Non serve stare a Roma per sapere che, a circa tre anni dall’occupazione, il Teatro Valle è diventato un polo culturale importante: un luogo d’incontro e di accoglienza – certo, anche di tendenza – che fa un po’ da termometro dello stato del panorama teatrale italiano: tutta la drammaturgia, nazionale e non, nuova o emergente, che mai e poi mai ci sogneremmo di veder far parte dei cartelloni degli stabili, passa da questo teatro, che con uno sforzo enorme da parte dei lavoratori/ occupanti è diventato un luogo aperto alla città. Con meno di dieci euro si può vedere uno spettacolo degno di essere chiamato tale, mentre le commedie con attori da soap spopolano nei grandi teatri – romani e non – a cifre tutt’altro che irrisorie.
Si tratta di un’esperienza quasi unica nel suo genere, di certo favorita da una serie di fattori, per esempio il fatto che il teatro sia ubicato nel cuore della capitale (a pochi passi dall’Argentina), o che al momento dell’occupazione si trovasse in uno stato strutturale ottimale: fatto sta che al Valle è successo qualcosa di importante, nato “dal basso”, con la volontà di mettere in discussione le modalità graniticamente consolidate di gestire il “bene pubblico”. Qualcosa che dimostra che delle gerarchie di potere dietro le amministrazioni di enti pubblici o i cda dei teatri, se ne può allegramente fare a meno: per il bene del teatro stesso e della sua comunità, perché teatro non è solo spettacolo o intrattenimento, ma anche identità, incontro, resistenza e politica.
Ciò che sta succedendo in questi giorni al Valle, insomma, è un esempio abbastanza indicativo dello stato terminale in cui si trova la cultura, e la politica, nel nostro paese. Il 4 luglio, dopo l’ennesima sollecitazione da parte degli occupanti (che il giorno prima avevano occupato l’assessorato della cultura del comune di Roma), è arrivata una nota del neo sindaco Marino. Il breve e stitico intervento chiarisce che l’occupazione è illegale, e perciò al più presto s’indirà una gara di evidenza pubblica, d’intesa con il ministero dei Beni Cultuali (guidato da Dario Franceschini) e il Teatro di Roma. Inoltre, “affinché il teatro possa tornare ai romani, serve anche un’assunzione di responsabilità da parte degli occupanti che devono al più presto rendere disponibile la struttura per favorire il processo di rilancio del prezioso spazio culturale, anche facendo tesoro dell’esperienza fino ad ora maturata”. In altre parole: il teatro va sgomberato e “riportato” dentro l’ordine istituzionale, l’esatto opposto di ciò che ha segnato l’esperienza di tre anni di occupazione e che ha visto l’attuazione di una pratica virtuosa di riappropriazione degli spazi pubblici che rientra nella “Costituente dei beni comuni” (cui altri soggetti come il Macao di Milano o L’Asilo Filangieri di Napoli hanno aderito).
La risposta di Marino, che rappresenta una chiara presa di posizione, appare fin troppo tardiva: tutto ebbe inizio nel 2010 con la cancellazione dell’Ente teatrale italiano (ETI) da parte del ministro dell’economia Tremonti. Il teatro Valle, di proprietà dell’ETI, e quindi del ministero, doveva passare al Comune. Il 14 giugno 2011 (quando il sindaco era ancora Alemanno) fu occupato: da allora, la questione è diventata una palla incandescente passata di mano in mano, di cui nessuno ha mai voluto assumersi la responsabilità. Nei mesi passati si era svolto un tavolo di confronto istituito dall’assessorato alla Cultura di Roma che aveva prodotto un documento di valutazione: i lavoratori del Valle Occupato consideravano e considerano quel documento come l’unico punto di partenza possibile che renda pubblici i risultati di questo confronto istituzionale, secondo un criterio minimo di trasparenza.
Che le brutte notizie fossero dietro l’angolo si era già intuito quando, durante la trasmissione a Otto e mezzo all’inizio di giugno, Marino aveva invocato una “soluzione finale” per la questione Valle. Nonostante questo, le lavoratrici e i lavoratori del Valle hanno continuato la loro attività, anche più intensamente di prima: lo scorso 3 luglio – subito prima della nota di Marino e in concomitanza con l’occupazione simbolica dell’assessorato – è stata indetta una conferenza stampa per presentare il programma estivo “Altre Resistenze”: un fitto calendario di debutti, residenze teatrali e laboratori aperti ad artisti emergenti fino al prossimo 15 ottobre che “spalanca” le porte del teatro alla città. Tra questi, è prevista la prima produzione teatrale del Valle Occupato, frutto di “Crisi”, un laboratorio di drammaturgia curato da Fausto Paravidino, nato e cresciuto durante l’occupazione. Alcune giornate saranno dedicate anche ai lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria del teatro.
La “questione Valle” s’inserisce tra l’altro in un contesto singolare, che ha dato vita già quest’inverno a un imbarazzante balletto d’incarichi andati a vuoto per la nomina del direttore artistico dello stabile di Roma (a maggio, è stato eletto Calbi); la direzione dell’assessorato alla cultura del comune di Roma è vacante da più di un mese, dopo le dimissioni di F. Barca, in un periodo che invece necessiterebbe della massima attenzione da parte delle istituzioni (teatri come l’Eliseo rischiano lo sfratto esecutivo entro il 10 luglio, mentre il Piccolo Eliseo potrebbe diventare una sala da ballo). La proposta di bando pubblico per il Valle fatta da Marino ha inoltre un triste e illustre precedente: il Teatro Quirino. Anch’esso inserito nel pacchetto liquidato dall’ETI, il Quirino è stato messo a bando per una gestione privata che si è poi trasformata in gestione familiare: il luogo ha così perso la sua identità storica e soprattutto pubblica. In questa panoramica, non si può non tener conto di quanto accaduto negli scorsi mesi a luoghi come il Circolo Angelo Mai, sgomberato a marzo (in quei giorni la compagnia Motus, in scena al Valle con “Animale Politico Project” dedicò lo spettacolo “Nella Tempesta” ai compagni del Circolo, con cui fu intavolata una discussione pubblica sui beni comuni, subito dopo la messa in scena), o il Cinema America, locale storico a Trastevere occupato per scongiurarne il rischio di demolizione per farne appartamenti privati.
La situazione romana è indicativa insomma di un clima generale: in queste ore, al Valle, è arrivato anche il sostegno degli “intermittenti”, i lavoratori dello spettacolo francesi che protestano contro precariato, disoccupazione, contratti atipici: proprio in questi giorni sono riuniti in assemblea nazionale ad Avignone, minacciando di far saltare il festival (e non sarebbe il primo, quest’anno, per questi motivi) e continuare a scioperare a oltranza. Gli occupanti del Valle nel frattempo hanno immediatamente risposto al sindaco con una lettera in cui esprimono il loro disappunto e la preoccupazione per questa presa di posizione che dice di “voler fare tesoro dell’esperienza maturata”, eppure sembra non considerarli neanche come “soggetti interlocutori” per un tavolo di negoziazione. A questo proposito, chiedono al sindaco di assumersi la responsabilità di chiamare le cose col proprio nome e, se lo ritiene necessario, sgomberare il teatro con la forza. Un’amministrazione politica sana guarderebbe all’esperienza del Valle come un esempio valido e utile per “favorire il processo di rilancio del prezioso spazio culturale” tanto auspicato nella nota del sindaco. Ma non si capisce se “il teatro deve tornare ai romani” o nelle mani delle solite, poche, note persone. (francesca saturnino)