maniera quasi nulla. Molti di loro, quando mi qualifico come italiano si voltano sdegnati dall’altro lato. Questa piazza in qualche modo è l’immagine della Bulgaria attuale, un paese dove tutto è in fase di crollo, ma che allo stesso tempo vede una fascia numerosissima di popolazione rimanere avvinghiata allo status quo, aggrappata a uno sfacelo ormai prossimo.
È il primo pomeriggio di domenica. Tutto tace, il parlamento è deserto. Qualche poliziotto dietro le barricate osserva i passanti e i curiosi. Sembra questa la normalità, ormai, come se la presenza della barricata piena di scritte anti-governative fosse parte dell’architettura cittadina. Qualche centinaio di metri più in là, alle spalle del palazzo del governo e residenza del presidente, un gruppo di persone in cerchio danza al ritmo di una danza balcanica, le cui sonorità ricordano il sirtaki greco. Un uomo con cappello a sonagli, bandiere bulgare e passi ipnotici, spiega di esser lì «per la Bulgaria. Perché lo spirito del nostro paese non si deve perdere. Quello che succede non deve corrompere quello che siamo». Al calar del sole le proteste ricominciano, come ogni sera. Ci sono giornate in cui la rabbia esplode in maniera più decisa, altre in cui la notte passa in maniera tranquilla. Questa sera si canta e si balla, soprattutto, e mentre il tamburo suona più forte che mai le grida contro il governo si levano alte.
Nella giornata di mercoledì la protesta raggiunge nuovamente dimensioni eccezionali. Sono previsti tre cortei, partiti da diversi punti della città, poi ricongiunti nei pressi del parlamento. La maggior parte dei manifestanti è costituita da studenti, soprattutto universitari. La sorpresa riguarda il numero di partecipanti provenienti dalle sigle sindacali. Sono oltre seimila i lavoratori che muovono verso il palazzo. Alcuni boscaioli agitano le proprie motoseghe in aria in segno di protesta; gli studenti simulano un’azione di guerra con tanto di carri armati e fucili di cartone. Davanti al muro antisommossa va in scena una vera e propria conquista del palazzo, mentre decine di ragazzi strisciano come soldati avanzando verso l’edificio. All’improvviso, gli studenti parcheggiano i carri armati, raccolgono le armi di cartone e gli danno fuoco proprio sui muri della barricata. Impassibili i poliziotti al di là del muro, nonostante le fiamme.
Il senso di tutto ciò ricalca le rivendicazioni alla base delle proteste che in questi mesi hanno coinvolto il paese. La conquista dei diritti e della democrazia, in questa fase, è ricercata soprattutto attraverso un intervento e una lotta non violenta. Tsvetozar Valkov è uno dei leader delle proteste di Sofia, e prende continuamente le distanze dalle azioni più dure che negli scorsi giorni hanno avuto luogo: «All’inizio eravamo oltre cinquantamila. Ora siamo di meno, ma la gente passa di qua e torna a fermarsi, dà il suo sostegno. Gli studenti hanno fatto molto con l’occupazione dell’università ma ora dobbiamo rilanciare la lotta. Ogni giorno cercare una piccola conquista».
È sera. Di fronte al parlamento vi è un uomo nudo, fatta eccezione per le mutande. I suoi pantaloni sono legati all’inferriata mentre una serie di cartelli in diverse lingue, evidentemente diretti ai media stranieri, spiega la situazione. Il suo nome è Vassil, è di Plovdiv ed è venuto questo pomeriggio a Sofia per dimostrare il suo dissenso contro il governo. Sui cartelloni c’è un invito ai “padroni” dell’Unione Europea. Vassil gli chiede di andare in Bulgaria, subito, per rendersi conto della situazione politica. «Meglio senza pantaloni che senza morale», recita il cartello più grande, che Vassil mi indica quando gli chiedo perché sta protestando in quella maniera. Poi, all’improvviso, si decide a parlare: «La maggior parte delle persone non si interessano della situazione del paese. I bulgari sono persone semplici, ma la nostra semplicità è anche il nostro problema. Il nostro è un governo e una democrazia giovane, ma sembriamo non essere in grado di gestire la cosa. Ho paura che a breve la protesta possa fermarsi. Le famiglie vivranno le loro giornate come sempre hanno fatto: mangiare, lavorare, portare i bambini a scuola, e il governo, anzi questo sistema di governo così marcio e corrotto si consoliderà sempre di più». Vassil ha vissuto a lungo all’estero: in Norvegia, in Inghilterra, poi a Tallin e in Ungheria. Non ha moglie né figli, e tantomeno un lavoro. Sostiene che lavorare o meno non faccia differenza, «talmente sono miseri gli stipendi e nulla è l’assistenza da parte dello stato».
Mentre parliamo, mosso da chissà cosa, un altro grande gruppo di manifestanti ha raggiunto la piazza. Contemporaneamente al loro arrivo uno spiegamento supplementare di poliziotti si aggiunge a dare man forte ai propri colleghi. Come una partita a scacchi, è tutto fermo, tra una mossa e l’altra. Mentre il freddo si fa sempre più pungente e Vassil è ancora lì, in mutande davanti ai suoi cartelli. (emanuele gaudioso)
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