Dal n. 59 di Napoli Monitor
Il calciomercato è la più grande bufala del giornalismo. Tanto è vero che basta una veloce riunione di redazione per scegliere il nome da buttare nel calderone. Quattro anni fa ero già nell’emittenza televisiva locale, sempre con modesta soddisfazione mia e dei colleghi. Era il Napoli angosciante di Donadoni e Luca Bucci, e a lanciare la bomba Simone Inzaghi ci pensai io. Quattro stagioni e tre allenatori dopo funziona ancora allo stesso modo: «Carlos Bacca?». In risposta si ottiene dal caposervizio un occhiolino. Il titolo del pezzo dovrà poi suggestionare lo spettatore: “Bigon chiama, Bacca risponde”. Il problema dell’estate in redazione è che – a campionato terminato, con un mondiale alle porte dal quale le televisioni private a diffusione regionale sono estromesse in partenza, a tre mesi dal turno preliminare di Coppa Campioni – il calciomercato è l’unica inesauribile fonte.
C’è chi se le inventa e chi le scova, chi le riprende da chi le scova e chi le riprende da chi le inventa – le notizie. Peculiarità della tv è che si deve riempire. Un palinsesto va riempito con i telegiornali, le produzioni, le pubblicità, le produzioni esterne, i film di Steven Seagal, i cartoni animati. Un telegiornale va riempito di servizi, macchie, grafiche, classifiche, foto. Non ho mai sentito nessuno bocciare il servizio d’un altro redattore. La logica del vott’ aint’, (altrimenti detta arravuogl’ ‘a braciola) è l’unica regola in vigore, e anche la più sensata. I servizi “pittati” – come i tecnici definiscono gli articoli sui quali si indugia troppo nella scrittura o al montaggio – hanno l’unico effetto di ingolfare la redazione, intasare le centraline ed estenuare chi – in conduzione – ha fretta di avere tutto pronto.
Trovandomi in una redazione numericamente debole, le gerarchie sono state decise all’istante: a me è toccata – con mia gratitudine – l’incombenza della serie C. Che proprio quest’anno ha vissuto la sua formula più strana: nessuna retrocessione dalla C1 e decine di promozioni dalla C2, in previsione del prossimo anno: la terza serie unica. Ho così imparato a conoscere il territorio – come dicevano quelli del Movimento per le Autonomie: l’Arzanese che gioca sempre allo Ianniello di Frattamaggiore perché ha il campo inservibile; la Casertana che è tornata in terza serie dopo ventuno anni di assenza; il Sorrento che è crollato in serie D dopo aver perso gli spareggi proprio contro l’Arzanese; l’Aversa Normanna, il cui presidente, l’ingegner Giovanni Spezzaferri, al termine di ogni partita casalinga si lamenta per l’esiguo numero di biglietti venduti e l’Ischia, guidata tra i pali dal capitano Mennella e in avanti da Evangelista Cunzi, una specie di Wayne Rooney disilluso.
Quest’anno ho visto quasi tutti i gol dell’Arzanese e almeno una ventina del Napoli mi sono sfuggiti. Ho imparato a conoscere gli improbabili direttori del calcio di provincia. Uomini che ripugnano gli abiti impeccabili di Lele Oriali o le giacche gessate di Oscar Damiani. Pasquale Costagliola fa il direttore sportivo dell’Arzanese. L’ufficio stampa dei biancocelesti ha l’abitudine di pubblicare video-interviste ai tesserati. I primi piani alla Lynch mettono in risalto la sfera perfetta che è il cranio di Costagliola, i raggi del sole battono fieramente sul centro del suo capo. Costagliola non indovina un verbo, un tempo, un vocabolo. Eppure a gennaio ha indovinato tutti gli acquisti, e la sua squadra – dall’ultimo posto in classifica – ha recuperato posizioni ed è ancora in corsa per la promozione, che si giocherà a San Miniato di Pistoia. In C1 ho seguito con distacco l’ennesima stagione a vuoto del Benevento e le sfuriate di Claudio Lotito, ormai inviso a tutti i salernitani. Mi è piaciuta la Paganese, che sarebbe retrocessa a gennaio se solo ci fossero state le retrocessioni. Il direttore sportivo è Cosimo D’Eboli, detto Cocchino. Il suo nome di battesimo è diventato in redazione sinonimo di fellatio: sgonfiotto, chions (soave paesino in provincia di Pordenone), bombolotto, cocchino. Cosimo ha un ventre da gran bevitore, capelli ricci e pieni di gel, indossa occhiali dalla montatura sottile che si perdono nella massa dei cascanti muscoli facciali. Parla bene, è riflessivo, e a differenza del collega Costagliola sembra freddo e razionale.
L’allenatore del Sorrento è Gianni Simonelli, tecnico di lungo corso soprannominato il Filosofo. A lui si attribuisce la frase: “Il calcio sarebbe una cosa straordinaria se non ci fosse la domenica”. Sorrento e Simonelli vivono una maledizione, ancor più potente di quella che Bela Guttmann scagliò contro il Benfica. Per sette volte i costieri e l’allenatore di Saviano hanno conquistato la qualificazione ai playoff, non riuscendo mai nel salto di categoria. A Salerno allenava Carlo Perrone, che fu esonerato da Lotito durante il ritiro a Chianciano Terme. Al suo posto fu chiamato Stefano Sanderra. Dopo dieci giornate tornò Perrone. Poi ancora Sanderra. La squadra faceva pena comunque. Allora hanno ingaggiato Gregucci. Una partita dei playoff e la Salernitana è stata eliminata dal Frosinone. Lotito ha cacciato anche Gregucci.
La Paganese punterà sui ragazzini l’anno prossimo, lo ha detto Cocchino. E infatti hanno preso l’immenso Natalino Mazzeo (sessantenne talent scout vesuviano, con un passato nelle giovanili del Napoli: lo chiamavano Sivori) a dirigere il settore giovanile. La Casertana sta invece allestendo uno squadrone per tentare il triplo salto in serie B. Si è parlato anche di Zeman allenatore. A Caserta c’è grande eccitazione, me ne sono accorto andando nei pressi dello stadio Pinto allo scopo di ascoltare i tifosi. Uno di loro s’avvicinò mentre altri parlavano, solo per origliare. Era una sorta di controllore del pensiero unito del tifo. «Io non parlo, sono casual», mi rispose quando gli chiesi di commentare l’ultima vittoria. La Casertana ha appassionato anche me nell’ultima stagione: i numeri di Nicola Mancino, ex Napoli, la sagacia tattica del furetto Cruciani, le zampate di Agodirin. Così mi ci sono applicato, e tre settimane prima della promozione ho cominciato a raccontare le gesta dei falchetti inserendo tracce musicali come i Jam o i Royksopp. Qualcuno a Caserta se n’è accorto e ha apprezzato. Nella prossima stagione di terza serie potrebbero coesistere Pomigliano (che sta giocando gli spareggi di serie D) e Arzanese (in finale contro il Tuttocuoio); ci saranno senza dubbio Salernitana, Benevento, Paganese, Casertana, Savoia, Juve Stabia e Ischia.
Ho avuto la possibilità di seguire da vicino la Juve Stabia, a cominciare dal ritiro estivo nella sonnecchiante Cascia. Forse ispirato da Santa Rita, m’ero sbilanciato già in Umbria, definendo la squadra – tra una corsa nei boschi e un tuffo in piscina – già attrezzata per la lotta playoff. Eppure l’allenatore Braglia l’avevo sentito al telefono definire i giovani «non ancora pronti». Durante la presentazione della squadra in villa comunale chiedevo ai tifosi se stessero già sognando la serie A. Evidentemente l’unico fesso ero io, visto che tutti mi rispondevano che l’obiettivo restava la salvezza. Peccato che neanche quella sia arrivata, e la Juve Stabia sia retrocessa quando era ancora inverno: a fine campionato si contano diciannove punti e due vittorie in quarantuno partite. Ben presto, nei miei servizi sulle vespe, ho iniziato a utilizzare parole come “orgoglio”, “motivazioni”, “dignità”. Risulta difficile raccontare una sconfitta quando se ne collezionano otto, nove di fila. Sarebbe preferibile vincere ogni tanto, anche per salvare dalla depressione un cronista. A gennaio il direttore sportivo Lupo provò a dare una scossa alla squadra raccattando avanzi da squadre di tutta Italia. Caso volle che nella stessa giornata la Juve Stabia presentasse Filippo Falco, detto “il Messi del Salento” anche se a Lecce giocava una partita ogni sei, e Marco Piccioni, trentanovenne stopper proveniente dalla serie D. “La Juve Stabia prova a spiccare il volo. Presentati Falco e Piccioni”, fu l’inevitabile titolo.
Mi sembra che ne parlassero in un libretto alquanto criptico Enrico Ghezzi e Carmelo Bene. “Discorso sul calcio” dovrebbe chiamarsi. I due parlavano – oltre che della fuggevolezza di Romario – della parzialità del calcio in televisione. La partita di calcio in tv è cuoio-centrica, racconta cioè tutto quello che accade nel raggio di venti metri dal pallone. Ma il terzino non inquadrato potrebbe in quel momento tentare un allungo per poi desistere, non lo sapremo mai. È quello che succede in maniera ancor più vistosa con le highlights. La Lega affida a dei service il compito di riprendere ogni partita, dalla serie A alla C2, montarne le azioni salienti e inviarle al sistema centralizzato che le smista poi a tutte le televisioni private che hanno pagato per i diritti. Sta al libero arbitrio del service la scelta delle azioni salienti. I gol, ovviamente, vanno inseriti per contratto. Ciascun gruppo di operatori ha il proprio stile: coloro che seguono il Sorrento in casa, per esempio, indugiano sempre su Simonelli all’inizio del filmato. Così, in archivio, abbiamo venti volte Simonelli nel prepartita, sempre con quel sorriso sornione, con la stessa tuta nera e la polo rossa. Il service che segue le gare del Castel Rigone, in Umbria, inserisce nel montaggio almeno venti secondi di introduzione con i paesaggi del Trasimeno. I colli, gli alberi, i fiori, il sole che si riflette sul lago. E poi la tribuna che si riempie, tutto molto suggestivo. Il Castel Rigone è retrocesso.
Dai fatti del calcio riesco a staccarmi per pochi minuti al giorno. Bevo un caffè da trentacinque centesimi alla macchinetta, accendo di controbalzo una Chesterfield e rifletto. Riesco ad annientarmi per pochi istanti, poi penso a Conceiçao o Firmino Elia, oppure ad Aljosa Asanovic. Quando trovo un po’ di pace arriva qualcuno a dirmi che sono un imboscato. «Non è così, faccio il mio dovere e poi mi fermo un po’», ribatto. Le partite al San Paolo sono arrivate come premio per il buon lavoro, infatti. Ne ho seguita qualcuna, di quelle non troppo importanti. Con il Sassuolo, con il Parma e con l’Udinese. Le peggiori partite stagionali del Napoli. Della tribuna stampa del San Paolo mi restano pochi ricordi: il freddo snervante, la corsa al buffet e il gelato tra primo e secondo tempo. Contro il Sassuolo non ero preparato per l’assalto agli uomini del catering. Alle nove e mezza, presentatomi a giochi fatti al tavolo, morivo di fame. Presi due panini napoletani dal piatto che un giornalista aveva lasciato incustodito. Al ritorno il noto cronista sfiorò il ridicolo: «Chi ha preso i miei panini napoletani?», berciò all’indirizzo di tutto lo stadio, sospettoso anche dei calciatori in campo. Furono necessari parecchi minuti per riportarlo alla calma.
Gli altri sport in una redazione sportiva sono visti sempre con diffidenza: al professionista che si occupa da una vita di pallacanestro anche la signora delle pulizie può ripetere che “il calcio è la prima industria del Paese”. A questa enormità di persone che chiede il pallone, la redazione sportiva ha l’obbligo morale di dare pallone fino allo strapazzo. Per ogni venti servizi sul calcio ce n’è uno sul basket, proporzione che peraltro rispetta le tendenze degli sportivi italiani. Naturale dunque che il professionista di cui sopra si sia col tempo sentito un emarginato. Capace di stare per ore sulla homepage della Gazzetta senza leggere nulla, fissando un banner. Le due squadre di basket campane in serie A, Caserta e Avellino, hanno terminato la stagione fuori dai playoff: la prima con onore, la seconda in modo disastroso. Di tanto in tanto compare un pezzo sulla pallamano: a Orta di Atella c’è una squadra simpatica che ha salvato la pelle in A2 anche quest’anno grazie al fenomeno Jacques Sall Mbaye. La pallavolo nell’avellinese andava forte, fino all’autunnale fallimento della squadra migliore in regione – la Sidigas Hs – ma che comunque militava in seconda divisione. La televisione ha seguito la tappa Sassano – Montecassino del Giro d’Italia. Di tennis non se n’è mai parlato, ma per la Coppa Davis a Napoli si è fatta un’eccezione. Qualche napoletano alla Parigi-Dakar o in Moto Gp sono le rare pillole motoristiche della redazione. La scaletta tipo è: apertura sul Napoli, pezzo di colore o di spalla sul Napoli, macchia sul Napoli. Serie B, l’Avellino, eventuali aggiornamenti sulla Juve Stabia. Poi Lega Pro, prima e seconda divisione. In chiusura la notizia del giorno di basket, ma molto spesso ci si è allungati troppo e la si taglia con grande soddisfazione di pubblico e addetti ai lavori. Il calcio resta sempre la prima industria del Paese. (antongiulio chiovato)