C’è una mensola di legno sopra il mio letto, su cui accumulo libri. È la trafila comune ai nuovi ingressi, dal momento che la velocità con cui acquisto, o ricevo in prestito e in regalo i volumi, è assai superiore a quella con cui riesco a smaltirli. La cosa, come tante altre, mi mette in ansia, e così nelle ultime due settimane mi sono messo d’impegno e ho dato un colpo consistente alla pila.
L’articolo 7 del DPR 137/2012 è un provvedimento del governo che obbliga gli iscritti agli ordini professionali ad assolvere ad alcuni obblighi formativi. In sostanza, dovranno effettuare alcuni corsi di FPC (formazione professionale continua) per mantenere la propria iscrizione all’albo. Per assolvere all’obbligo, ogni iscritto dovrà maturare sessanta crediti in un triennio, con un minimo di quindici annuali, di cui almeno un quarto dovranno riguardare “temi deontologici”. La legge, si sa, non ammette ignoranza, e quando (con due anni di ritardo) sono venuto a conoscenza per vie del tutto casuali della questione, le mie lamentele all’Ordine dei giornalisti della Campania per non averne ricevuto comunicazione, hanno ricevuto una risposta secca: “La legge in questione è una legge dello Stato. L’Ordine non è tenuto a inviarne comunicazione scritta. Si affretti ad effettuare i corsi prima della fine dell’anno solare”. Così ho seguito il consiglio e ho consultato i calendari. Ho capito subito di aver perso il meglio (tra gli appuntamenti più gustosi che avevo mancato spiccavano gli incontri con Paolo Siani e Raffaele Cantone) e mi sono deciso a iscrivermi dopo aver sondato il terreno sui “provvedimenti disciplinari” che mi erano stati annunciati via mail.
Ninfa Plebea era in attesa da agosto 2014. Da un po’ di tempo avevo deciso di colmare la colpevole lacuna riguardante una buona parte dei testi di Rea. Messo in archivio il Premio Strega 1993, in rampa di lancio ci sono adesso Gesù, fate luce e Pensieri della notte.
Ai corsi, che danno diritto a quattro o a sei crediti formativi, partecipano tutti i giornalisti pubblicisti e professionisti in possesso del tesserino da più di quattro anni. Agli incontri si mescolano centinaia di giornalisti, quelli imbolsiti da decenni di vita di redazione e quelli giovani e rampanti, come il ventiseienne figlio dell’assessore regionale, capoufficio stampa in regione Campania del principale partito del paese (lo stesso che organizzò qualche anno fa una festa in discoteca a cui partecipò tutto il gotha del giornalismo e della politica campana, Stefano Caldoro compreso). Di solito in queste circostanze tendo a piazzarmi in fondo alla sala, tra gli emarginati che ostentano la propria diversità e che forse di questo mestiere non hanno capito nulla.
L’incontro sul giornalismo e i social network si svolge nella sala Europa della Mostra d’Oltremare. L’inizio è previsto per le 9,30, e siccome precisione e puntualità sono due doti fondamentali per un giornalista, alle 9,27 siamo in dieci su centosessanta iscritti. Dopo mezz’ora la sala comincia a riempirsi, ma dell’inizio dell’incontro (durata prevista quattro ore) non se ne parla. Si parla, invece, di tutto il resto. Gossip politici, inciuci di redazione, scambi di complimenti sul taglio di capelli e quello della giacca. Le conversazioni più elevate riguardano il commento degli articoli del giornale appena uscito. Quando sono passati cinquanta minuti dall’orario scritto sull’invito, il presidente dell’Ordine introduce i lavori, spiegando (per la centesima volta, lascia intendere) le modalità di fruizione dei corsi, e mettendo l’accento sul fatto che, a differenza di altre regioni, questi siano (addirittura!) gratuiti.
Dalla sala non si può evadere. Sul foglio di invito è stampato un codice a barre che verrà elettronicamente timbrato all’inizio e alla fine degli incontri, per cui tutti i partecipanti sono obbligati a rimanere in sala fino all’ultimo. A dire il vero c’è un enorme finestrone che affaccia su un giardino, intorno al quale un quarto dei giornalisti presenti passa il tempo delle conferenze a conversare e fumare. Chi rimane dentro lo fa per chiacchierare a piccoli gruppi e a bassa voce, chattare su Facebook e Wozzup (primo premio per la giornalista di Rai Tre che passa tutto il tempo seduta al suo posto senza mai alzare gli occhi dall’iPhone) o dormire.
Gli interventi, sul delicato tema del rapporto tra tecnologia e giornalismo, sono due. Il primo dura venti minuti, ed è di un giornalista “giovane” (quarantenne) de Il Mattino, che confessa di essersi iscritto da poche settimane a Facebook, ma che ragguaglia la platea con una serie di banalità rimasticate dai servizi del Tg2 sulla censura del governo cinese a Google e l’importanza di Twitter come fonte. Seguono un intervallo ben più lungo dell’intervento stesso, e la conferenza fiume di una sorta di manager settentrionale dell’informazione, che presenta una piattaforma web (Italiani di frontiera), a cui ha dato vita dopo aver lasciato il suo posto all’agenzia Reuters di Milano. Il relatore parla per quasi due ore senza mai prendere fiato, a un ritmo che butterebbe giù anche i più tosti raver del nord Europa, imbottiti di acidi per arrivare fino alla fine della tenzone. Tra storie di Silicon Valley e sogni americani, un video che non si riesce a vedere a causa dell’effetto luce, e il microfono che fischia come un treno dell’Ottocento, la conclusione è che nello stesso secondo in cui l’incontro termina, i giornalisti si accalcano all’uscita facendo quasi a botte per timbrare il cartellino prima degli altri. Nel giubilo generale la pratica viene liquidata dopo meno della metà del tempo previsto.
Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare è un libro di Bohumil Hrabal. La quarta di copertina lo descrive come una raccolta di “racconti ironico-grotteschi ambientati negli anni più duri e bui dello stalinismo” i cui protagonisti sono “eroi insicuri che inventano senza risparmio universi lunatici” o “aneddoti e frottole in cui l’immaginazione prende la rivincita sulla meschina realtà, con risultati di intensa comicità”. Con Hrabal sono stato particolarmente ingiusto: era in attesa dal febbraio 2013.
Il secondo incontro si svolge alla Scuola della Pace, nei Quartieri Spagnoli. Uno spazio enorme (quasi trecento mq) di proprietà della Provincia, affidato in gestione all’associazione Oikos, in cui si svolgono “iniziative tendenti a facilitare le condizioni di pacificazione e di espressione del bisogno e del desiderio di benessere dei cittadini, quali la creazione di tavoli di negoziazione per la risoluzione di problemi, gestione di gruppi o task force per particolari problemi conflittuali”. Tra queste iniziative si segnalano le riunioni del sindacato dei giornalisti della Campania.
Il tema del giorno è la geopolitica. I due seminari sono affidati a Dario Fabbri, consigliere redazionale della rivista Limes, e Salvatore Santangelo, della testata web geopolitica.info. Questa volta le conferenze si svolgono di pomeriggio e il caos è assai minore rispetto alla bolgia della Mostra d’Oltremare. A quest’ora nelle redazioni si lavora, e anche i volti noti sono di meno. In compenso ci sono un sacco di disoccupati, freelance, titolari di ufficio stampa, e membri dello staff del sindaco. Le modalità di svolgimento però sono le stesse: timbrino elettronico all’inizio e alla fine, e ognuno che fa i fatti propri durante tutte le tre ore meno venti di durata effettiva dell’incontro (sempre a fronte delle quattro previste da regolamento). Alla fine dei loro interventi, quando i relatori chiedono se ci sono domande e uno dei giornalisti in sala ha davvero l’ardire di farne una, tra la disapprovazione generale, la mia vicina di posto abbandona il suo tablet, inforca gli occhiali per guardare meglio lo sprovveduto, e chiede a un collega: «Azzò, ma chist’ over’ è stat’ a sèntere?».
Quando ho finito di leggere un libro, d’abitudine scrivo due righe a chi me l’ha prestato, regalato o consigliato. Assieme alle due mail che ho mandato per Rea e Hrabal, mi riprometto di inviarne una terza alla redattrice di un noto quotidiano locale, che mi aveva messo in guardia sulla necessità di frequentare i corsi dell’Ordine, obbligatori per tutti gli iscritti. È grazie a lei, in fondo, che domani (quando ci sarà l’ultimo dei tre incontri da me scelti) potrò dire di aver smaltito la metà dei libri che avevo accumulato negli ultimi sei mesi, immergendomi per ore nella lettura come non riuscivo a fare dai tempi della scuola. E senza avere nemmeno la preoccupazione di dovermi nascondere dagli sguardi indagatori della professoressa di fisica. (riccardo rosa)
By Carmine March 1, 2015 - 4:33 pm
Iscritto dal 2011 vengo a sapere dei corsi solo ieri.
Ho trascorso le ultime 24 ore a cercare risposte ai miei dilemmi e finalmente sono incappato nel tuo post.
Grazie infinite.