Dal numero 121 (aprile 2014) di CQFD
A dire la verità, abbiamo tutti pensato fino all’ultimo momento che questo carnevale non avrebbe mai avuto luogo. Indipendente, senza sovvenzioni né autorizzazioni legali, basato solo su energie individuali che si mettono in moto quando si trovano e si associano. Quest’anno, dopo quindici anni di esistenza, la prigrizia sembrava stesse per vincere la sfida. Nel 2013, in pieno “anno della cultura”, la scorta della polizia si era fatta opprimente, ma nonostante tutto Carnevale aveva trionfato per morire della sua bella morte, nelle fiamme del Caramentrant. Non farlo rinascere dalle sue ceneri nel 2014 non avrebbe forse finito per far credere alla gendarmeria che noi cediamo alle pressioni? Eh no! Tre settimane prima della disfatta, una piccola squadra di vanesi ha intrapreso la costruzione del carro Caramentrant in un hangar nel quartiere di Noailles, nel ventre di Marsiglia, l’affamata e malfamata. E così, a colpi di aperitivi stranamente costruttivi, Caramentrant ha preso finalmente la forma di un piroscafo da crociera, con a poppa l’Albergo dei Poveri trasformato in albergo a cinque stelle, anche se la taglia e la forma evocavano piuttosto una barchetta da pescatore, sorprendente ritratto della schizofrenia locale.
Questa volta, nonostante l’improvvisazione, il corteo ha riscosso un gran bel successo, con i suoi circa cinquecento partecipanti, quasi tutti in maschera. A metà di rue d’Aubagne, il ricongiungimento tra festanti della Plaine e Noailles è avvenuto con l’accompagnamento di abbondanti lanci di farina, colorata e non, più qualche uovo volante[1]. I bambini si davano alla pazza gioia e tutti imbiancavano a vista d’occhio, perché nessuno restasse soltanto uno spettatore[2]. E, sorpresa, una coppia di motociclisti apriva la strada alla sfilata non autorizzata, come fosse un corteo ministeriale.
Appolaiati su una centralina dell’elettricità, all’ombra del busto di Omero, una banda di ragazzini selvaggi, tra cui un pre-adolescente vestito di pelle animale, sventolava una bandiera nera sulle nuvole bianche e ocra che ricoprivano la folla: «Viva la libertà!», il loro grido di battaglia. Una gang di scheletri ballava sotto gli occhi rapiti dei ragazzi. Dei manifesti elettorali viventi promettevano una “città biondo platino”, “senza maestrale” e “senza abitanti”, ricevendo gran copia di farina sul muso. Un Nettuno dal faccione vermiglio cercava il mare che aveva perso il giorno prima. Un demone cornuto mitragliava la gente con una telecamera di cartone. Una sposa dalla testa di pecora non ricordava più dove aveva lasciato i suoi amori. E la città si riscopriva incantata.
Nel 2013, i celerini avevano cercato di bloccare la partenza del Caramentrant dalla piazza, la polizia aveva rischiato di far degenerare il corteo nei vicoli di Noailles ammanettando due infarinatori, e un commissario in un uniforme aveva cercato di vietare il fuoco di gioia finale. Ma grazie all’intelligenza collettiva, quelle provocazioni erano state smorzate e la festa si era consumata in pace. Qualcuno, tra le forze dell’ordine, deve averla vissuta come un’umiliazione. Nel 2014 la cosa doveva finire male e i pompieri, il celerini, la polizia, i giornalisti e i giudici avrebbero fatto del loro meglio perché andasse così. E l’avrebbero fatto a tutti i costi, anche intossicando dei bambini con i fumogeni, manganellando passanti, calunniando e condannando dei festanti con mandato di comparizione immediata e due mesi di fermo, sulla base della sola testimonianza della polizia, per aver gettato una lattina di alluminio o capovolto un cestino dell’immondizia.
Questo 16 marzo 2014, di ritorno in piazza, la tradizionale processione del Caramentrant si è svolta come doveva, tra certami oratori di procuratori e avvocati e baccano senza nome della folla in delirio. La sorte del Caramentrant, che simboleggia le minacce che pesano sulla città, fu presto suggellata: «Che lo si bruci!». E lo si bruciò. Canti in coro, lamento di cornamusa, trance di tamburi, farandola di festanti. Al tramonto, lo sguardo dei bambini, dei genitori e delle spose si perdeva nel cuore delle fiamme, in un sogno allo stesso tempo lontano e ardente dove sembravano consumarsi tutte le sventure del mondo. Tutte? No, perché un plotone di felloni si preparava a soffocare la festa nella violenza. Invece di aspettare un quarto d’ora perché il rogo si spegnesse da solo, i celerini, senza dare segni di preavviso, hanno cercato di aprire il passaggio ai pompieri. Nella calca, la pompa antincendio è stata tagliata, creando un geyser tipo fuoco d’artificio. I poliziotti, che non aspettavano altro, hanno caricato. Manganellate, proteste, bambini in lacrime, nuvola di gas lacrimogeni, granata assordante. Le sedie di un bar vicino e una trave rosseggiante che attraversano l’aria della sera. Un momento di silenzio e attorno al fuoco riprende la danza. Poi qualcuno grida che un festante è stato arrestato e trasferito al commissariato di Noailles.
Per via dell’accanimento repressivo scatenato contro di essa, una semplice festa di quartiere diventa un obiettivo strategico. Cosa che deve spronare i festanti, se non vogliono che il loro gioioso baccano non finisca per essere ingoiato dalla paranoia mediatico-poliziesca – l’anno prossimo, potrebbero brandire dei kalashnikov di cartone! – , a sviluppare una vera riflessione collettiva, senza mai perdere di vista l’essenziale: il piacere di costruire e vivere assieme questo momento di libertà. La prefettura vuole ridurre il Carnevale a una manifestazione mascherata per poterla meglio isolare. Lo scontro è stato chiaramente voluto dalla polizia. Respingere il primo attacco e ritardare l’estinzione del fuoco di gioia è legittimo, ma presentarsi al commissariato per “esigere la liberazione dei nostri compagni” è stato senza dubbio un errore. Era un combattimento su un terreno sfavorevole, giocando un ruolo imposto dall’alto in cui i festanti avevano molto da perdere – cinque detenuti in più dopo due ore di blocco. Ciò che ha permesso al quotidiano La Provence di mettere in scena una inversione radicale della realtà: una folla avvinazzata che aggredisce delle forze dell’ordine sulla difensiva.
In un paese in cui lo spazio pubblico è sempre meno pubblico e lo Stato sempre più onnipresente, si tende a dimenticare che non c’è niente di più sovversivo che prendere l’iniziativa e ignorare il potere, invece di definirsi misurandosi con esso. Ci saranno dieci volte più partecipanti alle riunioni di sostegno agli accusati, che per la costruzione del Caramentrant. Tanto meglio, se le stesse energie saranno sempre lì l’anno prossimo per preparare, costruire e divertirsi.
Ironia del calendario, una mostra sul carnevale è stata inaugurata una settimana più tardi al MuCEM. Vi si celebra “il riso, la derisione, la trasgressione”, e il carnevale della Plaine, manganellato e minacciato all’esterno, ha il suo posto nel museo. Se il Carnevale rappresenta simbolicamente il momentaneo trionfo di un capovolgimento del mondo, una sovversione del reale, l’istituto museale, impagliandolo e santificandolo, opera una seconda inversione. Si è voluto quindi rimettere al suo posto, far tornare nelle righe e alla fine sotterrare questa festa selvaggia che, mano nella mano, il prefetto e il curatore della mostra hanno voluto programmarci.
La sfida, come si coglie dalle discussioni, è di far vivere e crescere il carnevale nell’immaginario della città. Rinforzare il legame con il quartiere[3], le associazioni, i vicini, i bambini – si potrebbero costruire dei marmocchi fatti dai marmocchi. Tessere legami con altri carnevali, organizzare una conferenza stampa “internazionale” una settimana prima dell’edizione 2015. Invitare cori e fanfare dalle altre regioni. Festeggiare la liberazione dei detenuti con un pranzo di benvenuto dove sarà pubblicamente esposta la versione dei festanti di quello che è successo il 16 marzo. Organizzare discussioni gesticolanti e proiezioni di film sulle tradizioni carnevalesche attraverso i luoghi e la storia. Moltiplicare i laboratori di costruzione dei carri, delle maschere, degli strumenti, dei canti… immaginare dei meccanismi di autodifesa per i carnevali a venire, ispirandosi all’intelligenza collettiva che ha permesso, nel 2013, di scongiurare le trappole tese. All’anno che viene, Carnevale! (nicolas arraitz; traduzione di umberto piscopo)
[1] Fu in occasione di uno di questi segni di benvenuto che ebbe luogo il primo arresto. Per aver macchiato il pantalone di un poliziotto in borghese, lo scorso 15 aprile un giovane è andato a passare la notte al carcere delle Baumettes in attesa del processo.
[2] Probabilmente, sensibile allo spirito carnevalesco che vuole che nessuno sia escluso dai festeggiamenti, la squadra anti-criminalità moriva dalla voglia di diventarne protagonista, a suo modo e nel ruolo che gli si confà, ovviamente.
[3] La festa del Panier, vetrina clientelare del capo tribale Guérini, è appena stata annullata. Potrebbe essere reinventata, senza sovvenzioni, dagli abitanti del quartiere che l’hanno fatta propria.