Fredrick Wiseman, maestro del cinema documentario, sarà a Napoli dal 25 al 27 febbraio. Un’occasione rara per ascoltare le sue parole e guardare alcuni dei suoi film. Qui il programma completo della tre giorni. Qui un’intervista concessa a Napoli Monitor qualche tempo fa, apparsa nel numero 57 del giornale.
da Repubblica Napoli del 25 febbraio 2015
Immaginate un film, anzi tanti film quante sono le istituzioni della nostra città. Un film, per esempio, sul pronto soccorso di un grande ospedale; un altro che ci mostri dall’interno il teatro San Carlo o il carcere di Poggioreale; uno sugli uffici del collocamento, un altro sulla stazione centrale, uno che ci sveli i meandri del porto. Immaginate la telecamera come uno strumento di conoscenza, usata per indagare le regole dei microcosmi sociali, l’imprevedibilità del fattore umano insito in ogni meccanismo istituzionale. Immaginate uno sguardo talmente pudico e discreto da farci credere che la telecamera in realtà sia invisibile, nascosta dietro qualche specchio magico, anche quando sappiamo con certezza che l’occhio artificiale è proprio lì, a pochi passi dalle persone, che non se ne curano affatto. Dimenticate però le pellicole di denuncia o le telecamere nascoste dei reportage televisivi. Nei film in questione nessuno vi dirà in anticipo quel che dovete pensare, quando è il momento di indignarvi e quando di compiacervi. Il quadro complessivo emergerà un po’ alla volta, e sarà necessario lo sforzo dello spettatore per dargli significato e valore. Ebbene, c’è un regista che di film del genere ne ha fatti a decine. Il suo nome è Fredrick Wiseman, maestro americano del documentario, che l’Arci Movie e la casa di produzione Parallelo 41, hanno invitato a Napoli dal 25 al 27 febbraio. Avremo l’occasione di incontrarlo all’università e di vedere i suoi film al cinema Astra di via Mezzocannone.
In quarant’anni di attività Wiseman ha costruito il suo personale inventario del mondo occidentale. Ha documentato l’esistenza quotidiana, il lavoro, le relazioni di centinaia di persone all’interno di questi luoghi: un manicomio, una prigione, una scuola, una fabbrica, un campo di addestramento militare, un ospedale, un laboratorio scientifico, una centrale di polizia, un ufficio di assistenza sociale, un’università. Ha girato i suoi film soprattutto negli Stati Uniti, e negli ultimi anni in Francia e Inghilterra. Fin dal primo lavoro, il suo modo di procedere è rimasto sostanzialmente immutato. Assidua presenza sul posto, estrema lealtà verso le persone da filmare. Montaggio certosino, nessuna voce fuori campo, niente interviste o inserti musicali. Luce e suoni naturali, frammenti di storie che un po’ alla volta conferiscono alla progressione del film un ritmo incalzante, una tensione emotiva che tocca allo spettatore risolvere e sciogliere.
Immaginate adesso questo modo di procedere applicato alla nostra città, all’esigenza che essa venga indagata nei suoi dati reali, conosciuta per quello che è, al di là di luoghi comuni e interpretazioni fumose; e che questo venga fatto senza enfasi, senza pregiudizi, ma con la massima curiosità ed empatia verso i soggetti prescelti. Moltiplicate questo procedimento per venti o per trenta e avrete una misura delle potenzialità che i nuovi documentaristi possono mettere in campo, costruendo un modo di fare cinema che adegua il linguaggio filmico allo sviluppo impetuoso delle tecnologie. A Napoli, da alcuni anni, una manciata di registi ha preso questa direzione con risultati promettenti. Ognuno con il suo stile, ci hanno raccontato la scuola, il carcere, le trasformazioni urbanistiche. Un piccolo, embrionale inventario è in costruzione anche dalle nostre parti. Intorno al loro lavoro cresce l’interesse e lo spirito di emulazione. Negli anni scorsi il progetto di una scuola di cinema a Napoli naufragò in modo inglorioso. Adesso nuovi soggetti ci stanno riprovando, e non è un caso che i promotori siano gli stessi che hanno organizzato l’incontro con Wiseman. Da settembre hanno avviato una scuola di “cinema del reale”, con sede a Ponticelli, aperta a sedici giovani allievi, metà dei quali provenienti da fuori città. L’hanno affidata alle cure di Leonardo Di Costanzo, uno dei precursori del genere. Il progetto è finanziato dalla Fondazione con il Sud. Un bando dedicato alle idee innovative, un iter di alcuni anni per metterlo a punto. Oggi finalmente c’è la scuola, che produrrà anche dei film; ci sono trenta laboratori di cinema nelle scuole medie e superiori della città; ci sono i soldi per acquisire le attrezzature per le riprese e il montaggio; c’è la sinergia con le altre case di produzione e con gli organizzatori dei festival cittadini. L’obiettivo, una volta tanto, è di costruire qualcosa di stabile, di duraturo. Una struttura che dopo l’avviamento previsto – circa due anni – sia in grado di camminare sulle proprie gambe. Insomma, a partire dalla periferia della città, si tratta del tentativo di creare un’istituzione. Nel senso più positivo e fecondo del termine. (luca rossomando)