da: dinamopress.it
Tecnicamente la Memoria di giunta è un atto d’indirizzo. Una sorta di ragionamento propedeutico al fare. Chi governa la città mette nero su bianco. Mostra le carte.
Molte a Roma sono le sale cinematografiche chiuse. Così l’assessora alla cultura Giovanna Marinelli e il collega alla trasformazione urbana Giovanni Caudo hanno rappresentato alla giunta, con una memoria, cosa fare di quell’immenso patrimonio abbandonato. Il comune ha contato quarantadue sale chiuse, acquisendo i dati da un censimento fatto dalla facoltà di architettura che, per quei locali serrati, ha anche trovato un nome: fantasmi urbani.
Le sale di spettacolo che chiudono a raffica e si trasformano non sono un fenomeno nuovo. Tantissimi cinema, fin dalla fine degli anni Settanta, sono stati trasformati in piscine, banche o supermercati, le tipologie che allora il mercato richiedeva. Una lenta agonia, attuata con semplici richieste di cambi di destinazione d’uso e tollerata nell’indifferenza delle varie amministrazioni comunali. Almeno fino al 1995, anno (sindaco Rutelli) della delibera n. 168. Chiamata “Nuovo Cinema Paradiso” provò a “calmierare” la bramosia edilizia dei proprietari prevedendo si che una parte della superficie delle sale cinematografiche potesse essere trasformata in attività di ristorazione, librerie, attività commerciali, ma che, comunque, tutto questo fosse riferito all’attività cinematografica e non dovesse superare il 15% della superficie complessiva. È quello che è successo al Nuovo Sacher, per esempio, dove un minuscolo bar e una libreria “di cinema” sono posti a ridosso dell’ingresso.
Dopo dieci anni il sindaco cinefilo Veltroni dichiara di voler recuperare le sale che intanto continuano a chiudere. Lo fa con un regalo ai proprietari: potranno cambiare la destinazione d’ uso delle sale, a patto di dedicare almeno il 50% del loro spazio ad attività culturali. Ovvero il 35% in più di quanto fissato nella precedente norma. È il via libera per far continuare a chiudere i cinema e consegnare i “resti” di un patrimonio urbano straordinario ai desiderata della rendita immobiliare.
Ora, dieci anni dopo Veltroni, ci pensano gli assessori di Marino, che sembrano aver preso a modello proprio lo “schema” con cui i proprietari del cinema America avevano pensato di trasformare la sala di Trastevere (appartamenti, garage e una piccola sala per mostre) e contro cui un intero quartiere, saldandosi a un’occupazione, ha saputo trovare solidarietà proprio dal mondo di chi facendo cinema pensa a dove rappresentare le proprie idee. Che possono certo essere ristrette anche in uno schermo di computer o televisivo, sapendo però che solo una sala riesce a somministrare stupore, a spacciare dosi massicce di emozioni. Una volta spenta la luce entriamo dentro quelli schermi per poter abitare il mondo. Non ci vogliamo rinunciare.
Con la Memoria di giunta hanno pensato a trasformare queste macchine fantastiche in case o luoghi del consumo. La trasformazione di questi luoghi viene assunta tra gli esempi della necessità di rigenerare il tessuto della città attraverso la promozione “di un radicale cambiamento di paradigma (…) dove gli aspetti della trasformazione edilizia-urbanistica siano integrati con quelli riguardanti l’uso e la gestione del manufatto trasformato”. Che vuol dire? È la stessa memoria, come in un promo, a dircelo. Un mix funzionale fatto di attività culturali, residenze (“in senso ampio”, dice la memoria) e commercio. Magari allargandosi anche un po’, visto che i nuovi progetti potranno “coinvolgere nelle loro trasformazioni aree/immobili limitrofe funzionali ai progetti di trasformazione”. Per chi lo farà, proprietari di sale o operatori finanziari a cui questi ultimi si appoggeranno, è garantita la riduzione degli oneri (cioè della cifra destinata a concorrere alla manutenzione della città) la possibilità di sforare la soglia del 50% oggi presente nelle norme di Piano per procedere, in deroga al piano regolatore, a specifici accordi di programma.
Non ci sono più le sale, ma il vecchio film della rendita è in programmazione continua. La pellicola scorre. E non si accende mai la luce. (rossella marchini / antonello sotgia)