A Capua vivono circa duecento rom provenienti dalla Romania in vecchi edifici sprovvisti delle forniture di base, circondati da cumuli di immondizia che sono diventati ormai una piccola discarica illegale. L’area, ampia e non lontana dal centro, è denominata “Campo profughi – ex CAPS”, di proprietà dello Stato Italiano, e ha funzionato come centro di assistenza di profughi stranieri fino al 1990. Vista l’emigrazione massiccia di rifugiati polacchi negli anni ’86-87, una volta che il centro è stato chiuso, è stato stipulato un accordo tra il ministero degli interni, la prefettura e il comune di Capua che ha permesso a questo gruppo di rifugiati di continuare a vivere lì. Le palazzine sono adiacenti a quelle dove vivono i rom, hanno una manutenzione migliore e sono provviste di regolare fornitura elettrica. Ancora, una parte dell’area, una vasta distesa di terreno, è occupata periodicamente da carovane di “camminanti” siciliani e dalle loro roulotte.
I rom vivono nell’ex CAPS da almeno dieci anni e lavorano prevalentemente in agricoltura come stagionali nella provincia di Caserta, con obiettivi semplici e chiari: regolarizzare la propria posizione in quel territorio, continuare a lavorare regolarmente, ottenere il certificato di residenza, vivere una vita tranquilla.
Alcune famiglie, ignorando cosa possa significare l’inferno delle burocrazie, e non comprendendo perché non gli si possa concedere semplicemente di vivere in pace, hanno provato senza successo a stipulare contratti per avere la luce (subendo anche qualche piccola truffa da compagnie private che hanno promesso allacci impossibili vista la situazione abusiva); si occupano con i propri scarsi mezzi della manutenzione minima dello stabile contro gli oltraggi del tempo che passa.
Capua è un paese piccolo in cui vige una separazione piuttosto netta tra la popolazione locale e i rom, e soprattutto non esiste alcun dialogo tra loro e l’amministrazione. Non esiste alcuna politica o progettualità di inclusione da parte del comune, non ci sono di fatto mediatori – nell’accezione migliore del termine – singoli, gruppi, associazioni locali che riescano a mantenere alto un livello di confronto, incontro o addirittura monitoraggio dell’operato delle istituzioni pubbliche. Capita spesso anzi, ma non sempre per fortuna, di imbattersi in funzionari pubblici con posizioni di assoluta chiusura e di ben consolidati pregiudizi per quanto riguarda i rom. I servizi sociali sono assenti – se non in caso di segnalazione da parte delle scuole – tagliando fuori queste famiglie da qualsiasi possibilità di servizio e offerta pubblica. I contatti con polizia e carabinieri sono invece molto frequenti: periodici e non sempre ben motivati, sono i blitz delle forze dell’ordine effettuati nell’area. Perquisizioni, inseguimenti alla ricerca di motorini rubati, il consueto tono brusco e sospettoso di fronte a una platea di impietriti giovani, donne, vecchi, bambini. I rom sono semplicemente considerati come problema di ordine pubblico. L’ultima visita, controllo documenti, perquisizioni nelle case, è avvenuta ieri pomeriggio, 12 marzo, con la comunicazione di uno sgombero che dovrebbe avvenire lunedì prossimo.
Che succede a Capua? Nessuno lo sa veramente.
Il 20 gennaio è stata firmata dal sindaco una delibera che decreta e rende ufficiale il trasferimento della proprietà dell’ex CAPS da demaniale a comunale (COMUNE DI CAPUA DELIBERAZIONE della GIUNTA MUNICIPALE N° 338 del 16.12.2011. Primi interventi urgenti di bonifica dell’area ex C.A.P.S. Approvazione progetto e diverso utilizzo fondi economie mutuo Cassa DD.PP. posizione n. 4488075/00). Finora il comune si era limitato a piccole innocue azioni di boicottaggio verso gli abitanti, come chiudere l’acqua, mandare le ruspe a portare un po’ di trambusto, minacciare continuamente uno sgombero per creare un po’ di panico.
Ora con questa delibera, la strada è aperta a ipotesi di “pulizia”, “riqualificazione” e valorizzazione dell’area che, per come le cose sono andate finora, non significa affatto la riqualificazione delle condizioni abitative dei rom a standard adeguati e rispettosi della persona, ma porterà più probabilmente a uno sgombero coatto e silenzioso, contro tutti i principi e le norme europee.
Avere un appuntamento con il comune e capire se davvero lo sgombero è imminente, se c’è un’ordinanza, se hanno ipotizzato soluzioni alternative o semplicemente “buttano giù tutto” mandando in mezzo alla strada intere famiglie e confidando nel fatto che tutto possa avvenire nel silenzio più totale, non è cosa facile. Per il momento informare, mantenere alta l’attenzione su quanto sta accadendo per cercare di creare una rete di solidarietà e tenere i contatti con quanti vivono lì nella più sconfortante incertezza e sospensione è l’unica cosa che si riesce a fare. (emma ferulano)